Perché migliaia di persone fuggono dalla Libia9 min read

8 Agosto 2018 Migrazioni Politica -

Perché migliaia di persone fuggono dalla Libia9 min read

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Continua il nostro lavoro alla ricerca delle ragioni per cui molte persone lasciano il proprio paese e partono, come ci avete chiesto voi qui e sulle pagine social. Oggi approfondiamo la situazione in Libia, il paese forse più noto mediaticamente da dove partono i tristemente noti barconi della morte (o della speranza, a seconda dei punti di vista). Qui trovate i contributi a cui abbiamo lavorato fino ad oggi:

Breve storia della Libia

Nell’ottobre del 2011 cade ufficialmente il regime di Muhammar Gheddafi sulla spinta dei moti rivoluzionari scaturiti dalla primavera araba. Da allora il Paese è rimasto in un costante stato di caos dovuto alle forti divisioni interne fra le varie tribù, in precedenza tenute sotto controllo dal dittatore.

Nel 2012 si svolgono le prime elezioni democratiche dopo quarant’anni di dittatura da cui scaturisce il Congresso Nazionale Generale (GNC), che ha l’incarico di redigere una nuova Costituzione.

Ben presto però, i partiti islamisti si impongono come maggioranza assoluta rispetto alle forze liberali e riescono a far eleggere il loro rappresentante Nuri Busahmein Presidente del Congresso. È dopo la presa di coscienza del potere crescente dei partiti fondamentalisti che entra prepotentemente in gioco il generale Khalifa Haftar: intimorito dalla svolta religiosa del Congresso, nel 2014 il generale ne chiede lo scioglimento e guida le prime offensive armate contro i gruppi armati islamisti in stanza a Bengasi. Inizia così l’“Operazione Dignità” che ha lo scopo dichiarato di liberare il Paese delle violenze e dall’oppressione delle milizie islamiche da parte dell’autoproclamato Esercito Nazionale Libico di Haftar. L’offensiva di Haftar si spinge fino a Tripoli dove riesce ad ottenere lo scioglimento del Parlamento. Si tengono quindi nuove elezioni che portano alla formazione di una nuova Camera dei Rappresentanti che si insedia a Tobruk, in quanto unica città ritenuta sufficientemente sicura essendo interamente controllata dalle forze di Haftar.

I gruppi islamisti e quelli vicini alle milizie di misurata però non si arrendono e creano una coalizione per affrontare le forze di Haftar che prende il nome di Alba Libica. Sotto l’egida della nuova coalizione, dall’unione di alcuni rappresentanti del vecchio Congresso Nazionale Generale e di trenta oppositori del parlamento di Tobruk, nasce il “Nuovo Congresso Nazionale Generale” che riconosce Tripoli come capitale. Queste sono le circostanze che hanno portato alla creazione dei due governi che ancora oggi si contendono il controllo della Libia.

Nel marzo del 2015 il Parlamento regolarmente eletto di Tobruk e presieduto da al-Thani aderisce all’”Operazione Dignità” del generale Haftar e lo nomina ufficialmente capo dell’esercito libico. Nel corso del 2015, i colloqui di pace tra i due Parlamenti rivali tenuti sotto lo sguardo dell’ONU continuano, ma le correnti oltranziste presenti in entrambi i governi rallentano le trattative. Nell’ottobre dello stesso anno, l’ONU annuncia che Fayez al-Sarraj sarà nominato primo ministro di un nuovo governo di unitario che dovrebbe ricevere il voto favorevole dei due parlamenti.

Un accordo di pace per la formazione del Governo di Unità Nazionale viene firmato da numerosi membri dei due parlamenti libici, senza però un voto favorevole da parte dei parlamenti stessi. Alla fine del 2015 il Consiglio di Sicurezza dell’ONU riconosce all’unanimità il futuro esecutivo guidato da al-Sarraj come solo governo legittimo della Libia. Nel 2016 il Parlamento di Tripoli si scioglie e si riunisce il nuovo Consiglio di Stato, nuovo organo di rappresentanza che sostiene il Governo di Accordo Nazionale di al-Sarraj. Il Parlamento di Tobruk invece nega la fiducia e le forze armate del generale Haftar manifestano la propria ostilità contro le milizie alleate al nuovo esecutivo.

Da allora gli scontri fra Esercito Nazionale Libico, forze del Governo di Accordo Nazionale e tribù indipendenti non sono mai realmente cessati, anche se Al-Sarraj e Haftar hanno siglato una tregua in vista di nuove elezioni presidenziali di questo inverno.

@commons.wikimedia

Da cosa scappano i libici

Gli scontri tra le milizie e le forze fedeli ai due governi continuano in diverse zone del Paese e hanno ormai portato al collasso le economie locali e buona parte dei i servizi pubblici: il sistema sanitario pubblico è ormai quasi del tutto privo di risorse, alle forze dell’ordine non viene spesso riconosciuta alcuna autorità e anche l’attività dei tribunali risente di un forte calo di efficacia del sistema giudiziario.

È poi frequente che diversi gruppi armati indipendenti, anche se affiliati a una delle due fazioni, prendano di mira degli obiettivi civili per destabilizzare il territorio provocando vittime innocenti. Esecuzioni, torture e violenze fanno purtroppo parte delle pratiche di controllo di molte delle milizie. Rimane costante la concreta paura di finire vittima di attentati, sopratutto nelle zone più instabili dove a contendersi il territorio sono più schieramenti con obiettivi diversi.

Vi è poi la delicata questione legata ai migranti dall’Africa: nel 2017 sono stato oltre 200.000 i richiedenti asilo che hanno tentato di raggiungere l’Europa passando dalla Libia. Molti di questi sono stati incarcerati e hanno subito percosse, estorsioni, violenze sessuali per mano di guardie, milizie e contrabbandieri. Un clima di violenza diffuso che non fa altro che aumentare la paura e l’insicurezza di un popolo diviso fra due governi e decine di tribù locali che si contendono il controllo del territorio.

Dove scappano i libici

A differenza di molti altri Paesi in guerra, dalla Libia non vi è un intenso flusso migratorio verso altri Paesi. Vi è però una consistente migrazione interna che solo nel 2015 ha portato più di 200.000 libici a scappare dalle proprie case. Secondo le stime raccolte dall’UNHCR (Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati), dalla sola città di Sirte sarebbero fuggine 19.000 famiglie che si sono rifugiate in altre 18 città sparse fra tutto il Paese: le mete più gettonate sarebbero state Tarhona, Bani Walid, Misurata e Tripoli, ritenute più sicure e meno esposte agli attacchi delle milizie. Anche da Bengasi dal 2014 sono dovute scappare più di 13.000 famiglie. Chi fugge spesso viene ospitato dai parenti o vive in pessime condizioni cercando però in tutti i modi di mantenere una vita dignitosa per la propria famiglia. Ma anche lasciare la propria città per sfuggire dalla guerra comporta i suoi rischi. Non è raro che i gruppi armati intercettino le famiglie in fuga e chiedano ingenti somme di denaro per permettere loro di proseguire il viaggio. Se non riesci a pagare vieni dirottato verso altre destinazioni o preso in ostaggio.

Sono in pochi a scegliere la fuga verso l’Europa in quanto vi è comunque una speranza diffusa che la guerra civile non tarderà a finire. Per molti si tratta dunque di stringere i denti e sperare di poter presto tornare alla vita di tutti i giorni prima del conflitto. Sono circa 335.000 le persone che sono riuscite a fare ritorno alle proprie case dopo essere fuggiti durante gli anni più intensi della guerra. Dopo la cacciata dell’ISIS dal Paese nel 2016 e la messa in sicurezza del territorio da parte degli eserciti dei due governi, la situazione in alcune regioni si è quasi normalizzata pur rimanendo presente una grave crisi economica e una generale sfiducia istituzionale. Quello che i cittadini libici hanno, che invece manca a molti altri migranti in fuga dalla guerra, è la consapevolezza che la guerra civile avrà una fine e che potranno tornare prima o poi alla loro vita di tutti i giorni. È questa convinzione che spinge sopratutto le famiglie a non dividersi e rimanere unite rifugiandosi nelle zone più sicure del Paese.

Cosa resta in Libia

L’Esercito Nazionale Libico continua a mantenere il controllo della Cirenaica grazie soprattutto al sostegno militare garantito da Russia ed Egitto. Il governo di al-Sarraj controlla invece parte della Tripolitania, mentre, sparse in tutto il Paese, le tribù locali si contendono piccole porzioni di territorio.

La situazione rimane caotica, ma la tregua fra i due governi in attesa delle prossime elezioni sembra aver disteso la situazione. Le consultazioni sono state fissale il prossimo 10 dicembre dopo una conferenza internazionale convocata da Emmanuel Macron coi leader libici a fine maggio. L’accordo raggiunto prevede la riunificazione geografica delle istituzioni democratiche, con lo spostamento di entrambi i rami del Parlamento a Tripoli. Apposite commissioni supervisionate dall’ONU stanno lavorando per la stesura di una nuova Costituzione e il testo per una nuova legge elettorale da adottare in vista delle elezioni.

Ma non tutti sono convinti della soluzione proposta dalla conferenza: 13 milizie e gruppi politici di città importanti della Tripolitania (misurata, Zintan, Zliten, Sabrata e altre) hanno diffuso un comunicato per dire che boicotteranno l’accordo, in quanto hanno paura che il Generale Haftar sarà il principale benefattore di un accordo di questo tipo data la scarsa presa che i rappresentanti del Governo di Accordo Nazionale hanno su buona parte dei cittadini.

Conclusioni

La Libia rimane un Paese diviso e in guerra, ma chi fugge dagli scontri continua a mantenere la speranza di poter prima o poi tornare nella propria casa. Per questo sono in pochi a scegliere la via dell’espatrio e molte famiglie decidono di spostarsi nelle zone più sicure ospiti da parenti o convinti di riuscire a mantenersi tutto il tempo necessario fino alla fine del conflitto. Si è quindi creato un fenomeno di migrazione interno che però viene minacciato dalle milizie delle tribù locali che richiedono ingenti somme ai profughi in fuga per poter proseguire il viaggio. Ai flussi migratori interni si uniscono anche quelli provenienti da tutta l’Africa diretti verso le coste del Mediterraneo. I profughi stranieri fermati vengono incarcerati e subiscono torture e violenze fisiche, come denunciato da diverse inchieste internazionali. Il Paese rimane aggrappato alla speranza che le elezioni di dicembre possano porre fine alla situazione caotica e che la Libia possa riunificarsi sotto una figura capace di tenere insieme le diverse anime delle tribù sparse su tutto il territorio.

Il filo

Conoscere quello che succede nel mondo ci rende persone più consapevoli. Ci aiuta a collocare le nostre vite dentro un contenitore più grande, una scatola di senso che ci mette in relazione con persone e contesti lontani eppure sempre più vicini. Ci fa capire meglio le ragioni di fenomeni che sono presenti anche nelle nostre vite, come le migrazioni e i viaggi.

Per questo abbiamo voluto aprire finestre sulla situazione politica, sociale ed economica di molti paesi del cosiddetto “sud del mondo”. Lo facciamo con un attento e costante lavoro di ricerca dei nostri autori e, quando possibile, raccogliendo informazioni di prima mano grazie a contatti che vivono e lavorano nei paesi che raccontiamo. Questo sguardo dal campo è possibile anche grazie alla collaborazione con l’Associazione Mekané, che si occupa di cooperazione internazionale e ha un’estesa rete di contatti con cooperanti in molti paesi. Buona lettura!

Africa: Tunisia, Algeria, Libia, Nigeria, Eritrea, Senegal, Mozambico, Sud Sudan, Zimbabwe.
Asia: Afghanistan, Pakistan, Siria.
Centro e Sud America: Venezuela, El Salvador, Guatemala, Haiti.

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Fiorentino di nascita, Web Marketing Specialist per diletto e Nerd di professione. Si nutre di cultura pop e vive la sua vita perennemente in direzione ostinata e contraria. Per Le Nius supporta l'area editoriale, in ambito politica, e l'area social. matteo@lenius.it
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