Israele e Palestina, la libertà di opinione sotto censura5 min read

11 Novembre 2023 Comunicazione Cultura Mondo Politica -

Israele e Palestina, la libertà di opinione sotto censura5 min read

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Un diritto inalienabile in pericolo

In questo mese dal nuovo scoppio del conflitto israelo-palestinese, in Europa stiamo assistendo a una deriva gravissima e preoccupante: gli attacchi alla libertà di opinione, manifestatasi sotto varie forme.

Chi manifesta in favore della causa palestinese viene tacciato di supportare Hamas. Le innumerevoli manifestazioni in giro per il mondo a sostegno della Palestina per chiedere ad Israele il cessate il fuoco e la liberazione dei territori palestinesi occupati da decenni sono state criticate e in alcuni paesi addirittura vietate, come in Germania e in Francia, dove a Parigi la polizia ha utilizzato gli idranti contro i manifestanti. Sotto gli occhi della comunità internazionale si sta compiendo il genocidio della popolazione di Gaza, che in un mese ha causato oltre 11mila morti civili.

E la censura dell’opinione si è manifestata anche sui social media: molti utenti hanno, infatti, denunciato la pratica da parte di Instagram dello shadow ban, ossia l’oscuramento di post e stories che condividono video e foto riguardanti il conflitto israelo-palestinese, rendendo di fatto impossibili per i follower le visualizzazioni di questi contenuti. È successo a me quando ho pubblicato alcune stories su ciò che sta accadendo a Gaza, ma anche alla maggior parte dei miei contatti e ad influencer molto seguiti. Addirittura, alcuni account sono stati chiusi dal social network (un esempio è la pagina di Karem_from_Haifa, costantemente chiusa, riaperta e richiusa, come denuncia Karem col suo accento toscano dalla sua nuova pagina di Instagram Karem_dalla_Palestina).

 

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Un post condiviso da Karem Rohana (@karem.dalla.palestina)


E poi ci sono quegli studenti italiani accusati di aver giustificato l’attacco di Hamas del 7 ottobre come azione di militanti contro l’occupazione israeliana, in seguito ripresi dal Ministro dell’istruzione. Denunciare o minacciare di arresto chi esprime la propria opinione dovrebbe essere un retaggio del passato. L’articolo 21 della nostra Costituzione afferma chiaramente che

Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.

Liberamente.

La scuola ha un compito fondamentale: educare alla conoscenza, alla comprensione, ma soprattutto allo spirito critico nel rispetto della dignità e dell’opinione altrui. Al contrario, la politica ci sta insegnando che la libertà di espressione rischia di essere minata, perché ogni dichiarazione che va contro la retorica mainstream può essere impugnata con la forza da un ministro contro degli studenti che hanno espresso una propria opinione, che il governo non ha alcun diritto di imbavagliare e censurare.

Poi abbiamo assistito anche a un’altra tendenza, che conosciamo molto bene. Ogni qual volta un gruppo di miliziani o dei lupi solitari che si professano musulmani attaccano un luogo simbolo dell’Occidente uccidendo delle persone al grido di “Allahu Akbar” alcuni politici e media italiani si lanciano in accuse assurde: i musulmani in Italia “non condannano” o “non condannano abbastanza”. Questo modus operandi di alcuni politici è partito con l’attacco alle Torri Gemelle, e si è rafforzato dopo quello alla redazione di Charlie Hebdo e al Bataclan. E per onestà intellettuale, “Allahu Akbar” significa letteralmente “Dio è grande” e non inneggia alla violenza o alla guerra santa.

Questa volta con l’aggressione di Hamas ad Israele del 7 ottobre siamo di nuovo al punto di partenza: secondo qualche politico, l’Islam in Italia non condannerebbe il violento attacco contro i civili israeliani. “L’Islam deve condannare”, afferma il Ministro dei Trasporti e Infrastrutture. Ma chi è l’Islam? L’Islam non ha un rappresentante assoluto.

Chi governa non ha ancora capito che l’Islam non è un monolite da generalizzare a piacimento quando fa comodo e poi, quando la comunità islamica chiede un’Intesa con lo Stato italiano (come sarebbe giusto che sia per regolamentare la presenza dell’Islam in Italia secondo le norme della Costituzione), allora in tal caso facciamo i finti tonti perché non vi è un rappresentante unico con cui interloquire.

Non è più accettabile questo grido al “nemico interno”, i musulmani italiani (o i migranti, a seconda del momento), che non condannerebbero le violenze e dunque ne sarebbero complici. No, i musulmani non sono a favore né della violenza né del terrorismo di qual si voglia matrice. Manifestare per la causa palestinese non equivale a supportare Hamas.

A chi grida questi refrain, rispondo, da musulmana italiana (senza arrogarmi la presunzione di parlare per tutti i musulmani), che è alquanto oltraggioso pensare che, come cittadini italiani di fede islamica, dobbiamo dimostrare continuamente che non siamo disumani, in favore della violenza, solo perché qualcuno ha ucciso in nome del nostro Dio, che poi è il Dio unico di tutti i popoli. Chiederci continuamente di condannare un’azione che la logica e l’umanità non possono accettare offende la nostra intelligenza e lede la nostra dignità come persone. La libertà di espressione presuppone il diritto di condannare o di restare in silenzio. O di manifestare liberamente per una causa in cui si crede.

In questi giorni, la retorica mainstream in Europa e in USA supporta Israele senza se e senza ma, perché ha diritto di difendersi, sebbene la sua rappresaglia difensiva abbia portato ad oltre 11mila civili palestinesi massacrati in questo ultimo mese.

Contrariamente all’idea perpetrata dai media nei Paesi occidentali, sostenere la causa palestinese per il diritto del popolo di  autodeterminarsi e vivere libero, fuori dall’attuale stato di apartheid, non equivale in alcun modo ad appoggiare le violenze perpetuate da Hamas nei confronti dei civili. Denunciare Israele per i massacri dei civili palestinesi non equivale a supportare Hamas.

Si tratta, invece, della naturale difesa di un popolo occupato da decenni, nonostante le risoluzioni dell’Onu contro gli abusi di Israele, e vessato continuamente, come denunciano le organizzazioni umanitarie.

Da un mese, in Piazza della Vittoria a Reggio Emilia, in concomitanza con altre piazze in giro per l’Italia, ho assistito alle manifestazioni che gridano “Palestina libera!“ e mi sono commossa di fronte alla bandiera palestinese che sventolava ai piedi del monumento ai partigiani reggiani.

Mi rifiuto di credere che in questa tragica vicenda alcuni popoli abbiano più diritto di altri all’esistenza e alla resistenza, mentre chi è più debole viene massacrato nel silenzio della comunità internazionale.

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Nata in Marocco e cresciuta in Italia, è laureata in Lingue e Letterature Straniere e in Relazioni Internazionali a Bologna. Dopo un tirocinio al Nuovo Diario Messaggero, si è riaccesa la passione per il giornalismo. Adora leggere e scrivere, e si diletta a comporre poesie e a fotografare qualsiasi cosa la incuriosisca.
1 Commenti
  1. Antonio

    Complimenti per l'articolo. Una prospettiva del tutto condivisa. Ancora una volta, gli oscuri interessi dei centri di potere che influenzano i mass media, in un modo o nell'altro, diventano evidenti. Questo, insieme alla grande ignoranza che prevale intorno sulla diversità culturale, crea una situazione sociale confusa e conflittuale, in cui il cittadino senza una sufficiente conoscenza reale del problema in Israele deve affidarsi a ciò che considera sicuro. Già addomesticato dalla retorica di chi ha voce e di fronte alla propria limitata capacità di riflessione, forse prodotto in parte dalla indotta pigrizia mentale. Ma non permettiamo che il rumore violento e la pericolosa indifferenza di alcuni governanti oscurino la volontà di un popolo che merita - come ogni altro - di vivere in un territorio in cui possa vivere ed essere riconosciuto. E non è una questione di buonismo, ma di elementare umanità, se vogliamo davvero vivere in pace.

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