Perché tanti salvadoregni fuggono dal Salvador9 min read
Reading Time: 7 minutesCome richiesto da molti lettori sulla pagina Facebook di Le Nius, continuiamo il nostro viaggio per approfondire i contesti di partenza dei migranti e le ragioni per cui molte persone partono da determinati paesi e regioni. Riprendiamo un articolo scritto sul Salvador, considerato uno degli stati più insicuri al mondo da cui ancora oggi fuggono migliaia di persone, alcune delle quali arrivano in Italia, dove è presente una comunità consistente di salvadoregni, perlopiù concentrati in Lombardia, con l’80% dei 13.550 registrati in Italia.
Dal 2015 la violenza delle gang ha reso il Salvador il paese del mondo con il più alto tasso di omicidi: le strade sono in mano alle gang locali, la polizia cerca di rispondere alla criminalità con una dura repressione e il caos politico è esasperato dalla corruzione dilagante. Cerchiamo di capire come si è arrivati alla situazione odierna e proviamo ad entrare nel mondo delle maras, le bande locali che terrorizzano con omicidi ed estorsioni i cittadini salvadoregni.
Storia del Salvador
El Salvador è lo stato meno esteso ma più densamente popolato dell’America centrale. Dall’anno della sua indipendenza dalla Spagna nel 1841, la repubblica salvadoregna è stata guidata da diversi governi autoritari, spesso presieduti da militari. Per tutto il ‘900, presidenti “democraticamente eletti” dal popolo hanno assunto le redini del potere nel paese e non sono mancati diversi colpi di Stato da parte dell’esercito. Intorno agli anni ’70, il continuo aggravarsi della situazione politica e le croniche incertezze economico-sociali interne portano alla formazione di un partito di opposizione in aperto contrasto col partito militare alla guida del governo. Alle elezioni del ’72 il nuovo partito sostiene la candidatura del democristiano José Napoleon Duarte ma a prevalere alle consultazioni è il candidato dei militari, il Colonnello Molina. La dura contestazione dei risultati elettorali sfocia ben presto in un vero e proprio tentativo di colpo di stato da parte dell’opposizione che viene però represso con violenza dall’esercito fedele al presidente.
Nel ’77 il Generale C.U.Romero vince nuovamente le elezioni per il partito governativo e nei due anni successivi, accentua l’attività repressiva nei confronti delle opposizioni favorendo la formazione e diffusione di gruppi armati organizzati in vere e proprie guerriglie. Nel 1979 Romero viene rovesciato da un nuovo colpo di stato che porta alla formazione di una nuova giunta formata da esponenti militari e civili. Il nuovo vertice cerca di aprire le trattative con l’opposizione non violenta non legata alla guerriglia, ma il dialogo è bruscamente interrotto dopo l’uccisione di 22 persone avvenuta per mano della guardia nazionale nel tentativo di disperdere una folla di manifestanti. A seguito dell’episodio, la giunta perde molti rappresentanti civili ma rimane unita sotto la guida di José Napoleon Duarte. Nel corso del 1980, l’opposizione di sinistra dà vita ad un coordinamento rivoluzionario di massa, accentuando le divisioni e la violenza nel Paese.
L’apice dell’instabilità viene raggiunto con l’omicidio dell’arcivescovo Óscar Arnulfo Romero, da sempre in prima linea nel denunciare le violenze dei militari, avvenuto durante la Messa nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza. Nel dicembre dello stesso anno Duarte viene eletto Presidente. Nei mesi successivi vengono aperti i primi tentativi di dialogo dopo l’aperto sostegno ricevuto da Duarte dalla Chiesa cattolica, ancora più influente dopo il martirio dell’arcivescovo Romero.
Nel 1984 si tiene a La Palma lo storico incontro tra Duarte, l’arcivescovo di San Salvador, i capi militari del “Fronte di liberazione nazionale Farabundo Martí” (Fmln) e i due massimi esponenti del “Fronte democratico rivoluzionario” (Fdr). Malgrado l’impegno profuso dal Presidente Duarte nel trovare una soluzione pacifica, il partito di destra Arena (sostenuto da buona parte dei militari) fa di tutto per ostacolare il dialogo bloccando la proposta di pace in Parlamento. Il suo leader, il maggiore Roberto D’Aubuisson, viene accusato di essere il mandante dell’omicidio di Romero, ma questo non gli impedisce di vincere le elezioni amministrative del 1988. La popolarità crescente di Arena e la crisi dei democristiani porta nel 1989 la vittoria del partito di destra alle presidenziali col suo candidato Alfredo Cristiani. Contrariamente a molti scettici, Cristiani si rivela molto conciliante malgrado le continue violenze sia da parte dei guerriglieri comunisti che dei militari. Nel 1990 a Ginevra gli schieramenti in lotta si riuniscono nuovamente per concordare la pace e finalmente nel 1992 viene finalmente sancita la fine della guerra civile. Dopo la firma della pace, Arena guida il Paese vincendo tutte le elezioni successive fino al 2009 quando “passa la mano” al “Fronte di liberazione nazionale Farabundo Martí” ed il suo candidato Mauricio Funes. Il partito rivoluzionario è al governo oggi con l’attuale Presidente Salvador Sánchez Cerén.
L’eredità della guerra civile
Malgrado il conflitto armato si sia ufficialmente concluso 25 anni fa, i due schieramenti principali l’Fmln e Arena continuano a contendersi il potere spinti dai medesimi obiettivi: l’instaurazione del socialismo per i primi e la completa sparizione dei comunisti per gli altri. La mancanza di politiche di lungo termine e la frammentazione del Parlamento ha impedito agli ultimi governi un’azione effettivamente efficace nel rispondere alle esigenze del Paese. Il dialogo fra i due partiti è quasi del tutto assente e questo non favorisce soluzioni di continuità.
Il tasso di crescita economica negativo, la corruzione dilagante, la gestione del disavanzo di bilancio e la criminalità incontrollata sono solo alcuni esempi dei temi rimasti aperti che stanno portando El Salvador sull’orlo del baratro. In particolare, il fenomeno della criminalità organizzata è una delle piaghe che più incide sia sull’economia che sulla qualità della vita dei cittadini: secondo alcune stime pubblicate su “Internazionale”, il costo della violenza e dell’insicurezza ammonta al 16% del Pil e interi villaggi si sono svuotati, con migliaia di salvadoregni che chiedono asilo in Paesi stranieri per sfuggire alle violenze.
La violenza incontrollata in Salvador
Come riporta il Guardian, l’11 gennaio 2017 è stato il primo giorno dopo 719 giorni senza almeno un omicidio nel Paese. Per la precisione, l’ultima volta era successo il 22 gennaio 2015. Questa ricorrenza e l’evidenzia mediatica che ha ricoperto a livello internazionale ci fornisce la misura di quanto sta succedendo in El Salvador. Nel 2016 ci sono stati in tutto 5.278 omicidi, con una media di 18 al giorno. A portare sotto gli occhi di tutto il mondo la disperata situazione del Paese sono stati i giornalisti della testata “El Faro”. Con l’aiuto del New York Times, El Faro ha realizzato un’inchiesta sull’attuale situazione in El Salvador, che è arrivata anche in Italia sulle pagine di Internazionale.
Le principali bande del Paese (chiamate maras) contato sul territorio più di 60mila affiliati che corrispondono a circa il 9% della popolazione. Sono tre le principali maras attive nel Paese: Mara Salvatrucha, Barrio 18 Sureños e Barrio 18 Revolucionarios. Ognuna di esse è fortemente radicata nella propria zona di influenza grazie ad un sistema capillare di fedeli affiliati. La storia della nascita delle gang è particolare: le prime maras sono nate nei quartieri malfamati di Los Angeles come piccoli gruppi criminali formati interamente dal salvadoregni.
A metà degli anni ’90, a causa delle politiche di espulsione di massa statunitensi, i componenti delle gang furono rimpatriati ma continuarono le loro attività criminali anche in patria. La povertà dilagante e i facili guadagni della vita da mareros hanno ben presto fatto presa sui più giovani, permettendo alle gang una rapida diffusione e radicalizzazione sul territorio.
Contrariamente a quanto si può immaginare, le maras non sono ricche mafie locali: un affiliato guadagna in media 15 dollari alla settimana e anche i boss vivono nelle stesse condizioni dei propri sottoposti, sfoggiando alle volte macchine di lusso di seconda mano importate dagli USA. Questo è dovuto al fatto che buona parte dei proventi delle gang provengono da veri e propri atti di estorsione ai danni dei piccoli commercianti. Si tratta di fatto di un’economia di sussistenza basata sulla criminalità organizzata. I guadagni annuali della Mara salvadoregna si aggirerebbero solamente intorno ai 31,2 milioni di dollari. Degli spiccioli in confronto al giro di affari di molte altre organizzazioni criminali attive nel centro America.
Rimane comunque il fatto che più del 70% delle attività commerciali verserebbe il pizzo alle gang e molti fra loro sono semplici autisti di autobus di imprese private. Solo negli ultimi cinque anni sono stati infatti ben 692 gli operatori di trasporto uccisi dalle gang: molti di loro sono morti perché non disposti a pagare un pizzo di pochi dollari a settimana. Sotto la spinta del governo, le forze dell’ordine stanno reprimendo con la violenza le attività delle gang: negli ultimi due anni, sono stati uccisi novecento membri delle maras e il numero degli omicidi è sceso del 20% dallo scorso anno. Malgrado con questi dati l’esecutivo cerchi di tranquillizzare la popolazione, i salvadoregni hanno sempre più paura della polizia. Secondo una testimonianza riportata dall’inchiesta di El Faro, la polizia avrebbe più volte inscenato finte sparatorie o scontri per coprire i soprusi nei confronti dei sospettati fermati. La sezione per i diritti umani della procura competente sta già svolgendo le adeguate indagini su ben 31 casi di presunti omicidi sommari da parte della polizia. Tuttavia, le accuse non hanno fatto cambiare idea al governo. Il vicepresidente Oscar Ortiz ha infatti dichiarato:
Se l’uso della forza non è la strada giusta in questo momento, allora quando lo è?
I salvadoregni in fuga alla ricerca di protezione e asilo politico
Molti dei cittadini salvadoregni non vedono altro destino se non quello che leggono sui graffiti che ricoprono le loro città: “Prigione o cimitero”. La violenza crescente delle gang e della polizia ha portato numerose comunità a scappare dal Paese. Interi quartieri e villaggi si sono svuotati esasperati dalla situazione apparentemente irrecuperabile. Più volte la televisione salvadoregna ha mostrato le immagini di decine di sfollati abbandonare le proprie case scortate dalle forze dell’ordine.
Visto che le forze dell’ordine non erano riuscite a garantire la sicurezza quotidiana dei cittadini, vegliano sul loro trasloco.
commentano i giornalisti dell’inchiesta di El Faro. Questi migranti in fuga cercano riparo perlopiù nei vicini Paesi confinanti, ma molti cercano di spingersi anche oltre: solo nel 2015, all’inizio del massiccio esodo recente, il Messico aveva ricevuto 3.423 richieste di asilo da El Salvador e Honduras (ben il 164% in più dell’anno precedente) e anche il Costa Rica ha registrato più di 2.000 richieste, sopratutto da cittadini salvadoregni; anche gli Stati Uniti hanno ricevuto 252 richieste d’asilo fra il 2014 e il 2015. Coloro che ne hanno la possibilità cercano addirittura di superare i confini continentali: in Italia abbiamo ricevuto ben 389 richieste d’asilo provenienti da El Salvador.
Il filo
Conoscere quello che succede nel mondo ci rende persone più consapevoli. Ci aiuta a collocare le nostre vite dentro un contenitore più grande, una scatola di senso che ci mette in relazione con persone e contesti lontani eppure sempre più vicini. Ci fa capire meglio le ragioni di fenomeni che sono presenti anche nelle nostre vite, come le migrazioni e i viaggi.
Per questo abbiamo voluto aprire finestre sulla situazione politica, sociale ed economica di molti paesi del cosiddetto “sud del mondo”. Lo facciamo con un attento e costante lavoro di ricerca dei nostri autori e, quando possibile, raccogliendo informazioni di prima mano grazie a contatti che vivono e lavorano nei paesi che raccontiamo. Questo sguardo dal campo è possibile anche grazie alla collaborazione con l’Associazione Mekané, che si occupa di cooperazione internazionale e ha un’estesa rete di contatti con cooperanti in molti paesi. Buona lettura!
Africa: Tunisia, Algeria, Libia, Nigeria, Eritrea, Senegal, Mozambico, Sud Sudan, Zimbabwe.
Asia: Afghanistan, Pakistan, Siria.
Centro e Sud America: Venezuela, El Salvador, Guatemala, Haiti.
Nessuno
La soluzione quale sarebbe? Lasciare donne, vecchi, bambini, un Paese intero al suo destino, in mano ai criminali, e chi scappa lo fa con il "ognuno per se e Dio per tutti"? L'autodeterminazione dei popoli significa anche avere la capacità, ma sopratutto la lungimiranza, di evitare che una nazione cada preda di criminali che delle regole non sa cosa farsene e di queste, leggendo la cronaca, sopratutto di Milano, di gang del centro America sembrano iniziare a seminare altrattanta paura in lotta con le altre organizzazione criminali straniere per contendersi il territorio. Del resto come ben saprà anche da noi la criminalità organizzata, la mafia e le altre, non riescono a sconfiggerla e ci si convive da secoli. Nelle Filippine il pugno duro di Rodrigo Duterte contro i peggiori criminali sta iniziando a dare i suoi frutti ma viene pesantemente criticato da Human Rights Watch. Poichè si sta parlando dei peggiori criminali che si possano immaginare, assassini che uccidono a sangue freddo per 2 o 3 dollari (a Napoli per quanto?), organizzazioni che commettono stragi per terrorizzare, Amnesty e Human Rights Watch, cosa dovrebbero proporre per debellare questo crimine nelle Filippine e nella prima nazione in cui approdò Cristoforo Colombo?