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Quanti migranti sono arrivati nel 2019?

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Melilla, confine Spagna-Marocco | fronterasur

Il 2019 è stato un anno controverso per quanto riguarda i flussi migratori nel Mediterraneo. In Italia sono arrivate via mare poco più di diecimila persone, un numero estremamente basso rispetto agli anni precedenti.

A cosa dobbiamo questa drastica riduzione? Sostanzialmente all’aver bloccato le persone migranti in Libia, cosa di cui un giorno dovremo rispondere davanti al tribunale della storia: le persone in Libia, o tentando di scappare dalla Libia, muoiono, vengono torturate, stuprate, abusate.

Diversa la situazione europea più ampia. Nel 2019 abbiamo assistito ad una significativa ripresa degli arrivi di migranti in Grecia, con l’accordo siglato nel 2016 con la Turchia che mostra segni di cedimento. Seppur ridotto rispetto al 2018, continua anche un certo flusso di persone in entrata in Spagna.

In sostanza l’Europa ha rafforzato una linea molto semplice, e molto cruda: chiudere fuori i migranti dai propri confini, in Turchia, in Libia, in Marocco, Tunisia, Niger, Sudan.

Al proprio interno continua a litigare, anche se qualche barlume di linea comune si è intravista a fine 2019. Vediamo ora i numeri delle persone migranti arrivate via Mediterraneo in Italia e in Europa, e le principali novità politiche del 2019, che riassumiamo in questa versione finale del post.

Qui i numeri del 2020

Migranti 2019: i numeri in Italia

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2019 sono sbarcate in Italia 11.471 persone. Nel 2018 arrivarono 23.371 migranti, addirittura 119.247 persone nel 2017. Un calo del 51% rispetto al 2018 e del 90% rispetto al 2017.

Tra i paesi di provenienza del 2019 sono arrivate soprattutto persone da Tunisia (2,6 mila persone, 23% del totale) seguite da Pakistan (1,2 mila persone, 10%), Costa d’Avorio, Algeria e Iraq.

Rispetto al 2018 tutte le nazionalità sono in calo, compresa la Tunisia stessa che ha dimezzato i propri flussi di persone in arrivo. Il calo più drastico è quello degli eritrei: ne arrivarono 3,3 mila nel 2018, sono 236 nel 2019.

Quanto al genere e all’età delle persone sbarcate, il 72% delle persone arrivate sulle coste italiane negli ultimi 12 mesi è di sesso maschile, le donne sono il 10%, i minori il 18% – in buona parte minori non accompagnati. Queste percentuali sono sostanzialmente invariate nel corso del tempo.

Migranti 2019: i numeri in Europa

Se consideriamo gli arrivi su tutte le coste europee, tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2019 sono arrivati via mare in Europa circa 123 mila migranti (nel 2018 furono circa 141 mila).

La Grecia torna ad essere l’approdo più significativo, con 74.482 arrivi nel 2019, di cui 59 mila via mare e 15 mila via terra attraverso il delta del fiume Evros tra Turchia e Grecia. È un dato superiore del 32% rispetto al 2018, quando arrivarono 50 mila persone.

Dall’accordo con la Turchia del 2016 l’afflusso in Grecia si era stabilizzato intorno ai due-tremila arrivi al mese, ma l’estate 2019 ha fatto segnare una netta ripresa dei flussi, che sono continuati anche durante l’inverno.

In Grecia sono arrivati soprattutto afghani (il 39% degli arrivi) e siriani (28%). Curioso l’arrivo di quasi quattromila persone dalla Repubblica Democratica del Congo, che si sono spostate dal cuore dell’Africa in Turchia per poi entrare in Grecia.

In Spagna sono arrivate 32.513 persone nel 2019, la metà rispetto alle 65 mila del 2018. Si tratta di persone che entrano in Spagna in gran parte via mare ma in parte anche via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti con il Marocco. In Spagna arrivano persone provenienti dal Maghreb (soprattutto Marocco, il 28% degli arrivi, e Algeria) e dell’Africa subsahariana (Guinea, Mali, Costa d’Avorio, Senegal).

Vanno poi considerati anche i 3,3 mila arrivi registrati a Malta e i gli 1,7 mila registrati a Cipro.

Migranti 2019: strategie politiche

La principale linea comune europea è stata nel 2019 quella di intensificare l’azione di controllo dei confini esterni, per lasciare fuori dall’Europa il maggior numero di migranti possibile.

Vediamo le principali situazioni e scelte politiche adottate nel 2019 dall’Italia e dall’Unione Europea.

Lo smantellamento dell’accoglienza in Italia

Il decreto Sicurezza e immigrazione, o decreto Salvini, è diventato legge a dicembre 2018, e ha iniziato a dispiegare i suoi effetti nel 2019.

Il decreto ha abolito l’istituto della protezione umanitaria, la forma di protezione più utilizzata per i richiedenti asilo che fanno domanda in Italia, che si aggiungeva alle due forme condivise a livello internazionale (lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria – qui abbiamo spiegato le differenze).

La conseguenza più immediata è stata l’aumento degli immigrati irregolari presenti sul territorio italiano, a causa del netto incremento della percentuale di diniegati, di coloro cioè che ricevono risposta negativa alla domanda di asilo e che prima ricevevano – non tutti certo, il 25% circa – la protezione umanitaria.

Secondo un rapporto di ActionAid e Openpolis, sarebbero 80 mila le persone rese irregolari dal decreto Salvini, per un numero totale di irregolari che potrebbe raggiungere le 680 mila unità a fine 2019 e le 750 mila a fine 2020.

Il decreto Salvini ha inoltre modificato radicalmente l’impostazione del sistema di accoglienza dei migranti in Italia, come abbiamo spiegato ampiamente qui.

Le conseguenze, che abbiamo approfondito in questo articolo pubblicato a un anno dal decreto, sono nefaste: molte persone vengono escluse dal sistema di accoglienza e messe in strada, e a chi rimane nel sistema vengono garantiti sempre meno servizi e di sempre minore qualità. Molte operatrici e operatori impiegati nei progetti di accoglienza perdono il lavoro.

La criminalizzazione del soccorso in mare

La firma dell’accordo tra Italia e Libia di metà 2017 promosso dall’ex ministro Minniti ha segnato anche l’avvio dello scientifico smantellamento del sistema di soccorso civile in mare portato poi a compimento dal suo successore Salvini.

L’accordo aveva di fatto legittimato l’operato molto aggressivo della Guardia costiera libica (e annesse milizie poco controllabili) cosa che, ben più del tanto discusso Codice di Comportamento delle Ong voluto da Minniti, aveva messo a rischio l’incolumità degli equipaggi delle navi di soccorso, convincendo molte Ong a ritirarsi dal campo del Mediterraneo centrale.

Alcune di esse poi sono state costrette a terra da ingiunzioni legali risoltesi sempre con un nulla di fatto. Il risultato è che a inizio 2019 erano pochissime le navi in attività, e quelle che hanno poi ripreso a navigare nel Mediterraneo centrale sono state sottoposte a ogni sorta di ostacolo.

Il 2019 è stato infatti un anno di navi cariche di persone migranti bloccate in mezzo al mare per il divieto di approdo ai porti italiani. La storia dei porti chiusi (che poi chiusi non sono mai stati) era cominciata da giugno 2018, da quando cioè Salvini era diventato ministro dell’interno, e ha raggiunto il suo apice mediatico a giugno 2019 con il braccio di ferro con la nave Sea Watch.

Il 12 giugno l’imbarcazione ha tratto in salvo 53 persone al largo delle coste libiche, di cui 13 sono state sbarcate nei giorni successivi per motivi di salute. Non avendo ricevuto l’autorizzazione a recarsi in Italia, ha trascorso 14 giorni a danzare attorno alle acque territoriali italiane.

Dopo 14 giorni la capitana della nave, Carola Rackete, ha deciso di forzare il divieto di accesso alle acque territoriali, è entrata e ha fatto rotta verso Lampedusa, dove è attraccata, senza autorizzazione, il 29 giugno, portando definitivamente in salvo i 40 migranti che erano rimasti a bordo.

Carola Rackete è stata arrestata, arresto che però non è stato convalidato dal gip di Agrigento che ha riconosciuto il rispetto del diritto internazionale e delle leggi italiane, come ben spiegato qui.

A seguito di questa vicenda, il governo gialloverde ha prodotto un secondo decreto sicurezza, noto come Decreto sicurezza bis, che abbiamo presentato qui. Si tratta in sostanza di un decreto costruito ad hoc per contrastare l’azione delle navi umanitarie nel Mediterraneo.

Il decreto stabilisce che il Ministro dell’Interno può, “per motivi di ordine e sicurezza pubblica”, limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale, e prevede sanzioni molto pesanti per le navi che violano tale divieto.

Tutto questo nonostante il 2019 sia l’anno in cui si è finalmente acclarato ciò che da tempo già si sapeva: non esiste alcuna correlazione tra presenza di navi di Ong in mare e partenze di migranti dalla Libia.

Le morti in mare

Le persone muoiono in mare da sempre, tanto che negli ultimi cinque anni, dal 2014 al 2019 sono 15 mila le persone morte nel Mediterraneo. 15 mila. Una vera e propria ecatombe, che pure considera solo le morti di cui siamo a conoscenza.

Il 25 luglio 2019 si verifica il più grave naufragio dell’anno, con 150 persone che perdono la vita a causa del rovesciamento di due imbarcazioni da poco partite dalla Libia.

Se si guarda ai numeri assoluti, il 2019 ha visto un calo nel numero di morti in mare, ma solo perché sono state in calo le partenze. In termini relativi, l’attraversamento del Mediterraneo è sempre più pericoloso: nel periodo giugno 2018-giugno 2019, in cui sono gradualmente entrate in vigore le politiche di deterrenza di Salvini, ha perso la vita in mare il 6% delle persone partite dalla Libia, contro il 2% dei periodi precedenti.

Gli accordicchi in Europa

Grande novità di settembre 2019 è stata l’accelerazione imposta al processo che dovrebbe portare ad un accordo per la redistribuzione dei migranti in arrivo sulle coste di Italia e Malta in altri paesi europei.

L’accordo è stato raggiunto a Malta il 23 settembre (qui un nostro approfondimento), ma il processo si è poi arenato. Durante il Consiglio dell’Unione Europea dell’8 ottobre l’accordo è stato sostanzialmente sospeso. Solo Portogallo, Irlanda e Lussemburgo si sono detti disponibili a firmare l’accordo oltre a Francia e Germania, e altri paesi hanno sollevato perplessità, sono perciò necessarie ulteriori discussioni per allargare la platea dei firmatari.

L’accordo era nato soprattutto per evitare situazioni imbarazzanti e irrispettose della dignità umana come quelle a cui erano costretti i migranti salvati dalle navi umanitarie, che prima di poter attraccare in un porto sicuro dovevano stare giorni se non settimane in mare aperto.

Anche se non assistiamo più ai proclami sui porti chiusi di Salvini, rimane aperta la questione su come gestire a livello europeo l’accoglienza dei migranti che attraversano il Mediterraneo.

A novembre la Germania ha ribadito, anche se in via solo ufficiosa, la volontà di arrivare a un superamento del Regolamento di Dublino, resta da vedere quanto questa linea sarà condivisa a livello europeo (cos’è il regolamento di Dublino e come si può superare? Ne abbiamo scritto qui).

Il lato oscuro degli accordi con Libia e Turchia

A inizio ottobre 2019 un’inchiesta di Nello Scavo per Avvenire ufficializza ciò che in realtà sapevamo già, fornendo però prove schiaccianti e imbarazzanti: nel 2017 l’Italia ha trattato direttamente con i trafficanti di esseri umani per siglare l’accordo che avrebbe notevolmente ridotto le partenze di migranti dalla Libia.

Peraltro non con trafficanti qualunque, ma con quello che si ritiene essere il più importante di tutti, conosciuto con il nome di Bija. Diverse inchieste giornalistiche, ma anche documenti delle Nazioni Unite, lo accusano di essere a capo del sistema che gestisce il traffico di esseri umani in Libia, ma anche protagonista di azioni di guerra, tortura e violenza. Insomma, un vero e proprio criminale di alto profilo, quello con cui ha trattato l’Italia all’epoca di Minniti.

Ora quegli accordi sono in via di redifinizione. Il ministro dell’interno Lamorgese ha proposto alla Libia alcune modifiche, che riguardano: la graduale chiusura dei centri di detenzione dei migranti, trasformandoli in centri gestiti dall’Unhcr; il potenziamento dei corridoi umanitari; il supporto alla Libia nel controllo delle frontiere terrestri meridionali; l’attivazione di un piano di supporto umanitario alle municipalità libiche.

Vedremo nei primi mesi del 2020 se tali modifiche verranno effettivamente introdotte e quale sarà la loro effettiva portata. Intanto però trapelano notizie non molto confortanti sulla capacità di rendere effettivi gli accordi sottoscritti: a novembre il Guardian ha pubblicato un report interno dell’Unione Europea, in cui l’Unione Europea ammette di non riuscire a monitorare la cosiddetta guardia costiera libica con cui ha stretto accordi, e che la Libia rimane un paese in cui avvengono estese violazioni dei diritti umani.

Lo stesso documento conferma che “le condizioni dei migranti in Libia sono notevolmente peggiorate di recente per i problemi di sicurezza legati al conflitto in atto, per gli sviluppi nell’economia del contrabbando e della tratta e per il peggioramento della situazione nelle strutture di detenzione sovraffollate”.

Ah, secondo un’inchiesta pubblicata su Euronews, tutto questo ci sarebbe costato finora quasi 500 milioni, di cui cento messi dall’Unione Europea.

La situazione è ora più confusa che mai in Libia, con l’intervento diretto di Turchia e Russia, ed è di nuovo il grande spettro che si agita a pochi chilometri dalle coste italiane, e che rappresenterà certamente ancora un centro di attenzione per tutto il 2020.

Le condizioni disumane dei migranti in Grecia e Bosnia

Nella seconda metà del 2019 è emersa in tutta la sua drammaticità la situazione dei migranti in Grecia, che pure non è mai stata rosea. Il recente incremento negli arrivi, unita alla cattiva gestione da parte della autorità greche ed europee, ha reso ancora più esplosiva la situazione nel sistema di accoglienza greco.

Circa 40 mila persone vivono nei campi profughi sulle isole di Lesbo, Chios, Samos, Kos e Leros. Da tempo la loro situazione, così come quella più in generale di rifugiati e richiedenti asilo in Grecia, è motivo di imbarazzo per tutta l’Europa, e lo sta diventando sempre di più.

Il governo greco infatti ha annunciato di voler chiudere i tre campi profughi per sostituirli con centri di detenzione di almeno cinquemila posti ciascuno. In questi centri i profughi non sarebbero più liberi di muoversi ma sarebbero rinchiusi fino a quando non ottengono una risposta alla loro domanda di asilo o non vengono respinti in Turchia.

Altrettanto complicata la situazione dei profughi lungo la rotta balcanica, in particolare in Bosnia. Qui almeno cinquemila persone sono accampate nella zona di Bihac, in attesa di superare il confine con la Croazia, e poi con l’Italia, oppure con la Slovenia e l’Austria.

A Bihac e dintorni molte persone vivono al di fuori dei circuiti dell’accoglienza, in strada o in case abbandonate e invisi a buona parte della popolazione, dopo la solidale accoglienza iniziale. Non va molto meglio a chi viene “ospitato” nel campo profughi di Vucjack, prive ormai di qualsiasi forma di assistenza. Chi tenta di attraversare il confine poi va incontro ad azioni sempre più violente della polizia croata.

Un’Europa insomma che pur di proteggere i suoi confini è disposta a mandare persone alla morte, a torture, a una vita di grandi sofferenze tra Libia, Turchia, Grecia, Bosnia, Marocco.

Tutti i numeri sugli stranieri in Italia, li trovate qui

Qui invece le parole delle migrazioni: cosa intendiamo con migranti, rifugiati, richiedenti asilo, immigrati, profughi?

Nel 2018 gli arrivi di migranti via mare in Italia e in Europa sono calati sensibilmente rispetto agli anni precedenti, ma nonostante questo il confronto tra i governi europei e nell’opinione pubblica è sempre acceso e divisivo.

Il modello adottato dall’Europa per ridurre drasticamente gli arrivi di migranti è stato quello di chiuderli fuori: prima in Turchia, per bloccare il flusso di siriani e altri asiatici che attraversava il Mar Egeo per approdare in Grecia, poi in Libia, per fermare le partenze verso l’Italia.

In questo post aggiornato mensilmente vediamo se nel corso del 2019 i muri invisibili eretti dall’Unione Europea continuano a bloccare partenze e arrivi, se nuove rotte si aprono, se gli equilibri politici cambiano e se nuove misure vengono introdotte in Italia e in Europa.

Migranti 2019: i numeri in Italia al 30 novembre

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 30 novembre 2019 sono sbarcate in Italia 10.875 persone. Nei primi undici mesi del 2018 arrivarono circa 23 mila migranti, addirittura 119 mila nel 2017.

A novembre sono arrivate 1,2 mila persone, un dato in calo rispetto ai mesi di settembre e ottobre.

Se prendiamo gli ultimi 12 mesi – esercizio analiticamente più significativo che non paragonare gli anni solari – passiamo dai 25.314 arrivi tra il 1 dicembre 2017 e il 30 novembre 2018 ai 13.025 arrivi del periodo 1 dicembre 2018 – 30 novembre 2019, un calo del 49%.

Tra i paesi di provenienza negli ultimi 12 mesi (dati aggiornati al 31 ottobre) sono arrivate soprattutto persone da Tunisia (quasi tremila persone, 23% del totale) seguite da Pakistan (1,3 mila persone, 10%), Algeria, Costa d’Avorio e Iraq.

Quanto al genere e all’età delle persone sbarcate, il 72% delle persone arrivate sulle coste italiane negli ultimi 12 mesi è di sesso maschile, le donne sono il 10%, i minori il 18% – in buona parte minori non accompagnati. Queste percentuali sono sostanzialmente invariate nel corso del tempo.

Migranti 2019: i numeri in Europa al 30 novembre

Se consideriamo gli arrivi su tutte le coste europee, tra il 1 gennaio e il 30 novembre 2019 sono arrivati via mare in Europa circa 112 mila migranti (nei primi undici mesi del 2018 furono circa 131 mila).

La Grecia è l’approdo più significativo, con 67 mila arrivi nel 2019, di cui 54 mila via mare e 13 mila via terra attraverso il delta del fiume Evros tra Turchia e Grecia. È un dato superiore allo stesso periodo del 2018, quando arrivarono 43 mila persone.

Dall’accordo con la Turchia del 2016 l’afflusso in Grecia si era stabilizzato intorno ai due-tremila arrivi al mese, ma l’estate 2019 ha fatto segnare una netta ripresa dei flussi: a luglio 2019 erano arrivate cinquemila persone, ad agosto ottomila, a settembre più di dodicimila, a ottobre e novembre di nuovo diecimila.

In Grecia arrivano soprattutto afghani (il 37% degli arrivi) e siriani (28%). Curioso l’arrivo di circa tremila persone dalla Repubblica Democratica del Congo, che si sono spostate dal cuore dell’Africa in Turchia per poi entrare in Grecia.

In Spagna sono arrivate quasi 30 mila persone nei primi undici mesi del 2019, la metà rispetto alle quasi 60 mila dello stesso periodo del 2018. Si tratta di persone che entrano in Spagna in gran parte via mare ma in parte anche via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti con il Marocco. In Spagna arriva un’umanità varia di diverse nazionalità del Maghreb (Marocco, il 29% degli arrivi, Algeria, Tunisia), dell’Africa subsahariana (Guinea, Mali, Costa d’Avorio, Senegal), del Medio Oriente (Siria, Palestina).

Vanno poi considerati anche i 2,7 mila arrivi registrati a Malta e i gli 1,2 mila registrati a Cipro.

Migranti 2019: strategie politiche al 30 novembre

La principale linea comune europea continua a essere quella di intensificare l’azione di controllo dei confini esterni, per lasciare fuori dall’Europa il maggior numero di migranti possibile.

Vanno letti in questa direzione gli accordi con la Turchia del 2016 e con la Libia del 2017, ulteriormente rafforzato nel 2018, e i nuovi accordi che diversi paesi europei stanno stringendo con paesi di transito o partenza, come il Niger, la Tunisia e il Marocco.

Tuttavia le cose stanno cambiando, soprattutto a partire dai mesi estivi. Vediamo le principali conseguenze di alcune delle scelte politiche adottate negli ultimi mesi e anni dall’Italia e dall’Unione Europea.

E in Italia?

A parte il lavoro, finora poco fruttuoso, a livello europeo per rendere effettivo ed efficace l’accordo per la redistribuzione dei migranti, ancora non si è capito quale linea intende prendere il nuovo governo Conte sulla gestione delle politiche di asilo e accoglienza.

Il governo precedente, su iniziativa dell’ex Ministro dell’Interno Salvini, aveva aggiornato le politiche di gestione dei flussi e di accoglienza a colpi di decreti sicurezza. L’ultimo, chiamato decreto sicurezza bis, stabilisce che il Ministro dell’Interno può decidere sulla chiusura dell’accesso alle acque territoriali e che le navi che violano questo divieto possono essere punite con una sanzione da 150 mila a un milione di euro e con il sequestro della nave.

Il precedente decreto, denominato decreto sicurezza e immigrazione, è in vigore da dicembre 2018 e ha introdotto diverse novità.

Il decreto ha abolito l’istituto della protezione umanitaria, la forma di protezione più utilizzata per i richiedenti asilo che fanno domanda in Italia, che si aggiungeva alle due forme condivise a livello internazionale (lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria – qui abbiamo spiegato le differenze).

Il decreto Salvini ha inoltre modificato radicalmente l’impostazione del sistema di accoglienza dei migranti in Italia, come abbiamo spiegato ampiamente qui.

I due decreti sicurezza sono ancora in vigore, e si attende di capire se il nuovo governo intende confermarli, cancellarli o modificarli. A novembre il Ministro dell’Interno Lamorgese ha fatto intendere che sì, i decreti verranno modificati, ma ancora non è chiaro quando e come.

Le organizzazioni attive nel campo dell’immigrazione e della tutela dei diritti umani, riunite nella campagna Io Accolgo, ne auspicano il superamento chiedendo in particolare: la reintroduzione della protezione umanitaria, un sistema di accoglienza in grado di promuovere inclusione sociale, l’abrogazione delle norme che ostacolano le operazioni di salvataggio in mare da parte di navi umanitarie, la cancellazione degli accordi con la Libia.

Staremo a vedere.

Migranti 2019: i numeri in Italia al 31 ottobre

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 31 ottobre 2019 sono sbarcate in Italia 9.652 persone. Nei primi nove mesi del 2018 arrivarono circa 22 mila migranti, addirittura 113 mila nel 2017.

A ottobre sono arrivate duemila persone, un dato in lieve decrescita rispetto a settembre, invertendo così una tendenza in crescita in atto da luglio.

Se prendiamo gli ultimi 12 mesi – esercizio analiticamente più significativo che non paragonare gli anni solari – passiamo dai 29.979 arrivi tra il 1 novembre 2017 e il 31 ottobre 2018 ai 12.782 arrivi del periodo 1 novembre 2018 – 31 ottobre 2019, un calo del 57%.

Tra i paesi di provenienza negli ultimi 12 mesi (dati aggiornati al 30 settembre) sono arrivate soprattutto persone da Tunisia (2,9 mila persone, 25% del totale) seguite da Pakistan (1,1 mila persone, 10%), Algeria (9%), Iraq (8%) e Costa d’Avorio (7%). Esce completamente di scena l’Eritrea, paese di provenienza di molti richiedenti asilo negli ultimi anni.

Considerando il solo 2019 sono arrivate soprattutto persone provenienti da Tunisia (2,1 mila persone), Pakistan (922), Costa d’Avorio (864), Algeria (773) e Iraq (582).

Quanto al genere e all’età delle persone sbarcate, il 72% delle persone arrivate sulle coste italiane negli ultimi 12 mesi è di sesso maschile, le donne sono il 10%, i minori il 18% – in buona parte minori non accompagnati. Queste percentuali sono sostanzialmente invariate nel corso del tempo.

Migranti 2019: i numeri in Europa al 31 ottobre

Se consideriamo gli arrivi su tutte le coste europee, tra il 1 gennaio e il 30 ottobre 2019 sono arrivati via Mediterraneo in Europa circa 96 mila migranti(nei primi dieci mesi del 2018 furono circa 120 mila).

La Grecia torna ad essere l’approdo più significativo, con 55 mila arrivi nel 2019, di cui 44 mila via mare e 11 mila via terra attraverso il delta del fiume Evros tra Turchia e Grecia. È un dato superiore allo stesso periodo del 2018, quando arrivarono 40 mila persone.

Dall’accordo con la Turchia del 2016 l’afflusso in Grecia si era stabilizzato intorno ai due-tremila arrivi al mese, ma l’estate 2019 sta facendo segnare una netta ripresa dei flussi: a luglio 2019 erano arrivate cinquemila persone, ad agosto ottomila, a settembre più di dodicimila, a ottobre di nuovo quasi diecimila.

In Grecia arrivano soprattutto afghani (il 38% degli arrivi) e siriani (25%). Curioso l’arrivo di circa 2,8 mila persone dalla Repubblica Democratica del Congo, che si sono spostate dal cuore dell’Africa in Turchia per poi entrare in Grecia.

In Spagna sono arrivate 27 mila persone nei primi dieci mesi del 2019, la metà rispetto alle 54 mila dello stesso periodo del 2018. Si tratta di persone che entrano in Spagna in gran parte via mare ma in parte anche via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti con il Marocco. In Spagna arriva un’umanità varia di diverse nazionalità del Maghreb (Marocco, il 30% degli arrivi, Algeria, Tunisia), dell’Africa subsahariana (Guinea, Mali, Costa d’Avorio, Senegal), del Medio Oriente (Siria, Palestina).

Vanno poi considerati anche gli 2,7 mila arrivi registrati a Malta e i gli 1,2 mila registrati a Cipro.

Migranti 2019: strategie politiche ottobre

I morti in mare e in Libia

La principale conseguenza delle politiche europee ed italiane sulle migrazioni è che più persone muoiono tentando di attraversare il Mediterraneo oppure in Libia. Negli ultimi cinque anni, dal 2014 al 2019 sono 15 mila le persone morte nel Mediterraneo. 15 mila. Una vera e propria ecatombe, che pure considera solo le morti di cui siamo a conoscenza. Nel 2019 sono già oltre mille i morti in mare, di cui 343 sulla rotta del Mediterraneo centrale, quella verso l’Italia. E si muore anche sulle altre rotte, in mare e in terra.

Screenshot dello schermo del mio smartphone, in un giorno qualsiasi di ottobre.

Un destino di morte, torture, violenze aspetta anche chi viene respinto e riportato in Libia, destino che riguarda quasi tremila persone nel 2019. La situazione in Libia è ulteriormente precipitata nel 2019 con la guerra civile avviata dal generale Haftar.

Il lato oscuro degli accordi con Libia e Turchia

A inizio ottobre 2019 un’inchiesta di Nello Scavo per Avvenire ufficializza ciò che in realtà sapevamo già, fornendo però prove schiaccianti e imbarazzanti: nel 2017 l’Italia ha trattato direttamente con i trafficanti di esseri umani per siglare l’accordo che avrebbe notevolmente ridotto le partenze di migranti dalla Libia.

Ora quegli accordi sono stati rinnovati, nonostante i numerosi rapporti di Nazioni Unite e Ong e le numerose inchieste giornalistiche abbiano dimostrato che i centri di detenzione libici finanziati dallo Stato italiano siano un luogo di morte, tortura, violenza, stupri. Per far digerire la pillola all’elettorato più attento su questi temi, il ministro degli esteri Di Maio ha annunciato modifiche all’accordo, modifiche tuttavia ritenute dai più solo cosmetiche.

Per altri motivi, è sotto attenzione anche l’accordo stretto dall’Unione Europea con la Turchia nel 2016. In quell’accordo la Turchia si impegnava a gestire il flusso di profughi in fuga da Siria, Aghanistan e Iraq evitando che entrassero in Europa, in cambio di un contributo di sei miliardi di euro.

A distanza di tre anni l’accordo traballa per la pressione interna che il governo turco si trova a gestire: la convivenza dei 3,7 milioni di profughi siriani con i turchi sta diventando nel lungo periodo complicata, con una fetta crescente di popolazione che esprime la propria insoddisfazione rispetto all’accordo con l’Europa o, almeno, così ha deciso che deve essere Erdogan, alla ricerca di riscatto elettorale dopo le batoste di Istanbul e Ankara.

Per questa ragione Erdogan sta cercando soluzioni diverse alla questione: da una parte spera di creare, a discapito dei curdi, una “zona cuscinetto” nel nord est della Siria dove parcheggiare i profughi, dall’altra sta aprendo il rubinetto in uscita – causando l’incremento delle persone che entrano in Grecia – per mettere a sua volta pressione all’Europa sperando di ottenere qualcosa d’altro in cambio.

Nuove vecchie rotte

Il deciso incremento di flussi registrato tra Turchia e Grecia ha riportato in auge una vecchia e gloriosa rotta migratoria mai davvero esaurita: la rotta balcanica. Sarà un caso ma da quando la Turchia ha riaperto, almeno parzialmente, i rubinetti, sono cresciute le segnalazioni di movimenti di migranti anche fra gli altri paesi di transito sulla rotta balcanica.

Gli effetti si fanno sentire anche alle frontiere italiane: sono circa cinquemila gli ingressi di persone che hanno attraversato il confine tra Slovenia e Italia nel 2019, dopo aver vissuto condizioni inumane in Bosnia e Croazia, la cui polizia non si fa scrupolo di picchiare i migranti che tentano di varcare i confini.

Con la quasi-chiusura della rotta Libia – Italia, nel 2019 il principale canale di arrivo via mare in Italia è diventata la rotta che dalla Turchia porta a diversi approdi in Puglia, Calabria e Sicilia. Sono viaggi affrontati soprattutto da migranti pakistani, afghani, bangladesi, curdi su barche piccole guidata da skipper dell’est Europa (!).

Migranti 2019: i numeri in Italia al 30 settembre

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 30 settembre 2019 sono sbarcate in Italia 7.636 persone. Nei primi nove mesi del 2018 arrivarono circa 21 mila migranti, addirittura 107 mila nel 2017.

A settembre sono arrivate 2,5 mila persone, il dato più alto dell’anno, più che doppio rispetto a settembre 2018 ma comunque inferiore rispetto agli anni precedenti.

Se prendiamo gli ultimi 12 mesi – esercizio analiticamente più significativo che non paragonare gli anni solari – passiamo dai 34.951 arrivi tra il 1 ottobre 2017 e il 30 settembre 2018 agli 11.773 arrivi del periodo 1 ottobre 2018 – 30 settembre 2019, un calo del 66%.

Tra i paesi di provenienza negli ultimi 12 mesi sono arrivate soprattutto persone da Tunisia (2,9 mila persone, 25% del totale) seguite da Pakistan (1,1 mila persone, 10%), Algeria (9%), Iraq (8%) e Costa d’Avorio (7%). Esce completamente di scena l’Eritrea, paese di provenienza di molti richiedenti asilo negli ultimi anni.

Considerando il solo 2019 sono arrivate soprattutto persone provenienti da Tunisia (2,1 mila persone), Pakistan (922), Costa d’Avorio (864), Algeria (773) e Iraq (582).

Quanto al genere e all’età delle persone sbarcate, il 72% delle persone arrivate sulle coste italiane negli ultimi 12 mesi è di sesso maschile, le donne sono il 10%, i minori il 18% – in buona parte minori non accompagnati. Queste percentuali sono sostanzialmente invariate nel corso del tempo.

Migranti 2019: i numeri in Europa

Se consideriamo gli arrivi su tutte le coste europee, tra il 1 gennaio e il 30 settembre 2019 sono arrivati via Mediterraneo in Europa circa 77,2 mila migranti (nei primi nove mesi del 2018 furono circa 102 mila).

La Grecia torna ad essere l’approdo più significativo, con 45 mila arrivi nel 2019, ddi cui 36 mila via mare e 9 mila via terra attraverso il delta del fiume Evros tra Turchia e Grecia. È un dato superiore allo stesso periodo del 2018, quando arrivarono 34 mila persone.

Dall’accordo con la Turchia del 2016 l’afflusso in Grecia si era stabilizzato intorno ai due-tremila arrivi al mese, ma l’estate 2019 sta facendo segnare una netta ripresa dei flussi: a luglio 2019 erano arrivate cinquemila persone, a settembre più di diecimila. Se tre indizi fanno una prova, la Turchia ha allentato i controlli ai confini, a causa di una pressione interna crescente sulla questione rifugiati.

In Grecia arrivano soprattutto afghani (il 39% degli arrivi) e siriani. Curioso l’arrivo di circa 2,4 mila persone dalla Repubblica Democratica del Congo, che si sono spostate dal cuore dell’Africa in Turchia per poi entrare in Grecia.

In Spagna sono arrivate 23 mila persone nei primi nove mesi del 2019, contro le 43 mila dello stesso periodo del 2018. Si tratta di persone che entrano in Spagna in gran parte via mare ma in parte anche via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti con il Marocco. In Spagna arriva un’umanità varia di diverse nazionalità del Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia), dell’Africa subsahariana (Mali, Guinea, Costa d’Avorio, Senegal), del Medio Oriente (Siria, Palestina).

Vanno poi considerati anche gli 1,6 mila arrivi registrati a Malta e i circa 800 registrati a Cipro.

Migranti 2019: strategie politiche

L’accordo per la redistribuzione dei migranti

Grande novità delle ultime settimane in ambito europeo è l’accelerazione imposta al processo che dovrebbe portare ad un accordo per la redistribuzione dei migranti in arrivo sulle coste di Italia e Malta in altri paesi europei.

L’accordo è stato raggiunto a Malta lo scorso 23 settembre, ma è un accordo transnazionale in attesa che venga discusso e eventualmente adottato dall’Unione Europea durante il Consiglio dell’Unione Europea di ottobre.

In sostanza l’accordo prevede che i migranti soccorsi in mare e poi sbarcati sulle coste italiane o maltesi da navi militari o da navi umanitarie siano redistribuiti secondo quote da stabilire tra i paesi firmatari dell’accordo, che al momento sono Francia e Germania, oltre a Italia e Malta, ma che dovrebbero diventare almeno otto dopo il passaggio in Consiglio.

In questo articolo abbiamo spiegato i contenuti dell’accordo, presentandone punti di forza, limiti e possibili conseguenze.

E in Italia?

A parte il lavoro a livello europeo per rendere effettivo ed efficace l’accordo per la redistribuzione dei migranti, ancora non si è capito quale linea intende prendere il nuovo governo Conte sulla gestione delle politiche di asilo e accoglienza.

Lo scorso 4 ottobre i ministri Di Maio e Bonafede hanno presentato in pompa magna un decreto secondo cui i rimpatri verso 13 paesi considerati sicuri avverranno entro quattro mesi all’arrivo in Italia rispetto ai due anni precedenti.

La realtà è che probabilmente questo decreto rimarrà inattuato. Addirittura, secondo il ricercatore dell’Ispi Matteo Villa, il risultato potrebbe essere un incremento degli irregolari. Designare un paese come sicuro significa che le persone che chiedono asilo provenendo da quel paese avranno una bassissima possibilità di ottenere una forma di protezione, non significa certo accelerare le procedure di rimpatrio. La spiegazione lunga la trovate qui.

Migranti 2019: i numeri in Italia al 31 agosto

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 31 agosto 2019 sono sbarcate in Italia 5.137 persone. Nei primi otto mesi del 2018 arrivarono circa 20 mila migranti, addirittura centomila nel 2017.

Ad agosto sono arrivate 1.270 persone, un dato in linea con i mesi estivi precedenti ma anche con il mese di agosto 2018, quando arrivarono 1.500 persone.

Se prendiamo gli ultimi 12 mesi – esercizio analiticamente più significativo che non paragonare gli anni solari – passiamo dai 40.295 arrivi tra il 1 settembre 2017 e il 31 agosto 2018 ai 10.221 arrivi del periodo 1 settembre 2018 – 31 agosto 2019, un calo del 75%.

Tra i paesi di provenienza negli ultimi 12 mesi (il dato riguarda il periodo agosto 2018 – luglio 2019) sono arrivate soprattutto persone da Tunisia (2,8 mila persone, 25% del totale) seguite da Pakistan (1,2 mila persone, 12%), Iraq (11%), Algeria (8%) e Eritrea (5%).

Considerando il solo 2019 sono arrivate soprattutto persone provenienti da Tunisia (858 persone), Pakistan (620), Costa d’Avorio (421), Algeria (339) e Iraq (310).

Quanto al genere e all’età delle persone sbarcate, il 72% delle persone arrivate sulle coste italiane negli ultimi 12 mesi è di sesso maschile, le donne sono il 10%, i minori il 18% – in buona parte minori non accompagnati. Queste percentuali sono sostanzialmente invariate nel corso del tempo.

Migranti 2019: i numeri in Europa al 31 agosto

Se consideriamo gli arrivi su tutte le coste europee, tra il 1 gennaio e il 31 agosto 2019 sono arrivati via mare in Europa 61,5 mila migranti (nei primi otto mesi del 2018 furono circa 87 mila).

La Grecia torna ad essere l’approdo più significativo, con 34 mila arrivi nel 2019, di cui 26 mila via mare e 8 mila via terra attraverso il delta del fiume Evros tra Turchia e Grecia. Per la prima volta dall’inizio dell’anno il dato è superiore allo stesso periodo del 2018, quando arrivarono 30 mila persone.

Dall’accordo con la Turchia del 2016 l’afflusso in Grecia si era stabilizzato intorno ai due-tremila arrivi al mese, ma l’estate 2019 sta facendo segnare una netta ripresa dei flussi: a luglio 2019 erano arrivate cinquemila persone, ad agosto ottomila. Da verificare se si tratta di un’eccezione legata all’estate o di un flusso che inizia a riprendere in maniera significativa.

In Grecia arrivano soprattutto afghani (il 34% degli arrivi), siriani, iracheni e palestinesi che sfuggono alle maglie del controllo turco. Curioso l’arrivo di circa duemila persone dalla Repubblica Democratica del Congo, che si sono spostate dal cuore dell’Africa in Turchia per poi entrare in Grecia.

In Spagna sono arrivate 19,8 mila persone nei primi otto mesi del 2019, contro le 35 mila dello stesso periodo del 2018. Si tratta di persone che entrano in Spagna in gran parte via mare ma in parte anche via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti con il Marocco. In Spagna arriva un’umanità varia di diverse nazionalità del Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia), dell’Africa subsahariana (Mali, Guinea, Costa d’Avorio, Senegal), del Medio Oriente (Siria, Palestina).

Vanno poi considerati anche gli 1,6 mila arrivi registrati a Malta e i circa 800 registrati a Cipro.

Migranti 2019: strategie politiche

La principale linea comune europea continua a essere quella di intensificare l’azione di controllo dei confini esterni, per lasciare fuori dall’Europa il maggior numero di migranti possibile.

Nel mese di luglio inoltre si è tornato a parlare con una certa concretezza di redistribuzione dei migranti tra i paesi europei.

Vanno letti in questa direzione gli accordi con la Turchia del 2016 e con la Libia del 2017, ulteriormente rafforzato nel 2018, e i nuovi accordi che diversi paesi europei stanno stringendo con paesi di transito o partenza, come il Niger, la Tunisia e il Marocco.

La situazione è in continua evoluzione, soprattutto in Italia dove dal nuovo governo Conte ci si aspetta un cambio di rotta sulle modalità di gestione dei flussi migratori e del sistema di accoglienza.

Vediamo le principali conseguenze di alcune delle scelte politiche adottate negli ultimi mesi e anni dall’Italia e dall’Unione Europea.

I morti in mare e in Libia

La principale conseguenza delle politiche europee ed italiane sulle migrazioni è che più persone muoiono tentando di attraversare il Mediterraneo oppure in Libia. Dal 2013 al 2019 sono 18.669 le persone morte nel Mediterraneo. Una vera e propria ecatombe, che pure considera solo le morti di cui siamo a conoscenza.

Le navi in mezzo al mare

Mentre gli sbarchi continuano, piccoli numeri, piccole navi, ma comunque continuano, di tanto in tanto il governo italiano, e in particolare il suo Ministro dell’Interno Matteo Salvini, solleva un polverone mediatico attorno ad alcuni casi specifici.

Il picco è stato raggiunto a giugno con il caso della Sea Watch, rimasta in mare 16 giorni prima che la capitana Carola Rackete decidesse di forzare il blocco e entrare al porto di Lampedusa per mettere in salvo le persone a bordo.

A luglio è stata la volta, ancora più paradossale, della nave Gregoretti della guardia costiera italiana, che ha potuto attraccare ad Augusta con i 135 migranti a bordo dopo una settimana, e della nave Alan Kurdi dell’Ong Sea Eye, rimasta in mare cinque giorni prima di attraccare a Malta in seguito al divieto di ingresso in acque italiane.

Ad agosto altre tre situazioni sono balzate agli onori delle cronache. Il 28 agosto la nave Mare Jonio dell’Ong Mediterranea Saving Humans ha salvato cento persone al largo della Libia ed è stata fatta attraccare a Lampedusa due giorni dopo facendo scendere in maniera rocambolesca prima i bambini poi tutti gli altri.

Dopo più di una settimana di navigazione, il 2 settembre la nave Eleonore dell’Ong Lifeline ha forzato il blocco imposto dal governo italiano dichiarando lo stato di emergenza e attraccando al porto di Pozzallo per far scendere le 104 persone a bordo.

Infine la nave Ocean Viking di Sos Mediterranée e Medici Senza Frontiere è rimasta a metà strada tra Lampedusa e Malta addirittura 14 giorni prima di poter attraccare a Malta lo scorso 23 agosto.

Ci si aspetta che il nuovo corso del governo Conte bis ponga fine a questo approccio nei confronti delle navi che soccorrono migranti.

Le ipotesi di redistribuzione dei migranti

Nel frattempo in Europa si è tornato a parlare seriamente di accordi per la redistribuzione dei migranti in arrivo sulle coste di Grecia, Spagna, Italia, Malta e Cipro. A luglio si è svolto un importante incontro a Parigi – a cui l’Italia ha scelto di non partecipare – in cui otto paesi (Francia, Germania, Portogallo, Irlanda, Lussemburgo, Finlandia, Lituania e Croazia) hanno firmato un accordo per la redistribuzione dei migranti.

Si tratta di un accordo ancora non vincolante, tuttavia questi paesi hanno iniziato a mostrarsi attivi accettando di accogliere quote di migranti sbarcati tra luglio e agosto. Se, come pare possibile, l’accordo dovesse essere ufficializzato in autunno si tratterebbe di un passo avanti notevole per l’Europa verso l’adozione di un sistema strutturale di condivisione delle responsabilità per la gestione dei flussi migratori in arrivo sulle coste mediterranee.

L’accordo prevede infatti che i migranti in arrivo sulle coste europee siano subito ricollocati in uno o più dei paesi firmatari, che si farà carico delle relative domande di protezione internazionale. I paesi di approdo – Grecia, Spagna, Italia, Malta, Cipro – si dovrebbero in cambio impegnare a offrire la possibilità di sbarco e la prima accoglienza ai migranti in arrivo e alle navi, anche umanitarie.

Migranti 2019: i numeri in Italia al 31 luglio

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 31 luglio 2019 sono sbarcate in Italia 3.850 persone. Nei primi sette mesi del 2018 arrivarono 18 mila migranti, addirittura 95 mila nel 2017.

Se prendiamo gli ultimi 12 mesi – esercizio analiticamente più significativo che non paragonare gli anni solari – passiamo dai 42.678 arrivi tra il 1 agosto 2017 e il 31 luglio 2018 ai 10.482 arrivi del periodo 1 agosto 2018 – 31 luglio 2019, un calo del 75%.

Tra i paesi di provenienza negli ultimi 12 mesi (il dato riguarda il periodo luglio 2018 – giugno 2019) sono arrivate soprattutto persone da Tunisia (2,8 mila persone, 25% del totale) seguite da seguite da Iraq (1,4 mila persone, 12%), Pakistan (11%), Algeria (8%) e Eritrea (7%).

Considerando il solo 2019 sono arrivate soprattutto persone provenienti da Tunisia (594 persone), Pakistan (426), Algeria (271), Iraq (252) e Costa d’Avorio (210). Crollo verticale quindi degli arrivi dai paesi dell’Africa subsahariana. Pensate che dalla Nigeria sono arrivate 29 persone dall’inizio dell’anno, ne arrivarono 18 mila nel 2017, 36 mila nel 2016.

Migranti 2019: i numeri in Europa al 31 luglio

Se consideriamo gli arrivi su tutte le coste europee, tra il 1 gennaio e il 31 luglio 2019 sono arrivati via mare in Europa circa 45 mila migranti (nei primi sette mesi del 2018 furono circa 62 mila).

La Grecia torna ad essere l’approdo più significativo, con 23,5 mila arrivi nel 2019, di cui 17 mila via mare e 6 mila via terra attraverso il delta del fiume Evros tra Turchia e Grecia. Il dato è comunque inferiore rispetto allo stesso periodo del 2018, quando arrivarono 27 mila persone.

L’accordo con la Turchia del 2016 ha fermato l’esodo di massa di profughi siriani, iracheni e afghani verso l’Europa che aveva portato al milione di arrivi in Grecia tra marzo 2015 e marzo 2016. Da allora in Grecia l’afflusso si è stabilizzato intorno ai due-tremila arrivi al mese, anche se a luglio 2019 questo numero ha superato i quattromila. Arrivano soprattutto afghani (il 35% degli arrivi), siriani, iracheni e palestinesi che sfuggono alle maglie del controllo turco. Curioso l’arrivo di circa 1,5 mila persone dalla Repubblica Democratica del Congo, che si sono spostate dal cuore dell’Africa in Turchia per poi entrare in Grecia.

In Spagna sono arrivate circa 16 mila persone nei primi sette mesi del 2019, contro le 28 mila dello stesso periodo del 2018. Si tratta di persone che entrano in Spagna in gran parte via mare ma in parte anche via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti con il Marocco. In Spagna arriva un’umanità varia di diverse nazionalità del Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia), dell’Africa subsahariana (Guinea, Mali, Costa d’Avorio, Senegal), del Medio Oriente (Siria, Palestina).

Vanno poi considerati anche i mille arrivi registrati a Malta e i circa 800 registrati a Cipro.

Migranti 2019: strategie politiche

La principale linea comune europea continua a essere quella di intensificare l’azione di controllo dei confini esterni, per lasciare fuori dall’Europa il maggior numero di migranti possibile.

Nel mese di luglio inoltre si è tornato a parlare con una certa concretezza di redistribuzione dei migranti tra i paesi europei.

In Italia invece l’attenzione è concentrata sulla lotta alle Ong, con l’emanazione del Decreto sicurezza bis che ne contrasta l’azione e che segue il decreto sicurezza di dicembre 2018 con cui si era riformato il sistema di accoglienza. Di tanto in tanto, poi, si sollevano polveroni mediatici che accompagnano il salvataggio di migranti in mare da parte di navi umanitarie, militari o commerciali.

Vediamo le principali scelte politiche adottate negli ultimi mesi e anni dall’Italia e dall’Unione Europea.

Le navi in mezzo al mare

Mentre gli sbarchi continuano, piccoli numeri, piccole navi, ma comunque continuano, di tanto in tanto il governo italiano, e in particolare il suo Ministro dell’Interno Matteo Salvini, solleva un polverone mediatico attorno ad alcuni casi specifici.

Il picco è stato raggiunto a giugno con il caso della Sea Watch, rimasta in mare 16 giorni prima che la capitana Carola Rackete decidesse di forzare il blocco e entrare al porto di Lampedusa per mettere in salvo le persone a bordo.

A luglio è stata la volta, ancora più paradossale, della nave Gregoretti della guardia costiera italiana. Il 25 luglio la nave aveva preso a bordo 135 migranti salvati da un peschereccio e ha dovuto attendere una settimana prima di ricevere l’ok a sbarcarli al porto di Augusta, in Sicilia.

Sono invece sbarcati a Malta dopo cinque giorni di stallo, e dopo aver ricevuto il divieto di ingresso in acque italiane, i 40 migranti salvati dalla nave Alan Kurdi dell’Ong Sea Eye a seguito di un accordo tra Malta e Germania per il loro ricollocamento.

Nel frattempo in Grecia una nave da crociera ha salvato 111 migranti ed è stata fatta immediatamente attraccare al porto di Kalamata.

Le ipotesi di redistribuzione dei migranti

Perché ci dobbiamo sorbire tutta questa solfa dei porti chiusi almeno una volta al mese? Perché così vuole la dieta mediatica di Salvini e perché – questa è la motivazione politica – il Ministro dell’Interno vuole così costringere gli altri paesi europei ad accettare la redistribuzione dei migranti che arrivano in Italia via mare.

Come fa notare Matteo Villa di Ispi in questo tweet i migranti scesi dalla Gregoretti sono stati redistribuiti, oltre che in Italia, in Francia, Germania, Portogallo, Irlanda e Lussemburgo. Gli stessi paesi che dieci giorni prima – insieme a Finlandia, Lituania e Croazia – avevano firmato un accordo per la redistribuzione dei migranti su iniziativa della Francia.

L’accordo non è vincolante ma rappresenta un primo passo per superare il Regolamento di Dublino, che prevede che i migranti debbano fare domanda di asilo nel paese di primo ingresso in Europa. Per questo ha fatto clamore l’assenza dell’Italia, tra i paesi più interessati alla riforma di Dublino e all’introduzione di meccanismi di redistribuzione.

Migranti 2019: i numeri in Italia al 30 giugno

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2019 sono sbarcate in Italia 2.769 persone. Nei primi sei mesi del 2018 arrivarono 16 mila migranti, addirittura 84 mila nel 2017.

A giugno è proseguito il trend di lieve crescita iniziato a maggio: sono arrivate 1.218 persone, superando per la prima volta nell’anno la quota di mille arrivi in un mese. Stiamo parlando comunque di numeri molto inferiori agli anni precedenti, ma è una crescita che andrà monitorata per verificare se siamo di fronte a una ripresa significativa degli sbarchi.

Se prendiamo gli ultimi 12 mesi – esercizio analiticamente più significativo che non paragonare gli anni solari – passiamo dai 52.170 arrivi tra il 1 luglio 2017 e il 30 giugno 2018 agli 11.370 arrivi del periodo 1 luglio 2018 – 30 giugno 2019, un calo del 78%.

Migranti 2019: i numeri in Europa al 30 giugno

Se consideriamo gli arrivi su tutte le coste europee, tra il 1 gennaio e il 30 giugno 2019 sono arrivati via mare in Europa circa 36 mila migranti (nei primi sei mesi del 2018 furono circa 48 mila).

La Grecia torna ad essere l’approdo più significativo, con 18,3 mila arrivi nel 2019, di cui 12,9 mila via mare e 5,4 mila via terra attraverso il delta del fiume Evros tra Turchia e Grecia. Il dato è comunque inferiore rispetto allo stesso periodo del 2018, quando arrivarono quasi 23 mila persone.

In Spagna sono arrivate circa 13 mila persone nei primi sei mesi del 2019, contro le 18 mila della prima metà del 2018. Si tratta di persone che entrano in Spagna in gran parte via mare ma in parte anche via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti con il Marocco. In Spagna arriva un’umanità varia di diverse nazionalità del Maghreb (Marocco, Algeria, Tunisia), dell’Africa subsahariana (Guinea, Mali, Costa d’Avorio, Senegal), del Medio Oriente (Siria, Palestina).

Vanno poi considerati anche i mille arrivi registrati a Malta e i circa 800 registrati a Cipro.

Migranti 2019: strategie politiche

Vediamo le principali scelte politiche adottate negli ultimi mesi e anni dall’Italia e dall’Unione Europea.

Le navi in mezzo al mare

Mentre gli sbarchi continuano, piccoli numeri, piccole navi, ma comunque continuano, di tanto in tanto il governo italiano, e in particolare il suo Ministro dell’Interno Matteo Salvini, solleva un polverone mediatico attorno ad alcuni casi specifici. Lo aveva fatto anche con navi militari, come la Diciotti, o commerciali, come la Sarost 5 nel 2018, ultimamente si sta concentrando unicamente sulle navi umanitarie.

La retorica dei “porti chiusi”, ora legittimata da un Decreto Sicurezza scritto ad hoc, ha nel mese di giugno colpito la nave dell’Ong Sea Watch. Il 12 giugno l’imbarcazione ha tratto in salvo 53 persone al largo delle coste libiche, di cui 13 sono state sbarcate nei giorni successivi per motivi di salute. Non avendo ricevuto l’autorizzazione a recarsi in Italia, ha trascorso 14 giorni a danzare attorno alle acque territoriali italiane, come ben evidenziato da questa immagine.

Dopo 14 giorni la capitana della nave, Carola Rackete, ha deciso di forzare il divieto di accesso alle acque territoriali, è entrata e ha fatto rotta verso Lampedusa, dove è attraccata, senza autorizzazione, il 29 giugno, portando definitivamente in salvo i 40 migranti che erano rimasti a bordo.

Non è chiaro ora cosa succederà alla Sea Watch e quando potrà riprendere le operazioni di pattugliamento e soccorso nel Mediterraneo. Nel frattempo sono tornate in mare l’Ong Mediterranea con la nave Alex, protagonista nei primi giorni di luglio, la nave dell’Ong spagnola Open Arms e la nave Alan Kurdi dell’Ong Sea Eye, che ha salvato 65 persone a inizio luglio sbarcandole a Malta.

I migranti in Libia

Sempre meno migranti in partenza dalla Libia riescono ad arrivare in Europa. Chi non viene salvato da navi umanitarie o, purtroppo, non muore in mare, viene riportato in Libia dalla guardia costiera libica, in base agli accordi siglati con l’ex Ministro dell’Interno Minniti e ulteriormente rafforzati da Salvini.

Migranti 2019: i numeri in Italia al 31 maggio

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 31 maggio 2019 sono sbarcate in Italia 1.551 persone. Nei primi cinque mesi del 2018 arrivarono 13 mila migranti, addirittura 60 mila nel 2017.

A maggio c’è stata una notevole impennata rispetto ai mesi precedenti: sono arrivate 772 persone, tante quante nei quattro mesi precedenti. Stiamo parlando comunque di poche persone rispetto ai numeri degli anni precedenti, ma è una crescita che andrà monitorata per verificare si siamo di fronte a una ripresa significativa degli sbarchi.

Se prendiamo gli ultimi 12 mesi – esercizio analiticamente più significativo che non paragonare gli anni solari – passiamo dai 72.547 arrivi tra il 1 giugno 2017 e il 31 maggio 2018 ai 13.323 arrivi del periodo 1 giugno 2018 – 31 maggio 2019, un calo dell’82%.

Tra i paesi di provenienza negli ultimi 12 mesi sono arrivate soprattutto persone da Tunisia (2,8 mila persone, 22% del totale) seguite da seguite da Iraq (1,5 mila persone, 12%), Pakistan (10%), Eritrea (8%) e Algeria (7%). Seguono Sudan, Guinea e Bangladesh.

Considerando il solo 2019 sono arrivate soprattutto persone provenienti da Tunisia (347 persone), Pakistan (232), Algeria (201), Iraq (165) e Bangladesh (145). Crollo verticale quindi degli arrivi dai paesi dell’Africa subsahariana. Pensate che dalla Nigeria sono arrivate 26 persone dall’inizio dell’anno, ne arrivarono 18 mila nel 2017, 36 mila nel 2016.

Quanto al genere e all’età delle persone sbarcate, il 72% delle persone arrivate sulle coste italiane negli ultimi 12 mesi è di sesso maschile, le donne sono il 10%, i minori il 18% – in buona parte minori non accompagnati. Queste percentuali sono sostanzialmente invariate nel corso del tempo.

Migranti 2019: i numeri in Europa al 31 maggio

Se consideriamo gli arrivi su tutte le coste europee, tra il 1 gennaio e il 31 maggio 2019 sono arrivati via mare in Europa circa 25 mila migranti (nei primi cinque mesi del 2018 furono circa 35 mila).

La Grecia torna ad essere l’approdo più significativo, con 13,5 mila arrivi nel 2019, di cui 9,5 mila via mare e quattromila via terra attraverso il delta del fiume Evros tra Turchia e Grecia. Il dato è comunque inferiore rispetto allo stesso periodo del 2018, quando arrivarono quasi 20 mila persone.

L’accordo con la Turchia del 2016 ha fermato l’esodo di massa di profughi siriani, iracheni e afghani verso l’Europa che aveva portato al milione di arrivi in Grecia tra marzo 2015 e marzo 2016. Da allora in Grecia l’afflusso si è stabilizzato intorno ai due-tremila arrivi al mese; arrivano soprattutto afghani (il 40% degli arrivi), siriani, iracheni e palestinesi che sfuggono alle maglie del controllo turco.

In Spagna sono arrivate circa diecimila persone nei primi cinque mesi del 2019, contro le 11 mila di inizio 2018. Si tratta di persone che entrano in Spagna in gran parte via mare ma in parte anche via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti con il Marocco. In Spagna arriva un’umanità varia di diverse nazionalità dell’Africa subsahariana (Guinea, Mali, Costa d’Avorio, Senegal), del Maghreb (Marocco, Algeria), del Medio Oriente (Siria, Palestina).

Migranti 2019: strategie politiche

Bloccare i migranti in Libia, Tunisia, Marocco: a tutti i costi

A partire dal 2017 sono stati sottoscritti e poi rafforzati accordi con la Libia volti a fermare le partenze di migranti. Gli accordi erano stati tessuti e poi conclusi dal governo Gentiloni, in particolare con l’impegno dell’ex ministro dell’interno Minniti, che aveva di fatto stretto accordi con milizie libiche che gestiscono il traffico dei migranti pur di impedire le partenze dalle coste libiche, come aveva svelato un’inchiesta di Associated Press. Gli accordi sono stati poi confermati e rafforzati dal nuovo ministro dell’interno Salvini.

L’Italia, con l’appoggio dell’Europa, ha quindi deliberatamente scelto – per due governi di fila – di sacrificare vite umane sull’altare della presunta urgenza politica di fermare gli sbarchi.

Un rapporto dell’ONU pubblicato a fine 2018 ha confermato quello che già altri numerosi rapporti e inchieste avevano ampiamente documentato: in Libia i migranti sono sistematicamente privati della libertà, torturati, stuprati, rapiti per ottenere riscatti, costretti ai lavori forzati, uccisi.

La cosa più sconcertante messa in evidenza dal rapporto è che in alcuni casi i responsabili di questi crimini sono gli stessi gruppi e milizie che ricevono aiuti dall’Italia e dall’Europa per bloccare le partenze dei migranti.

Ora c’è di più: le navi e motovedette fornite dall’Italia alla guardia costiera libica nell’ambito dell’accordo per fermare le migrazioni sono state utilizzate nella guerra tra milizie pro Haftar e milizie pro Serraj avviata ad aprile, lasciando sguarnito il pattugliamento dell’area di ricerca e soccorso migranti.

L’Italia è poi attivissima in Tunisia, dove ad aprile si sono recati addirittura sia Conte, sia Salvini, sia Di Maio: insomma, i massimi vertici del governo tutti insieme per cercare un accordo che blocchi le partenze dalla Tunisia e favorisca i rimpatri.

Come abbiamo visto, il maggior numero di migranti sbarcati in Italia sia nel 2018 sia nel 2019 sono tunisini, ed è evidente la volontà del governo di fermare anche questo, pur limitato, flusso. Già a marzo i due paesi avevano stretto un accordo in cui l’Italia si è impegnata a donare alla Tunisia 50 veicoli da utilizzare nel contrasto alle migrazioni.

Allo stesso modo, la Spagna si sta muovendo con il Marocco per rafforzare i già esistenti accordi e contrastare l’incremento degli arrivi nel paese di migranti in partenza dal Marocco. Il nuovo accordo permetterà agli spagnoli di respingere le barche in partenza dal Marocco quando queste si trovino in prossimità della costa marocchina, mentre fino ad oggi venivano comunque condotte ad un porto spagnolo.

Migranti 2019: i numeri in Italia al 30 aprile

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 30 aprile 2019 sono sbarcate in Italia 779 persone. Nei primi quattro mesi del 2018 arrivarono novemila migranti, addirittura 37 mila nel 2017.

Se prendiamo gli ultimi 12 mesi – esercizio analiticamente più significativo che non paragonare gli anni solari – passiamo dai 91.577 arrivi tra il 1 maggio 2017 e il 30 aprile 2018 ai 15.772 arrivi del periodo 1 maggio 2018 – 30 aprile 2019, un calo dell’83%.

Tra i paesi di provenienza negli ultimi 12 mesi sono arrivate soprattutto persone da Tunisia (4,2 mila persone, 23% del totale) seguite da Eritrea (1,8 mila persone, 10%), Iraq (9%), Sudan (8%) e Pakistan (7%). Seguono Algeria, Guinea e Senegal.

Nel 2019 (i dati sono disponibili fino a marzo) sono arrivate soprattutto persone provenienti da Tunisia (137 persone), Algeria (78), Iraq (62) e Bangladesh (57).

Quanto al genere e all’età delle persone sbarcate, il 72% delle persone arrivate sulle coste italiane negli ultimi 12 mesi è di sesso maschile, le donne sono il 10%, i minori il 18% – in buona parte minori non accompagnati. Queste percentuali sono sostanzialmente invariate nel corso del tempo.

Migranti 2019: i numeri in Europa

Se consideriamo gli arrivi su tutte le coste europee, tra il 1 gennaio e il 30 aprile 2019 sono arrivati via mare in Europa circa 20 mila migranti (nei primi quattro mesi del 2018 furono circa 30 mila).

La Grecia torna ad essere l’approdo più significativo, con 11 mila arrivi nel 2019, di cui settemila via mare e quattromila via terra attraverso il delta del fiume Evros tra Turchia e Grecia. Il dato è comunque inferiore rispetto allo stesso periodo del 2018, quando arrivarono quasi 15 mila persone.

L’accordo con la Turchia del 2016 ha fermato l’esodo di massa di profughi siriani, iracheni e afghani verso l’Europa che aveva portato al milione di arrivi in Grecia tra marzo 2015 e marzo 2016. Da allora in Grecia l’afflusso si è stabilizzato intorno ai due-tremila arrivi al mese; arrivano soprattutto afghani (il 40% degli arrivi), iracheni e siriani che sfuggono alle maglie del controllo turco.

In Spagna sono arrivate 8,5 mila persone nei primi quattro mesi del 2019, contro le settemila di inizio 2018. Si tratta di persone che entrano in Spagna in gran parte via mare ma in parte anche via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti con il Marocco. In Spagna arriva un’umanità varia di diverse nazionalità dell’Africa subsahariana (Guinea, Mali, Costa d’Avorio, Senegal), del Maghreb (Marocco, Algeria), del Medio Oriente (Siria).

Migranti 2019: i numeri in Italia al 31 marzo

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 31 marzo 2019 sono sbarcate in Italia 524 persone. Nei primi tre mesi del 2018 arrivarono seimila migranti, addirittura 24 mila nel 2017.

Se prendiamo gli ultimi 12 mesi – esercizio analiticamente più significativo che non paragonare gli anni solari – passiamo dai 101.373 arrivi tra il 1 aprile 2017 e il 31 marzo 2018 ai 18.664 arrivi del periodo 1 aprile 2018 – 31 marzo 2019, un calo dell’82%.

Tra i paesi di provenienza negli ultimi 12 mesi sono arrivate soprattutto persone da Tunisia e Algeria (4,2 mila persone, 22% del totale) seguite da Eritrea (duemila persone, 10%), Iraq (9%), Sudan (8%). Seguono Pakistan, Guinea e Senegal.

Nel 2019 (i dati sono disponibili fino a febbraio) sono arrivate soprattutto persone provenienti da Bangladesh (parliamo comunque di 57 persone sulle 262 di gennaio-febbraio), Tunisia (52), Algeria (39) e Iraq (38).

Quanto al genere e all’età delle persone sbarcate, il 72% delle persone arrivate sulle coste italiane negli ultimi 12 mesi è di sesso maschile, le donne sono il 10%, i minori il 18% – in buona parte minori non accompagnati. Queste percentuali sono sostanzialmente invariate nel corso del tempo.

Migranti 2019: i numeri in Europa

Se consideriamo gli arrivi su tutte le coste europee, tra il 1 gennaio e il 31 marzo 2019 sono arrivati via mare in Europa 15,5 mila migranti (nei primi tre mesi del 2018 furono 19 mila).

La Grecia torna ad essere l’approdo più significativo, con ottomila arrivi nel 2019, di cui cinquemila via mare e quasi tremila via terra attraverso il delta del fiume Evros tra Turchia e Grecia. Il dato è di poco superiore rispetto allo stesso periodo del 2018, quando arrivarono settemila persone.

L’accordo con la Turchia del 2016 ha fermato l’esodo di massa di profughi siriani, iracheni e afghani verso l’Europa che aveva portato al milione di arrivi in Grecia tra marzo 2015 e marzo 2016. Da allora in Grecia l’afflusso si è stabilizzato intorno ai due-tremila arrivi al mese; arrivano soprattutto afghani, siriani e iracheni che sfuggono alle maglie del controllo turco.

In Spagna sono arrivate settemila persone nei primi tre mesi del 2019, contro le cinquemila di inizio 2018. Si tratta di persone che entrano in gran parte via mare ma in parte anche via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti con il Marocco. In Spagna arriva un’umanità varia di diverse nazionalità dell’Africa subsahariana (Guinea, Mali, Costa d’Avorio, Senegal), del Maghreb (Marocco, Algeria), del Medio Oriente (Siria).

Migranti 2019: strategie politiche

A livello europeo non ci sono grandi novità in questo inizio 2019: l’unica linea comune continua a essere quella di intensificare l’azione di controllo dei confini esterni, per lasciare fuori dall’Europa il maggior numero di migranti possibile.

Vanno letti in questa direzione gli accordi con la Turchia del 2016 e con la Libia del 2017, ulteriormente rafforzato nel 2018, e i nuovi accordi che diversi paesi europei stanno stringendo con paesi di transito o partenza, come il Niger, la Tunisia e il Marocco.

In Italia invece l’attenzione è concentrata sulla riforma del sistema di accoglienza introdotta dal ministro Salvini oltre che, di tanto in tanto, sui polveroni mediatici che accompagnano il salvataggio di migranti in mare da parte di navi umanitarie, militari o commerciali.

Vediamo le principali conseguenze di alcune delle scelte politiche adottate negli ultimi mesi e anni dall’Italia e dall’Unione Europea.

I margini dell’Europa

Mentre l’attenzione italiana si concentra sulla Libia, le politiche dispiegano i loro effetti nefasti sulla vita delle persone anche in altri angoli dimenticati d’Europa, dove le persone sono letteralmente imprigionate da accordi e tornaconti elettorali.

In Grecia migliaia di persone sono di fatto detenute in campi profughi bloccate dalla chiusura della rotta balcanica e dall’accordo con la Turchia del 2016. Le condizioni in questi campi profughi sono state definite “inumane e degradanti” da un rapporto del Consiglio d’Europa, soprattutto per i minori, alcuni dei quali tentano di togliersi la vita per sfuggire ad una vita di violenze, abusi, traumi fisici e mentali.

Le persone che riescono comunque a incamminarsi sulla rotta balcanica sfuggendo ai controlli di frontiera si ritrovano poi in un altro collo di bottiglia da incubo: quello di Bihac e altre località della Bosnia al confine con la Croazia (Unione Europea). Qui migliaia di profughi sono accampati in soluzioni di fortuna in attesa di riuscire a varcare il confine, senza alcun sostegno pubblico.

Nel Mediterraneo si muore di più

Rispetto agli anni precedenti vengono salvati molti meno migranti, vengono respinti molti più migranti e soprattutto, in percentuale, muoiono molti più migranti. Questo è l’effetto della delega delle azioni di “salvataggio” alla guardia costiera libica, molto meno attrezzata di quella italiana.

È anche l’effetto della quasi totale assenza di navi umanitarie nel Mediterraneo. La firma dell’accordo tra Italia e Libia promosso dall’ex ministro Minniti aveva già segnato l’avvio dello scientifico smantellamento del sistema di soccorso civile in mare portato poi a compimento dal successore Salvini.

Allo stato attuale restano operative, ma a fasi alterne perché sono costantemente sottoposto a fermi e controlli, le navi delle Ong Sea Watch e Sea Eye e la nave di Mediterranea Saving Humans.

Le ultime vicende hanno riguardato proprio quest’ultima che dopo aver soccorso 49 migranti al largo della Libia ha avuto l’autorizzazione ad attraccare a Lampedusa dopo tre giorni, e la nave Alan Kurdi di Sea Eye che, dopo aver soccorso 64 migranti, è in attesa di indicazioni rispetto al porto di attracco.

In Italia si taglia sull’accoglienza

Il 2018 è stato anche l’anno di importanti riforme interne promosse dal governo con il Decreto sicurezza e immigrazione – detto anche Decreto Salvini – approvato a dicembre dal Parlamento.

Il decreto ha modificato radicalmente l’impostazione del sistema di accoglienza dei migranti in Italia, come abbiamo spiegato ampiamente qui.

Tra le modifiche, anche un drastico abbassamento della quota giornaliera riconosciuta agli enti gestori dei progetti di accoglienza, scesa da 35 a 21 euro circa, retta con cui non è più possibile garantire servizi fondamentali per la promozione dell’integrazione, come la copertura del costo dei trasporti, dei corsi di lingua italiana, dei corsi di formazione al lavoro, dei servizi speciali per persone vulnerabili (minori, vittime di tratta, persone con disagio psichico).

In conseguenza di questo smantellamento del sistema, molti enti del terzo settore stanno rinunciando a partecipare ai nuovi bandi per la gestione di progetti di accoglienza in uscita nel 2019.

È accaduto ad esempio a Milano, dove una rete di cooperative denuncia l’impossibilità di fornire servizi adeguati, non solo a beneficio dei migranti accolti ma anche di tutta la comunità territoriale. Inoltre, il sistema predilige i grandi centri rispetto all’accoglienza diffusa e comporta anche la necessità di notevoli tagli sul personale impiegato. Iniziative simili avverranno in tutta Italia via via che usciranno i bandi.

Migranti 2019: i numeri in Italia al 28 febbraio

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 28 febbraio 2019 sono sbarcate in Italia 262 persone. È il dato più basso degli ultimi cinque anni. Nei primi due mesi del 2018 arrivarono cinquemila migranti, addirittura 13,5 mila nel 2017.

Se prendiamo gli ultimi 12 mesi – esercizio analiticamente più significativo che non paragonare gli anni solari – passiamo dai 111.177 arrivi tra il 1 marzo 2017 e il 28 febbraio 2018 ai 19.451 arrivi del periodo 1 marzo 2018 – 28 febbraio 2019, un calo dell’83%.

Tra i paesi di provenienza negli ultimi 12 mesi sono arrivate soprattutto persone da Tunisia (4,2 mila persone, 22% del totale) seguito da Eritrea (duemila persone, 10%), Iraq (9%), Sudan (8%), Pakistan (7%). Seguono Nigeria, Algeria e Costa d’Avorio.

Nel 2019 (i dati sono disponibili solo per il mese di gennaio) sono arrivati soprattutto persone provenienti da Bangladesh (parliamo comunque di 57 persone sulle 202 di gennaio), Iraq (38), Tunisia (31), Senegal e Guinea.

Quanto al genere e all’età delle persone sbarcate, il 72% delle persone arrivate sulle coste italiane negli ultimi 12 mesi è di sesso maschile, le donne sono il 10%, i minori il 18% – in buona parte minori non accompagnati. Queste percentuali sono sostanzialmente invariate nel corso del tempo.

Migranti 2019: i numeri in Europa al 28 febbraio

Se consideriamo gli sbarchi su tutte le coste europee, tra il 1 gennaio e il 28 febbraio 2019 sono arrivati via mare in Europa 11 mila migranti (nei primi due mesi del 2018 furono 12,8 mila).

La Spagna è ormai di gran lunga il nuovo paese europeo con il maggior numero di arrivi via mare, con quasi seimila arrivi nel 2019. Prosegue quindi il trend esploso nel 2018, quando arrivarono 64 mila persone, il triplo rispetto al 2017. Si tratta di persone che entrano in Spagna in gran parte via mare ma in parte anche via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti con il Marocco. In Spagna arriva un’umanità varia di diverse nazionalità dell’Africa subsahariana (Guinea, Mali, Costa d’Avorio, Gambia), del Maghreb (Marocco, Algeria), del Medio Oriente (Siria).

In Grecia sono arrivate 4,8 mila persone, dato in linea con gli ultimi mesi. L’accordo con la Turchia del 2016 ha fermato l’esodo di massa di profughi siriani, iracheni e afghani verso l’Europa che aveva portato al milione di arrivi in Grecia tra marzo 2015 e marzo 2016. Da allora in Grecia l’afflusso si è stabilizzato intorno ai due-tremila arrivi al mese; arrivano soprattutto afghani, siriani e iracheni che sfuggono alle maglie del controllo turco.

Migranti 2019: strategie politiche

Il mese di gennaio era stato segnato dal caso della nave dell’Ong Sea Watch, attraccata al porto di Catania dopo 13 giorni di navigazione in attesa che i paesi europei trovassero un accordo sulla distribuzione dei 47 migranti che aveva salvato al largo delle acque libiche.

Febbraio è stato invece un mese di calma piatta, sul fronte mediatico, degli arrivi e del confronto politico. Ne approfittiamo per fare il punto sulle principali conseguenze di alcune delle scelte politiche adottate negli ultimi mesi e anni dall’Italia e dall’Unione Europea.

Le persone sono imprigionate nell’inferno della Libia

L’unica cosa su cui l’Europa pare riuscire a muoversi con efficacia è il controllo dei confini esterni. La strategia era stata già utilizzata nel 2016 per impedire ai profughi siriani, iracheni e afghani di entrare in Grecia, stipulando un contestato accordo con la Turchia che, in cambio di un’ingente quantità di denaro, agisce da controllore delle frontiere europee a est.

Lo schema si è ripetuto nel 2017 con la Libia. Gli accordi per fermare le partenze erano stati tessuti e poi conclusi dal governo Gentiloni, in particolare con l’impegno dell’ex ministro dell’interno Minniti. Il governo italiano ha di fatto stretto accordi con milizie libiche che gestiscono il traffico dei migranti pur di impedire le partenze dalle coste libiche. Gli accordi sono stati poi confermati e rafforzati dal nuovo ministro dell’interno Salvini.

Un rapporto dell’ONU pubblicato a fine 2018 ha confermato quello che già altri numerosi rapporti e inchieste avevano ampiamente documentato: in Libia i migranti sono sistematicamente privati della libertà, torturati, stuprati, rapiti per ottenere riscatti, costretti ai lavori forzati, uccisi.

La cosa più sconcertante messa in evidenza dal rapporto è che in alcuni casi i responsabili di questi crimini sono gli stessi gruppi e milizie che ricevono aiuti dall’Italia e dall’Europa per bloccare le partenze dei migranti.

Non sembra poi avere successo il grande programma messo in campo in Niger dall’Unione Europea, Francia in testa. Il programma, che prevede ingenti aiuti economici e supporto militare, ha lo scopo di fermare i migranti prima che entrino in Libia sulla trafficata direttrice che conduce le persone partite dai paesi dell’Africa occidentale (Nigeria, Senegal, Costa d’Avorio ecc.) verso appunto la Libia.

Secondo uno studio condotto da Impact e Unhcr, nella seconda metà del 2018 sono sì diminuiti gli ingressi in Libia dal Niger ma sono aumentati quelli da altri paesi, in particolare dal Ciad. In altre parole nonostante l’intervento europeo in Niger, nonostante la drastica riduzione delle partenze, nonostante l’altissimo rischio per la loro incolumità che corrono, le persone continuano a partire dall’Africa subsahariana e continuano ad andare in Libia, perché la situazione nei loro paesi di origine non è cambiata.

Nel Mediterraneo c’è solo una nave di soccorso civile

La firma dell’accordo tra Italia e Libia di metà 2017 promosso dall’ex ministro Minniti ha segnato anche l’avvio dello scientifico smantellamento del sistema di soccorso civile in mare portato poi a compimento dal suo successore Salvini.

L’accordo aveva di fatto legittimato l’operato molto aggressivo della Guardia costiera libica (e annesse milizie poco controllabili) cosa che, ben più del tanto discusso Codice di Comportamento delle Ong voluto da Minniti, aveva messo a rischio l’incolumità degli equipaggi delle navi di soccorso, convincendo molte Ong a ritirarsi dal campo del Mediterraneo centrale.

Nella seconda metà del 2017 quasi tutte le Ong hanno dismesso le loro attività di soccorso, alcune volontariamente altre – come Jugend Rettet e Lifeline – perché costrette a terra in Italia e Malta da ingiunzioni legali.

Delle tre Ong che erano rimaste attive, SOS Mediterranée ha gettato la spugna a fine 2018, dopo che nessun paese ha voluto registrare la sua nave Aquarius. Una vicenda simile è occorsa a ProActiva Open Arms, bloccata a Barcellona dalle autorità spagnole.

L’unica Ong a rimanere attiva era Sea Watch, la cui nave però è rimasta bloccata al porto di Catania per 21 giorni dopo il famoso sbarco dei 47 migranti avvenuto il 31 gennaio. Dopo una serie di richieste e controlli ai limiti del paranoico, la nave è potuta salpare per Marsiglia dove sono previsti lavori di manutenzione. Dovrebbe tornare operativa nella seconda metà di marzo.

L’unica nave di soccorso civile attualmente operativa sulla rotta del Mediterraneo centrale è dunque quella dell’Ong Sea Eye, con la nave recentemente ribattezzata con un nome altamente simbolico: Alan Kurdi, dal nome del bambino curdo-siriano trovato morto su una spiaggia turca nel settembre 2015 dopo che l’imbarcazione diretta verso la Grecia su cui si trovava si era capovolta.

La nave è stata battezzata l’11 febbraio a Palma di Maiorca con una cerimonia molto toccante a cui ha partecipato Abdullah Kurdi, il padre di Alan, ed è poi salpata in direzione Libia.

In Italia si taglia sull’accoglienza e crescono gli irregolari

Il 2018 è stato anche l’anno di importanti riforme interne promosse dal governo con il Decreto sicurezza e immigrazione – detto anche Decreto Salvini – approvato a dicembre dal Parlamento.

Il decreto abolisce l’istituto della protezione umanitaria, la forma di protezione più utilizzata per i richiedenti asilo che fanno domanda in Italia, che si aggiungeva alle due forme condivise a livello internazionale (lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria – qui abbiamo spiegato le differenze).

Il prevedibile risultato è che aumenta la percentuale dei diniegati, cioè di coloro che ricevono risposta negativa alla domanda di asilo. Se la percentuale di persone che riceve la protezione internazionale rimane sostanzialmente stabile, quel 25% di persone che prima otteneva la protezione umanitaria ora non ottiene più alcuna forma di protezione, fatto salvo per un 2% che ottiene un permesso per casi speciali (la dicitura giuridica che ha sostituito la protezione umanitaria ma che si applica, appunto, a molti meno casi).

Questo porta dritti ad una sola conseguenza: crescono gli immigrati irregolari.

Il decreto modifica inoltre radicalmente l’impostazione del sistema di accoglienza dei migranti in Italia, come abbiamo spiegato ampiamente qui.

Il primo effetto è che centinaia di persone con protezione umanitaria sono state espulse dai progetti di accoglienza finendo di fatto per strada, e interrompendo esperienze di integrazione come quella del centro di Castelnuovo di Porto.

A febbraio è emerso un secondo effetto, con la pubblicazione dei primi bandi per la gestione dei nuovi progetti di accoglienza. A Milano, ad esempio, la maggior parte dei posti messi a bando riguarda i centri collettivi, a discapito dell’accoglienza diffusa in appartamenti sul territorio. Inoltre, la retta giornaliera riconosciuta agli enti gestori è scesa da 35 a 21 euro, tagliando sui costi dei trasporti, corsi di lingua e altri servizi per l’integrazione, servizi speciali per persone vulnerabili (minori, vittime di tratta, persone con disagio psichico), e sul numero di operatori, che da 1 ogni 10 persone passa a 1 ogni 50.

Stessa direzione adottata anche nei nuovi bandi usciti a Roma e nel nuovo sistema di accoglienza trentino, profondamente ridimensionato dalla nuova giunta leghista.

Ulteriori indizi a dimostrazione di ciò che anche la storia insegna: i provvedimenti più restrittivi finiscono spesso per alimentare ciò che vorrebbero combattere (l’illegalità) e sfavorire ciò che dovrebbero promuovere (l’integrazione).

Migranti 2019: i numeri in Italia al 31 gennaio

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 e il 31 gennaio 2019 sono sbarcate in Italia 202 persone. È il dato mensile più basso degli ultimi cinque anni. Negli scorsi anni sono sempre arrivati tra i tre e i cinquemila migranti nel mese di gennaio.

Se prendiamo gli ultimi 12 mesi – esercizio analiticamente più significativo che non paragonare gli anni solari – passiamo dai 119.084 arrivi tra il 1 febbraio 2017 e il 31 gennaio 2018 ai 19.391 arrivi del periodo 1 febbraio 2018 – 31 gennaio 2019. Centomila arrivi in meno, un calo dell’84%.

Tra i paesi di provenienza negli ultimi 12 mesi sono arrivate soprattutto persone da Tunisia (4,6 mila persone, 24% del totale) seguito da Eritrea (duemila persone, 10%), Iraq (9%), Sudan (8%), Pakistan (7%). Seguono Nigeria, Algeria e Costa d’Avorio.

Rispetto ai 12 mesi precedenti si registra un crollo dell’arrivo di persone da Nigeria, Guinea, Costa d’Avorio e Bangladesh, che ha portato ad un aumento nell’incidenza sul totale degli arrivi delle provenienze riportate sopra, su tutte la Tunisia.

Quanto al genere e all’età delle persone sbarcate, il 72% delle persone arrivate sulle coste italiane negli ultimi 12 mesi è di sesso maschile, le donne sono il 10%, i minori il 18% – in buona parte minori non accompagnati. Queste percentuali sono sostanzialmente invariate nel corso del tempo.

Migranti 2019: i numeri in Europa al 31 gennaio

Se consideriamo gli sbarchi su tutte le coste europee, tra il 1 e il 31 gennaio 2019 sono arrivati via mare in Europa 6.774 migranti (a gennaio 2018 furono 8.529).

La Spagna è ormai di gran lunga il nuovo paese europeo con il maggior numero di arrivi via mare, con 4.254 arrivi a gennaio 2019. Prosegue quindi il trend esploso nel 2018, quando arrivarono 64 mila persone, il triplo rispetto al 2017. Si tratta di persone che entrano in Spagna in gran parte via mare ma in parte anche via terra nelle enclave di Ceuta e Melilla confinanti con il Marocco. In Spagna arriva un’umanità varia di diverse nazionalità dell’Africa subsahariana (Guinea, Mali, Costa d’Avorio, Gambia), del Maghreb (Marocco, Algeria), del Medio Oriente (Siria).

In Grecia sono arrivate 2,2 mila persone, dato in linea con gli ultimi mesi. L’accordo con la Turchia del 2016 ha fermato l’esodo di massa di profughi siriani, iracheni e afghani verso l’Europa che aveva portato al milione di arrivi in Grecia tra marzo 2015 e marzo 2016. Da allora in Grecia l’afflusso si è stabilizzato intorno ai due-tremila arrivi al mese; arrivano soprattutto afghani, siriani e iracheni che sfuggono alle maglie del controllo turco.

Migranti 2019: strategie politiche

Il 2019 è iniziato come si era concluso il 2018: navi in mezzo al mare che non vengono fatte attraccare, battibecchi tra i governi europei, fermezza condivisa nel voler bloccare fuori dall’Europa i migranti. Ricapitoliamo le principali questioni aperte.

In Europa non si trovano accordi

L’immigrazione è materia che riguarda gli stati nazionali. Tuttavia è per sua natura un affare sovranazionale, che riguarda confini e relazioni internazionali, a maggior ragione in un contesto come quello dell’Unione Europea.

Gli stati però faticano maledettamente a trovare accordi. Tutti i governi hanno una gran smania di mostrare ai propri elettori una linea dura e intransigente con i migranti e con l’Europa.
Il risultato è che ognuno va per la sua strada accusando gli altri e l’idea di una politica migratoria comune appare irrealizzabile, fatta salva la linea condivisa del lasciare fuori dall’Europa il maggior numero possibile di migranti.

Il tentativo portato avanti nel 2018 di riformare il regolamento di Dublino è miseramente fallito per il mancato accordo tra gli stati, dopo il gran lavoro che aveva fatto il Parlamento europeo per elaborare una proposta di superamento del principio del primo paese d’ingresso per sostituirlo con un meccanismo di ripartizione dei migranti in arrivo sulle coste mediterranee.

Gli accordi con Libia e Niger

L’unica cosa su cui l’Europa pare riuscire a muoversi con efficacia è il controllo dei confini esterni. La strategia era stata già utilizzata nel 2016 per impedire ai profughi siriani, iracheni e afghani di entrare in Grecia, stipulando un contestato accordo con la Turchia che, in cambio di un’ingente quantità di denaro, agisce da controllore delle frontiere europee a est.

Lo schema si è ripetuto nel 2017 con la Libia. Gli accordi per fermare le partenze erano stati tessuti e poi conclusi dal governo Gentiloni, in particolare con l’impegno dell’ex ministro dell’interno Minniti. Il governo italiano ha di fatto stretto accordi con milizie libiche che gestiscono il traffico dei migranti pur di impedire le partenze dalle coste libiche. Gli accordi sono stati poi confermati e rafforzati dal nuovo ministro dell’interno Salvini.

Ancora più a monte, l’Unione Europea – con la Francia in testa – è molto attiva in Niger, paese di transito dei migranti che andavano in Libia per poi partire verso l’Europa. L’obiettivo è quello di fermare i migranti prima, anche per ridurre il peso strategico di un paese instabile e molto frammentato come la Libia, oltre che per lavare un po’ di coscienze evitando che le persone finiscano nei terribili centri di detenzione libici.

Nel 2018 l’Unione Europea ha quindi riversato milioni di euro per supportare la riconversione dell’economica nigerina, prima basata sui servizi connessi al transito dei migranti. Si tratta di un’operazione molto complicata e rischiosa per gli effetti che potrà avere sulla regione, ma la priorità assoluta degli stati europei è stata anche in questo caso fermare il flusso dei migranti.

Le navi in mezzo al mare

Il risultato di queste iniziative volte a ridurre le partenze dalla Libia e dall’Africa in generale è che molte meno imbarcazioni sono partite e quelle che sono partite sono state intercettate e respinte dalla guardia costiera libica rafforzata grazie al contributo italiano.

Quelle che sono riuscite a partire e sfuggire al controllo libico sono state poi intercettate da altre navi – della Marina Militare italiana, delle Ong, o navi commerciali – che nel 2018 si sono scontrate con il ritornello demagogico salviniano dei porti chiusi.

La storia si è ripetuta a gennaio 2019, con il caso della nave dell’Ong Sea Watch attraccata finalmente al porto di Catania il 31 gennaio dopo 13 giorni di navigazione. La nave aveva a bordo 47 migranti soccorsi al largo delle acque libiche, fatti sbarcare solo dopo che sette paesi europei – Italia, Francia, Portogallo, Germania, Malta, Lussemburgo e Romania – hanno raggiunto un accordo per una loro spartizione.

Ora la Sea Watch è ancora ferma a Catania per adempiere ad alcune verifiche richieste dalla Guardia costiera italiana, e non è dato sapere quando potrà riprendere le operazioni di pattugliamento e soccorso nel Mediterraneo. Nel frattempo nessuna nave di soccorso è operativa, e il destino dei migranti è di fatto completamente nelle mani della guardia costiera libica, dei trafficanti, e del Mar Mediterraneo.

Nuove vecchie rotte

Al di là delle poche decine di migranti che ancora riescono a partire sulla rotta del Mediterraneo centrale, la rotta più trafficata è ora quella del Mediterraneo occidentale, ossia dal Marocco alla Spagna.

La Spagna è diventata nel 2018 la nuova frontiera calda d’Europa, e di gran lunga paese di maggior approdo. I migranti partono dalle coste del nord del Marocco per approdare nel sud della Spagna, sulle coste dell’Andalusia o, in misura minore, alle Canarie. Oppure attraversano via terra il confine in terra marocchina, scavalcando le terribili recinzioni che separano il Marocco dalle enclave spagnole di Ceuta e Melilla.

Si è poi tornato a parlare nel 2018 di rotta balcanica. Particolarmente calda è la situazione in Bosnia Erzegovina, dove si trovano migliaia di profughi siriani, iracheni, afghani accampati nella speranza di varcare il confine con la Croazia, che significherebbe Unione Europea. I dati, aggiornati a ottobre 2018, riportano 13 mila ingressi in Bosnia nel 2018, contro i 600 del 2017.

La riforma del sistema di accoglienza

Il 2018 è stato anche l’anno di importanti riforme interne promosse dal governo con il Decreto sicurezza e immigrazione – detto anche Decreto Salvini – approvato a dicembre dal Parlamento.
Il decreto abolisce l’istituto della protezione umanitaria, la forma di protezione più utilizzata per i richiedenti asilo che fanno domanda in Italia, che si aggiungeva alle due forme condivise a livello internazionale (lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria – qui abbiamo spiegato le differenze).

Il decreto modifica inoltre radicalmente l’impostazione del sistema di accoglienza dei migranti in Italia, come abbiamo spiegato ampiamente qui.

Il primo effetto è che centinaia di persone con protezione umanitaria sono state espulse dai progetti di accoglienza finendo di fatto per strada, e interrompendo esperienze di integrazione come quella del centro di Castelnuovo di Porto. Qualcuno, come ad esempio Prince Jerry, vedendosi privato anche dell’ultima speranza rappresentata dalla protezione umanitaria, si è tolto la vita.

Al di là di queste nefaste conseguenze immediate occorrerà attendere altri mesi per comprendere in pieno quali effetti avranno le nuove norme. Tuttavia la storia spesso insegna che i provvedimenti più restrittivi finiscono per alimentare ciò che vorrebbero combattere (l’illegalità) e sfavorire ciò che dovrebbero promuovere (l’integrazione).

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