Come è meglio chiamare le persone che migrano?7 min read

3 Marzo 2016 Migrazioni -

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Sociologo

Come è meglio chiamare le persone che migrano?7 min read

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Saskia Sassen ha probabilmente ragione quando scrive che

il linguaggio dell’immigrazione e dei rifugiati è insufficiente a descrivere gli eventi storici in atto

In attesa però che la grande sociologa ci proponga un nuovo vocabolario per dare un nome a quello che sta succedendo nel mondo contemporaneo, ci dobbiamo tenere quello che abbiamo.

Già, ma conosciamo il significato delle parole che usiamo quando parliamo di migrazioni? Cerchiamo di fare chiarezza nella confusione che ci circonda, confusione in parte comprensibile vista la complessità della materia, e in parte indotta da un uso superficiale e strumentale delle parole nel vortice comunicativo contemporaneo.

Come chiamare le persone che si spostano da un posto all’altro? Ecco una rassegna delle parole più utilizzate e del loro significato.

Migrante

Tecnicamente indica una figura in transito, che sta ancora compiendo la sua migrazione. In molti casi però è difficile stabilire quando una persona sia giunta alla fine del proprio percorso migratorio. Molte persone che arrivano in Italia, ad esempio, sono dirette più a nord. Tecnicamente dunque sono migranti. Ma se per motivi vari si trovano a soggiornare in Italia mesi o anni? Rimangono sempre migranti? Non ci sono soglie stabilite, anche perché si tratta di condizioni soggettive.

Contestualmente è anche una categoria generica, che è diventata il modo di chiamare tutti coloro che si spostano da un posto all’altro, nel momento in cui non c’è occasione, tempo o volontà di introdurre delle distinzioni.

Si è detto ad esempio che il 2015 è stato l’anno dei migranti. Non è che tutti fossero perennemente in transito. Alcuni erano in realtà immigrati, altri rifugiati, altri richiedenti asilo, altri ancora sfollati o più genericamente profughi, ma non è che si possa ogni volta scrivere che “il 2015 è stato l’anno dei migranti, degli immigrati, dei rifugiati, dei richiedenti asilo, degli sfollati e dei profughi”.

Immigrato/a

Tecnicamente è un/a migrante che raggiunge il paese di destinazione e lì si stabilisce. Il criterio della residenza appare un buon modo per definire la categoria degli immigrati, anche se certo da una prospettiva analitica e non necessariamente biografica.

È bene precisare che seguendo questo criterio la categoria degli immigrati include anche quella dei rifugiati (dato che i rifugiati sono quasi per definizione persone che si stabilizzano nella società di arrivo). Se ci interessa tenerle distinte dobbiamo ricorrere alla dizione “migranti economici”, che spiegheremo dopo.

Ecco, secondo questo criterio, quanti sono gli immigrati in Italia e in Europa

Emigrato/a

Beh, è l’immigrato/a dalla prospettiva della società di partenza. In realtà è anche il/la migrante dalla prospettiva della società di partenza, visto che dal momento in cui una persona lascia la propria casa può essere definita come emigrato/a, e poco importa se si sia effettivamente stabilito o sia in transito.

In situazioni particolari però è difficile definire le persone come emigrate nonostante in senso letterale lo siano, pensiamo ad esempio ai milioni di siriani accampati in Libano, che è più consono chiamare profughi (sempre in attesa che Saskia Sassen ci dia una parola migliore).

Qui i numeri sugli emigrati italiani nel mondo

Migrante economico/a

Questa categoria indica tutte quelle persone, migranti e immigrati, che si spostano per motivi economici. È stata molto utilizzata negli ultimi anni da vari paesi europei per giustificare politiche migratorie selettive, aperte verso potenziali rifugiati e chiuse verso, appunto, i migranti economici.

In realtà la distinzione tra rifugiato/richiedente asilo e migrante economico è molto più sottile di quanto si possa pensare, e dipende da criteri che spesso poco hanno a che fare con la mera applicazione della Convenzione di Ginevra (vedi alla voce rifugiato).

Qui un approfondimento sulla problematica distinzione tra rifugiati e migranti economici

parole migrazioni

Migrante irregolare

Colui o colei che, per qualsiasi ragione, entra in un paese senza regolari documenti di viaggio. È una categoria che ne comprende molte altre, come i profughi (potenziali richiedenti asilo e rifugiati) che nella maggior parte dei casi giungono appunto in modo irregolare nei paesi di destinazione, non potendo ottenere dai propri paesi i documenti per viaggiare.

Coloro che si trattengono sul territorio di un paese straniero senza regolarizzare la propria posizione (ad esempio tramite richiesta di asilo oppure ottenimento di un permesso di soggiorno per motivi di lavoro) rimangono migranti irregolari, chiamati anche clandestini, per lo più con connotazione dispregiativa.

Extracomunitario/a

È un termine che nasce e ha senso solo nei confini dell’Unione Europea, indicando qualsiasi persona che non sia cittadina di uno dei ventotto paesi membri. È un termine di per sé neutro, che però ha finito per assumere, almeno nel dibattito italiano, una connotazione negativa.

Rifugiato/a

È una precisa categoria giuridica, e si riferisce a una persona a cui è stato riconosciuto, appunto, lo status di rifugiato. Si è cioè accertato, tramite un’apposita procedura, che la persona è stata costretta a lasciare il proprio paese a causa di persecuzioni per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, e che per questo non può tornare nel proprio paese. Questa definizione deriva dall’articolo 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, a cui fanno riferimento le diverse disposizioni nazionali che hanno riconosciuto la convenzione.

È quindi tecnicamente scorretto definire rifugiati tutte le persone in fuga da paesi in guerra, come ad esempio i siriani dal 2011 in avanti.

Ecco quanti sono i rifugiati in Italia e in Europa

Richiedente asilo

Colui o colei che ha presentato domanda per ottenere l’asilo politico, e dunque lo status di rifugiato, in un paese estero. Si tratta, anche qui, di una categoria definita giuridicamente e temporalmente. Infatti il richiedente asilo diventa altro (rifugiato, o migrante economico, o migrante irregolare) nel momento in cui ottiene una risposta definitiva alla sua domanda di asilo.

Profugo/a

Si tratta di un termine generico che indica chi lascia il proprio paese a causa di guerre, persecuzioni o catastrofi naturali. È dunque la parola più adatta per definire esodi di massa come quello siriano, anche se implica una condizione di passività che spesso non coglie la dimensione attiva e strategica che molte persone che migrano mettono in realtà in campo.

Sfollato/a

In italiano indica genericamente una persona costretta ad abbandonare la propria abitazione per gravi motivi esterni, come ad esempio una catastrofe naturale o una guerra. Nel linguaggio delle migrazioni però viene utilizzato come traduzione dall’inglese internally displaced person, che sta ad indicare una persona che è costretta a lasciare la propria casa, ma rimane all’interno del proprio paese.

Quindi? Che parole è meglio usare?

È evidente che scegliere una parola piuttosto che un’altra è un’azione politica. Se è ormai assodato che parole come clandestino ed extracomunitario hanno assunto un carattere dispregiativo, la situazione è ambigua per la maggior parte dei termini. Negli ultimi anni, ad esempio, abbiamo assistito a un processo di significazione negativa del termine migrante economico, che designa ormai una categoria indesiderata.

Nel 2015 si è aperto un dibattito importante sui termini migrant e refugee, lanciato da un ormai famoso editoriale di Al Jazeera. Il network qatariota ha contestato la scelta, divenuta mainstream, di utilizzare il termine migrants per definire le persone in fuga da guerre e miseria, sottolineando come questa parola fosse ormai diventata uno strumento narrativo di cui i governi europei si stavano servendo per giustificare le loro linee di azione. Al Jazeera ha cominciato ad utilizzare il termine refugees, più adatto a rappresentare il carattere forzato dei flussi migratori contemporanei.

Non è un caso che le parole siano in inglese. La lingua inglese infatti non offre una via d’uscita, aprendo un vasto campo di ambiguità sulla parola refugee, che indicherebbe allo stesso tempo chi ottiene giuridicamente lo status di rifugiato e chi, più genericamente, si mette in viaggio perché costretto.

La lingua italiana offre una via d’uscita intermedia, che è la parola profugo, utilizzata appunto per definire chi lascia il proprio paese per cause di forza maggiore, distinta dal termine rifugiato, che definisce invece chi ottiene l’asilo politico.

Credo, in definitiva, che sarebbe opportuno usare la parola rifugiato in senso strettamente giuridico, e la parola immigrato per definire chi risiede stabilmente in un paese. La scelta tra profugo e migrante è assai più complessa, e nessuna delle due in effetti mi soddisfa completamente.

Chiamare migrante una persona equivale a sospenderla in una condizione di transito che sottrae dalla responsabilità di dare aiuti e diritti (tanto, è di passaggio). Alla parola profugo invece associo immagini di persone disperate e in estremo bisogno, capaci tuttalpiù di suscitare compassione.

Ma a me la compassione non piace. Mi piace la dignità, il pieno riconoscimento della persona, con tutti i suoi bisogni ma anche tutte le sue risorse.

Ed è vero, cara Saskia, che per questa roba qua non esiste ancora una parola, che non sia persona.

Immagine | Freedom House

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Sociologo, lavora come progettista e project manager per Sineglossa. Per Le Nius è responsabile editoriale, autore e formatore. Crede nell'amore e ha una vera passione per i treni. fabio@lenius.it
7 Commenti
  1. dav1de

    Compassione è un po' fraintesa dal senso comune: in realtà fa riferimento diretto all'empatia con l'Altro, e quindi al riconoscimento dei bisogni della persona che ho davanti. A me sembra un termine molto bello. Chissà che ne pensa Saskia Sassen.

  2. Fabio Colombo

    Grazie della precisazione Davide. Tuttavia il termine continua a non convincermi, c'è il rischio di prendere una parte della storia per il tutto, riducendo l'esperienza delle persone alla dimensione dei bisogni e delle sofferenze.

  3. Very

    Manca la definizione della parola più importante: "clandestino"!

    • Fabio Colombo

      Buongiorno Very, non si capisce perché sia la più importante, ad ogni modo, come spiegato nel testo, è solo un modo di chiamare i migranti irregolari, di cui trovi la definizione nell'articolo

  4. simone maio

    Buonasera, piccola ricerca personale: il termine 'extracomunitario' sta lentamente passando di moda. Rimane un termine denigratorio che indica provenienza da Paesi poveri, ma forse gli italiani si sono finalmente resi conto che gli svizzeri e gli inglesi sono extracomunitari. 'Sfollato' è un termine ridicolo se applicato a un migrante o richiedente asilo, perché non sappiamo se quella persona ha perso la casa o meno ; la distinzione tra migrante economico e immigrato non esiste, perchè l'unica categoria a cui può appartenere una persona che viene qui per motivi economici è quella di immigrato. 'Profugo' e 'richiedente asilo' sono due termini impossibili da usare se non conosciamo a fondo l'individuo, ma sono sicuramente sinonimi: il povero profugo è costretto a chiedere asilo per diventare rifugiato, ma è un po' difficile immaginare che tutti i richiedenti asilo abbiano le qualità per diventare rifugiati, no? Dunque come possiamo chiamare tutte quelle persone che sono alloggiate nei comuni italiani per motivi umanitari? Intanto, sono tantissimi (i numeri sono alti ma difficili da calcolare,e quasi mai conteggiati) benchè pochi richiedano e/o ottengano status di rifugiato in Italia: la maggior parte richiede per altri Paesi stranieri, nella vana speranza, nutrita da ingenuità e 'fake news', che venga trovato loro lavoro in Svezia o Germania, ma passa in Italia perchè sbarca sulle nostre coste. In pratica, entrano tutti i "wannabe refugees" d'Europa. La legge è chiara: entri senza soldi, documenti e garanzie? Una volta eri clandestino, oggi ti è permesso fare richiesta di asilo, ma non immigrato economico. Io credo che la definizione di 'irregolare' sia perfetta: non è carica del valore negativo di 'clandestino' che potrebbe offendere qualche mosca bianca, profugo/sfollato che ha tutti i numeri per diventare rifugiato, ma ci allontana dall'immagine del migrante che compie l'atto di migrare, mentre passeranno anni prima che venga ricollocato nel luogo in cui ha fatto richiesta e potrebbe un giorno essere espulso dopo aver vissuto a lungo in una prigione dorata...

    • Fabio Colombo

      Grazie del commento Simone, che dimostra come la scelta delle parole ha una valenza politica. Non concordo sulla tua equivalenza tra profugo e richiedente asilo: la seconda è una parola che ha valenza giuridica, e riguarda solo chi fa domanda di asilo, quella di profugo è una condizione più ampia. Non concordo nemmeno sulla proposta di utilizzare la parola irregolare, se le persone che sono nel sistema di accoglienza italiano hanno fatto domanda di asilo sono richiedenti asilo. In un secondo momento, diverranno rifugiati, persone con protezione umanitaria o irregolari, se la loro domanda verrà respinta. D'altra parte altre vie per entrare regolarmente in Europa non ce ne sono, attualmente. Quanto ai numeri, le persone presenti nel sistema di accoglienza italiano sono conteggiate dal Ministero dell'Interno e sono circa 200.000, secondo l'ultimo dato disponibile di metà 2017, come riportato qui: https://www.lenius.it/stranieri-in-italia/

  5. luciosibilia

    Per mia formazione, sono abituato a identificare il significato di una parola con l'uso che ne fa il parlante. Il numero stesso di termini usati ci suggerisce quanto variegate siano le politiche e le normative previste o quelle contemplate o desiderate: profughi, immigrati, irregolari, clandestini, sfollati, richiedenti asilo, rifugiati, migranti, stranieri, ecc.!Sono tutti costrutti con cui cerchiamo di incasellare le persone nate in terre e culture lontane (cioè fuori contesto) che vengono da noi, e le loro storie, spesso complesse. Spesso inutilmente. Costrutti usati talvolta per salvaguardare loro, talvolta per salvaguardare noi del paese ospitante.Ma una parola trovo che manca, o almeno io non l'ho mai letta: schiavi. Credo che la schiavitù sia stata abolita solo formalmente. Mi spiego meglio: anche se non vengono più comprate le persone (ma potrei sbagliarmi!), queste - una volta arrivate - si trovano ugualmente costrette a fare lavori pesanti e sottopagati, spesso senza tutele e senza alternative, in pratica lavori forzati.Questo se va bene e se il lavoro c'è. Altrimenti, andranno a ingrossare le fila della malavita, o peggio ancora del traffico di esseri umani, di cui purtroppo i media ci parlano poco. Ho visitato i campi di patate nel Fucino, dove lavorano quasi soltanto i neri, e sono rimasto inorridito. Una differenza con gli schiavi di allora è che questi hanno pagato loro il costo del viaggio! E, senza timore di sbagliarmi, per pagarlo si sono indebitati.Purtroppo, ci sono molte analogie con la schiavitù di allora, come si può leggere in questa pagina sull'isola di Goree a Dakar, che ho anche visitato: https://www.pimpmytrip.it/isola-di-goree-da-dakar-in-1-giorno/Se questo è vero, allora bisogna chiedersi: chi ha in cassato questi soldi? Chi sono i negrieri? Come hanno fatto ad attirarli? Quali miraggi hanno fatto balenare?

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