Come sta andando il reddito di cittadinanza?13 min read
Reading Time: 10 minutesÈ presto per dirlo e, forse, non riusciremo mai a dirlo, almeno non come avevamo immaginato di dirlo. Mi spiego meglio: l’emergenza coronavirus renderà non paragonabili gli scenari socio-economici pre e post introduzione del reddito di cittadinanza complicando, e di molto, la possibilità di fare le valutazioni che avremmo voluto fare.
Ma riavvolgiamo il nastro: il reddito di cittadinanza, ma sarebbe meglio chiamarlo reddito minimo garantito, è una misura che incontra un crescente favore in un contesto globale dove il lavoro è, almeno in alcuni contesti, sempre più scarso e/o precario e la protezione garantita dalle tradizionali misure di welfare non sufficiente a garantire un livello di vita adeguato a molte persone. Non per caso è diffuso nella maggior parte dei paesi occidentali.
Ora se ne parla anche in relazione all’emergenza coronavirus e alle conseguenze disastrose che potrebbe avere in termini di aumento di persone in povertà, persone che potrebbero godere di un’estensione, almeno temporanea, del reddito di cittadinanza.
Al di là del coronavirus, il reddito minimo è certamente una misura sensata anche in Italia, contesto caratterizzato da un mercato del lavoro stagnante e una povertà molto diffusa, soprattutto nelle regioni del sud.
Purtroppo è stato introdotto in fretta e furia per la necessità del Movimento 5 Stelle di potersene vantare prima delle elezioni europee, e per questo è stato disegnato male, inseguendo principi contradditori e senza aver prima preparato un’adeguata infrastruttura istituzionale.
Si è innestata una misura rivoluzionaria su delle basi fragilissime: centri per l’impiego allo sbando e personale tecnico e amministrativo dei diversi servizi pubblici coinvolti che avrebbe avuto bisogno di formazione e di un’adeguata dotazione di risorse.
Altro nodo mai veramente sciolto è la duplice faccia del reddito di cittadinanza: una misura pensata per ridurre la povertà (“abolirla”, gridò uno stralunato Di Maio dal balcone di Palazzo Chigi), ma che ha da sempre voluto smarcarsi dalle accuse di promuovere assistenzialismo e nullafacentismo.
Tutta la fastidiosa retorica sul “nessuno potrà restare sul divano” nasceva da qui: sì, diamo un reddito a questi poveri, ma poi loro devono accettare il lavoro che gli offriremo altrimenti lo perderanno.
Che bilancio possiamo trarre quindi dopo il primo anno di attuazione del reddito di cittadinanza? Sta raggiungendo gli obiettivi prefissati? I beneficiari lavorano o stanno sul divano? La povertà è stata abolita?
I numeri, intanto
Secondo gli ultimi dati pubblicati da Inps aggiornati all’8 aprile 2020, hanno fatto domanda per il reddito o la pensione di cittadinanza 1,8 milioni di nuclei familiari, di cui 1,2 milioni di domande sono state accolte. Altre 118 mila sono in lavorazione, mentre ben 473 mila domande (il 27% di quelle presentate) sono state respinte o cancellate.
155 mila sono le domande decadute ad oggi; si tratta cioè di nuclei familiari che hanno perso il diritto al beneficio, per variazione della situazione reddituale o della composizione del nucleo che li ha portati a non rispondere più ai requisiti. Sono quindi poco più di un milione i nuclei familiari attualmente percettori di reddito o pensione di cittadinanza in Italia.
Tradotto in individui, significa che sono 2,6 milioni le persone che beneficiano del reddito (o della pensione) di cittadinanza con un importo medio mensile di 552 euro per il reddito di cittadinanza e 233 euro per la pensione di cittadinanza. Di queste, 1,7 milioni (il 65%) risiedono nel sud Italia, 525 mila al nord e 343 mila al centro.
In termini assoluti, il maggior numero di percettori del reddito o pensione di cittadinanza risiede in Campania (595 mila persone), seguita da Sicilia (491 mila), Puglia (243 mila), Lazio (205 mila), Lombardia (190 mila).
Sono regioni molto popolate, e anche quelle con il maggior numero di poveri, in termini assoluti. Per farci un’idea più significativa, possiamo mettere in relazione il numero dei beneficiari di reddito e pensione di cittadinanza di ogni regione con la popolazione totale della stessa.
In media, il 4,2% degli italiani riceve il reddito o la pensione di cittadinanza. La distribuzione della misura è però molto diversa da regione a regione: in Campania, Sicilia e Calabria siamo intorno al 10% della popolazione.
Se risaliamo verso nord troviamo percentuali tra il 2 e il 3% della popolazione nelle regioni centrali, in Piemonte e Liguria e percentuali inferiori al 2% in Emilia Romagna e nelle altre regioni del nord. Sono dati in linea con le aspettative, e proporzionali alla distribuzione della povertà in Italia.
L’89% dei beneficiari del reddito di cittadinanza è di cittadinanza italiana, il 6% cittadino di paesi extra UE, il 4% è cittadino di un paese UE. Queste percentuali rispecchiano più o meno la presenza straniera nel nostro paese, che è dell’8,5% della popolazione, divisibile in 6% di stranieri extracomunitari e 2,5% di stranieri comunitari.
Non rispecchiano però la distribuzione della povertà, che colpisce il 32% degli stranieri residenti in Italia.
Questa notevole distanza tra dati sulla povertà e dati sui beneficiari del reddito di cittadinanza è il risultato di requisiti di accesso che rendono complicato per molti cittadini stranieri ottenere il reddito di cittadinanza. Ora quei requisiti sono stati alleggeriti, e ci aspettiamo che la quota delle persone straniere che accedono alla misura possa crescere nei prossimi mesi.
Un ultimo dato riguarda la spesa pubblica per il reddito di cittadinanza: in totale lo Stato ha erogato nel primo anno di attività una somma di 5,3 miliardi di euro, circa 450 milioni al mese.
I beneficiari del RdC hanno trovato lavoro?
No, questo obiettivo è al momento fallito o, meglio, è molto marginale.
Secondo la legge che regola il reddito di cittadinanza, chi ottiene la misura viene inserito in uno dei tre percorsi previsti: il Patto per il Lavoro, per chi viene ritenuto pronto per lavorare, il Patto per la Formazione, per chi si ritiene abbia bisogno di formarsi prima di lavorare, e il Patto per l’Inclusione Sociale, per chi viene ritenuto non idoneo a lavorare. Chi sigla il Patto per il Lavoro dovrebbe ricevere almeno un’offerta di lavoro entro 12 mesi e, se la rifiuta, altre due offerte a un raggio di distanza crescente dalla propria abitazione.
Secondo i dati Anpal aggiornati al 10 dicembre 2019, sono quasi 800 mila i beneficiari di reddito di cittadinanza potenzialmente occupabili tramite Patto per il lavoro. Di questi, 422 mila sono stati inviati ai centri per l’impiego per l’attivazione dei percorsi di inserimento lavorativo.
In termini generali, constatiamo che solo il 35% dei percettori del reddito di cittadinanza è stato attivato per l’inserimento lavorativo, il 41% è stato indirizzato ai servizi sociali dei comuni e il 26% riceve unicamente il contributo monetario.
L’invio ai centri per l’impiego non significa certo che queste persone abbiano trovato lavoro, ma solo che sono state assegnate a un navigator per la ricerca lavoro. Il percorso prevede la convocazione, il primo appuntamento, la presa in carico, il percorso personalizzato di accompagnamento al lavoro.
Sempre dai dati Anpal, emerge che a dicembre 2019 sono 28.763 i percettori di reddito che hanno avuto un contratto di lavoro, un dato in crescita rispetto ai mesi precedenti ma ancora molto marginale rispetto alla platea dei beneficiari (il 3,6% degli occupabili, l’1% del totale). Di queste 28 mila persone, il 67,2% ha avuto un contratto a tempo determinato, il 18% a tempo indeterminato, il 3,8% in apprendistato.
Considerati i tempi lenti con cui si è avviato il meccanismo di inserimento lavorativo, questi dati dovrebbero diventare più significativi nel 2020, anche se saranno inevitabilmente inficiati dagli effetti nefasti del periodo di pandemia e lockdown.
Al di là di tutto e indipendentemente dal coronavirus, rimane una domanda di fondo che aleggia – fin dall’inizio, a dire il vero – sull’efficacia del reddito di cittadinanza per l’attivazione al lavoro, e cioè:
Ma poi: i beneficiari del RdC troveranno mai lavoro?
No, o almeno, sembra improbabile. L’obiettivo di trovare lavoro a milioni di persone appare davvero poco credibile, soprattutto se pensiamo ai contesti in cui risiede la maggior parte delle persone beneficiarie: regioni del sud Italia dove i tassi di disoccupazione sono altissimi e creare lavoro è una sfida titanica da affrontare con politiche di lungo periodo.
Inoltre, il sistema appare molto indietro e presenta enormi difficoltà di implementazione. Anche supponendo che i navigator facciano un lavoro egregio, si poggiano comunque su un sistema, quello dei centri per l’impiego, in affanno totale, che per essere reso efficiente necessiterebbe di grandi investimenti economici, di personale, di competenze. Investimenti di cui non si vede traccia.
Il RdC ha ridotto la povertà?
Ecco, questo è l’obiettivo su cui si misura molto del successo del reddito di cittadinanza. Un bilancio in questo senso sarà possibile solo nei prossimi mesi e anni, quando usciranno i prossimi dati su numeri assoluti e relativi di persone e nuclei in povertà in Italia e nelle diverse regioni.
Andrà verificato se questi numeri sono in calo, e se questo eventuale calo può essere ascritto al reddito di cittadinanza, che avrebbe così raggiunto questo obiettivo minimo di far uscire dalla povertà le persone che prima vivevano sotto la soglia di povertà.
A dicembre 2019 Pasquale Tridico, presidente dell’INPS – poi ripreso anche da Conte – aveva dichiarato che il reddito di cittadinanza aveva ridotto del 60% il tasso di povertà in Italia. Una dichiarazione infausta e non surrogata da dati credibili: si faceva semplicemente riferimento al fatto che il reddito di cittadinanza era in grado di raggiungere il 60% delle persone in povertà assoluta in Italia. Naturalmente questo non significa che queste persone siano uscite o usciranno dalla povertà.
Insomma, un’informazione che otterremo solo quando Istat aggiornerà i dati sulla povertà in Italia relativi al 2019 e al 2020. Dati che però, a questo punto, saranno ancora più complicati da leggere, perché bisognerà capire non più di quanto il reddito di cittadinanza ha ridotto la povertà ma che effetto ha avuto nell’ammorbidire l’impatto sociale ed economico dell’emergenza coronavirus.
Con analisi più raffinate, si potrà poi negli anni capire se questa uscita dalla povertà sarà solo transitoria, per il periodo in cui si percepisce il reddito di cittadinanza, oppure se la misura risulterà importante per una duratura uscita di persone e nuclei dalla condizione di povertà.
In conclusione: è troppo presto per fare bilanci sul reddito di cittadinanza e, purtroppo, l’emergenza coronavirus renderà molto complicato fare bilanci attendibili nei prossimi mesi o forse anni perché non potremo paragonare scenari simili pre e post introduzione del reddito.
leo
Il reddito di cittadinanza con questo isee si fanno discriminazione per nucleo familiare. Isee dovrebbe essere fatto per chi non ha reddito e sei dell Europa e beni immobili esclusa prima casa e non basarti su i beni mobili perché sono già tassati dallo stato. Isee discrimina anche le singole persone senza lavoro e senza reddito per colpa dell isee dei beni mobili