Site icon Le Nius

Top 10 eventi sociali 2014

eventi sociali 2014
Reading Time: 9 minutes

L’avevamo già fatto l’anno scorso. Ritentiamo la fortuna quest’anno, cercando di mettere in luce nella nostra top 10 degli eventi sociali 2014, i fenomeni sociali, i movimenti, le rivoluzioni, i cambiamenti socio-politici che più hanno inciso, o possono incidere in futuro, sulle strutture della società.

Sceglierne 10 è sempre difficile, perciò integrate e dite la vostra nei commenti a questa top 10 degli eventi sociali 2014.

Eventi sociali 2014: Top 10

10. L’inchiesta Mafia Capitale

Cominciamo da noi. Non lo facciamo tanto per etnocentrismo, quanto perché il fenomeno Mafia Capitale è indicativo di alcune trame sociali che saldano (o sfaldano, in base al punto di vista) la società.

Ci sono i sistemi e le persone. Spesso in questi casi ci rendiamo conto di come sia difficile classificare le persone in buone e cattive. O almeno, lo facciamo, i media lo fanno, i politici salva tutto (alla Renzi, per intenderci) lo fanno, ma nemmeno loro ci credono.

La società ha molte strutture, e quella che in Italia rientra sotto l’etichetta di “mafiosa” è una di quelle. È una rete dove si mescolano il legale e l’illegale, il pubblico e il privato, i mezzi e i fini. Certo è sempre possibile mantenere la barra dritta, ma non è necessariamente la norma. A volte la norma è che la barra sia storta, ed è così, è anche così, che una società funziona.

Vai alla posizione 9

9. I mondiali di calcio (con proteste)

I mondiali di calcio sono un evento sociale. Se poi si svolgono in Brasile, inevitabilmente, lo diventano ancora di più. E se il Brasile perde 7-1 una semifinale contro la Germania, beh, siamo di fronte ad un evento collettivo globale.

Ma non è solo questo: il mondiale è stato accompagnato da dubbie operazioni di “pulizia” nelle favelas e da molte proteste, contro i costi degli stadi e delle opere collegate alla realizzazione dei mondiali, e contro la corruzione dilagante.

La presidente del Brasile Dilma Roussef non ha mai potuto assistere in pace ad una partita, senza che alla minima inquadratura partissero bordate di fischi. Una cosa credo con pochi precedenti nella storia, di solito almeno per il periodo di un mondiale ci si identifica un po’ con il proprio capo di Stato in tribuna a tifare per la squadra della propria nazione.

Ad ogni modo la Roussef ne è uscita egregiamente, se è vero che solo tre mesi dopo è stata rieletta alla presidenza del Brasile.

Vai alla posizione 8

8. L’Ice Bucket Challenge

La campagna per la raccolta fondi contro la Sla è stata un successo pazzesco, e si pone come case-history imprescindibile per qualsiasi studio di comunicazione sociale.

La campagna, che chiedeva alle persone nominate di gettarsi addosso una secchiata di acqua gelida e nominare a loro volta altre tre persone, ha coinvolto innumerevoli vip e opinion leader, consentendo di raccogliere più di 100 milioni di dollari.

Un fenomeno virale davvero di portata epocale.

Vai alla posizione 7


7. Nuove forze politiche e sociali in Europa

Il Front National di Marine Le Pen è stato il primo partito alle elezioni europee in Francia, e c’è il serio rischio che possa vincere le prossime elezioni nazionali. L’Ukip di Nigel Farage ha vinto in Inghilterra, mentre in altri paesi crescono formazioni di estrema destra, ormai radicate nel nord Europa (soprattutto in Svezia e Danimarca) e nell’est (l’Ungheria qui fa da avanguardia), ma con importanti presenze anche in Germania, Austria, Olanda. In Italia è in crescita la Lega (Nord? Nazionale?) dell’onnipresente Matteo Salvini.

Spagna e Grecia sembrano andare in direzione opposta. Quest’ultima, seppur ancora alle prese con l’inquietante presenza di Alba Dorata, sarebbe pronta secondo i sondaggi a consegnare il potere a Syriza, la coalizione di sinistra guidata da Alexis Tsipras. La Spagna invece propone un soggetto del tutto nuovo, il movimento/partito Podemos. Podemos, sorto dalle ceneri del movimento degli Indignados, sta ottenendo risultati straordinari, ma per ora solo nei sondaggi dove sarebbe addirittura in testa alle preferenze degli spagnoli con il 27,7% dei voti.

Rispetto al Movimento 5 stelle, Podemos è più marcatamente di sinistra, anche se tenta di distanziarsi in modo netto dai partiti di sinistra tradizionali, criticandone aspramente l’operato e ponendosi come forza rivoluzionaria rispetto ai classici schemi di interpretazione della politica.

Il movimento leaderato da Pablo Iglesias propone cose apparentemente utopiche come il reddito di cittadinanza, la riduzione dell’età pensionabile, l’innalzamento delle pensioni, ed è proprio questo uno dei suoi elementi di forza.

Questo terremoto nel quadro politico di molti paesi europei avviene proprio nell’anno in cui si sono tenute le elezioni europee più democratiche di sempre. Anche se caratterizzate da alto astensionismo, per la prima volta 5 candidati alla presidenza della Commissione Europea si sfidavano apertamente presentando i propri programmi in appositi confronti in Tv. Anche se la loro era una candidatura non ufficiale (il potere di nominare il presidente della Commissione spetta al Parlamento Europeo, che poteva anche scegliere candidati diversi da quelli che si erano presentati), si è trattato di fatto di un’elezione diretta, come poi si è rivelata (è stato nominato Juncker, candidato dai partiti di centro-destra, che hanno preso più voti).

Vai alla posizione 6


6. La rivolta in Burkina Faso

Alcuni l’hanno definita “la primavera nera”. La rivolta che lo scorso ottobre ha destituito il presidente Blaise Compaoré, che voleva modificare la Costituzione per restare al potere altri 5 anni (dopo averne governati 27), è stata davvero imponente: per le strade della capitale Ouagadougou si è riversato un milione di persone (il paese ne ha 17) e in tre giorni Compaoré è stato costretto a fuggire e il colonnello Isaac Zida è salito a capo di un governo di transizione.

Qua ci potrebbe stare l’inghippo. Come nelle migliori rivoluzioni africane, il rischio che da governo di transizione militare si scivoli in dittatura militare è sotto gli occhi di tutti. Eppure in Burkina Faso sembra accadere qualcosa di diverso. La gestione della transizione vede presente e attiva un’ampia rappresentanza della società civile.

In un contesto come quello africano dove dittature, rivolte e ridittature sembrano ripetersi in un gioco di evocazione continua, ma mai effettiva, della democrazia, speriamo che il Burkina Faso possa essere differente. Lo sapremo nel 2015.

Vai alla posizione 5


5. La guerra globale

Beh, insomma, è un’etichetta come un’altra, in una fase ancora poco decifrabile. Certo l’anno del centenario dello scoppio della prima guerra mondiale è stato un anno di guerre, convenzionali e meno. Di terra, di mare, d’aria, di droni. Di eserciti e di singoli disposti a tutto.

C’è l’Isis, il nuovo nemico mediaticamente perfetto, in lotta per la costruzione di uno stato islamico tra Iraq e Siria. Ci sono attacchi che sbucano fuori a Montreal, Ottawa, Sydney, e questo fa un certo effetto. Non sembra esserci una regia globale, ma elementi isolati piuttosto (molto) disadattati che si immolano per la causa e trovano un riferimento nella bandiera dello stato islamico.

Quanto sia una conseguenza delle strategie comunicative di Isis e quanto delle debolezze psichiche dei singoli è ancora da decifrare, fatto sta che questa delle azioni isolate ovunque nel mondo è un nuovo modo di far fronte ad una guerra globale che invece in alcuni paesi è fortemente radicata (Siria, Libia, Iraq, Palestina, Pakistan, Afghanistan, Somalia, Yemen, Ucraina).

Vai alla posizione 4


4. Il movimento Occupy Hong Kong

Ne abbiamo parlato diffusamente qui. È stato un movimento importante, che ha tenuto duro a lungo (due mesi) occupando costantemente le strade di una delle città globali più importanti del pianeta.

Lo ha fatto sfidando il governo cinese, ma anche le attività finanziarie di una città che si pensava interessata solo all’economia e invece si è riscoperta anche avere una valenza politica e sociale grazie ai suoi giovani.

Il movimento poi si è diviso, ed ora si è ritirato, almeno nei suoi componenti più significativi. Tuttavia è stata una presenza importante sulla scena globale.

Vai alla posizione 3


3. La campagna Fast Food Forward negli Stati Uniti

Una lotta sindacale come non se ne vedeva da tempo. Una roba da film di Ken Loach. La campagna Fast Food Forward (FFF) va avanti in realtà dal 2012, ma è nel 2014 che è esplosa, grazie alla vittoria ottenuta a Seattle (dove è stato introdotto un salario minimo di 15 dollari) e all’eco mediatica ricevuta da alcune azioni di impatto a New York.

FFF deve il suo successo innanzitutto alla chiarezza delle sue rivendicazioni: l’innalzamento del salario minimo per i lavoratori dei fast food da 8 a 15 dollari l’ora e il diritto di formare un sindacato. La campagna è promossa da una rete di cosiddetti Alt-labor, gruppi di cittadini e lavoratori organizzati, che però non hanno lo status di sindacato, e per questo non vengono mai invitati al tavolo delle trattative.

Gli Alt-labor sono nati nel vuoto lasciato dai sindacati tradizionali, tuttavia uno di questi sembra essersi risvegliato, e sta dando una grossa mano, soprattutto economica, alla campagna. Si tratta del Service Employees International Union, il secondo più grande sindacato degli Stati Uniti. E anche questo è un elemento di interesse di Fast Food Forward, che dimostra che se un sindacato agisce con credibilità dalla parte dei lavoratori può ancora essere un’organizzazione sociale importante.

Certo, se alla base c’è il coraggio di lavoratori deboli, che per il solo fatto di partecipare a scioperi e manifestazioni rischiano di essere licenziati.

Vai alla posizione 2

2. La svolta democratica in Tunisia

La primavera araba ha trovato il suo compimento là dove era cominciata, in Tunisia. Al punto che il paese nord africano è stato nominato “paese dell’anno” dall’Economist.

Il paese è andato al voto per le elezioni legislative il 26 ottobre e la vittoria è andata, fatto storico, a un partito laico, Nidaa Tounes, che in realtà è un’alleanza tra piccoli partiti e movimenti laici, alcuni legati al vecchio regime di Ben Ali, altri progressisti.

In una regione nota per gli abusi di potere di chi governa e per il protrarsi infinito di dittature e regimi vari, è da segnalare anche la decisione del governo precedente guidato dal partito islamico Ennahda, che aveva vinto le elezioni nel 2011, ma che si è dimesso per non aver raggiunto alcuni risultati che aveva promesso alle elezioni. Insomma, la parabola di Ennahda è la testimonianza che partiti islamici democratici possono esistere e funzionare.

Il 21 dicembre si è tenuto invece il ballottaggio delle elezioni presidenziali, che ha dato la vittoria a Béji Caid Essebsi, 88enne (!) leader di Nidaa Tounes. Ora c’è da sperare che le fragili e neonate istituzioni democratiche reggano e si consolidino.

La carriera democratica della Tunisia è ancora più luminosa se consideriamo il grigiume che la circonda, da una Libia profondamente instabile a un Egitto che nel 2014, al contrario, è tornato al punto zero della cosiddetta primavera araba.

Proprio a Il Cairo, in piazza Tahrir, la rivoluzione araba aveva toccato uno dei suoi momenti più gloriosi. Ma l’Egitto ha poi seguito un’involuzione storica terrificante che ha riavvolto il nastro del tempo e, passando per una breve transizione governativa dei Fratelli Musulmani detronizzati da un colpo di stato misto popolare/militare (ma molto più militare che popolare), ha visto tornare al potere un governo militare forte che ha fatto della repressione brutale il proprio cavallo di battaglia.

Così, la decisione di assolvere Mubarak dall’accusa di aver ucciso 239 manifestanti proprio in piazza Tahrir, presa da un tribunale egiziano il 29 novembre è una sentenza simbolo, di corsi e ricorsi storici che nel caso egiziano sono andati davvero in fretta. Basti pensare che dall’instaurazione del governo militare di Al-Sisi nel luglio 2013 i manifestanti morti sono ben 1.400.

Vai alla posizione 1


1. L’uccisione di Michael Brown a Ferguson

Ferguson è il simbolo della riapertura di un capitolo enorme della storia dell’umanità e dell’America, che sembrava chiuso (almeno simbolicamente) con l’elezione di Barack Obama: il capitolo di una società strutturalmente razzista, dove il colore della pelle decide non solo la posizione sociale, ma addirittura fa la differenza tra la vita e la morte e tra la libertà e la reclusione.

Negli ultimi 10 anni sarebbero oltre mille i morti per mano della polizia e sono praticamente tutti neri. Nessun poliziotto è stato dichiarato colpevole. A questo aggiungiamo che il 40% dei 2 milioni di detenuti negli Stati Uniti sono afroamericani, anche se rappresentano solo il 10% della popolazione.

L’uccisione di Michael Brown a Ferguson avvenuta il 9 agosto per mano dell’agente Darren Wilson è stato il fatto più eclatante, anche perché, nonostante molte testimonianze contrarie, la giustizia americana ha deciso di non incriminare il poliziotto, scatenando un’ondata di proteste imponente in tutti gli Stati Uniti.

Ferguson è una cittadina anonima della periferia statunitense che più periferia non si può, appena fuori St. Louis, una delle città più povere e segregate d’America. A Ferguson il 67% della popolazione è nera e, guarda caso, il tasso di povertà è molto alto (28%). Si fondono quindi tutti gli elementi che caratterizzano una struttura sociale dove l’elemento razziale è, evidentemente, ancora decisivo. E lì l’America esplode.

Considerata l’eco mediatica, la gravità e la reiterazione degli episodi, la reazione della popolazione afroamericana è stata davvero sorprendente. L’uccisione di due poliziotti a New York da parte di un fanatico avvenuta lo scorso 21 dicembre mi pare addirittura cosa di poco conto rispetto a quanto poteva accadere.

Invece le proteste sono state tese, ma pacifiche e solo il 2015 ci dirà se si tratta dell’alba di un nuovo grande movimento nazionale per i diritti civili.

CONDIVIDI
Exit mobile version