Cosa succede a Hong Kong6 min read

21 Ottobre 2014 Politica -

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Sociologo

Cosa succede a Hong Kong6 min read

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cosa succede a hong kong
@chet wong

Turchia, Brasile, Paesi arabi, Russia, Thailandia, Cina. La geografia dei conflitti ha da tempo il suo centro fuori dall’Europa, fatta forse eccezione per la Spagna degli Indignados (che però ormai risale al 2011) e la Grecia post-crisi. Luoghi dove più facilmente esplodono le contraddizioni tra accentuate spinte capitalistiche, regimi politici ambigui e condizioni sociali ancora critiche. Il caso di Hong Kong è un po’ diverso, essendo la città, ora cinese, l’avanguardia storica del capitalismo in Asia ed essendo abituata a mettere le questioni politiche dietro a quelle economiche e finanziarie. È quindi particolarmente interessante provare a capire cosa succede a Hong Kong.

Cosa succede a Hong Kong: breve storia

Per capire cosa succede a Hong Kong occorre riassumere in estrema sintesi la peculiarità della sua situazione. Colonia britannica dal 1842 al 1997 la città, che conta circa 7 milioni di abitanti, è da allora ritornata sotto il controllo della Cina, con accordi che le hanno però sempre lasciato una certa autonomia.

Tuttavia gli interessi dei grandi gruppi finanziari di Hong Kong sono andati via via allineandosi con quelli delle rampanti élite cinesi, creando connessioni di un certo peso ad alti livelli. Inoltre il peso economico di Hong Kong rispetto al resto della Cina è notevolmente diminuito (passando dal 17% del 1997 al 3% attuale), con ciò intaccando la significatività di una delle ragioni per cui la città ha goduto di un’autonomia anomala per la Cina.

Cosa succede a Hong Kong: cronologia 2014

Veniamo ora a una cronologia dei giorni nostri. Il 31 agosto 2014 il governo cinese annuncia le regole per l’elezione del Governatore di Hong Kong, prevista per il 2017, in quella che sarà la prima elezione diretta del Sindaco della città. La decisione è quella di imporre la scelta del Governatore tra una rosa di candidati proposta dal governo centrale.

A molti abitanti di Hong Kong, abituati ad una certa autonomia dal governo cinese, l’annuncio proprio non va giù. Sono soprattutto studenti e membri della classe media, e il 22 settembre scendono in piazza in centinaia per chiedere il suffragio universale e la possibilità di votare per candidati indipendenti. Nei giorni seguenti la protesta si allarga e le strade di Hong Kong sono invase da migliaia di manifestanti.

Il repertorio d’azione delle proteste di Hong Kong si caratterizza soprattutto per le occupazioni di parti di città, soprattutto il distretto finanziario e Mong Kok, il quartiere dello shopping. La scelta è molto efficace dal punto di vista mediatico anche se alla lunga si rivela poco strategica rispetto alla possibilità di allargare il consenso, dato che causa non pochi disagi agli abitanti della metropoli.

La polizia reagisce presto con gas lacrimogeni, la protesta si accende e degenera in violenza in particolare il 3 ottobre, quando gruppi di persone non identificate aggrediscono i manifestanti distruggendo i loro accampamenti. L’accaduto trasforma la protesta in evento globale, con i media di tutto il mondo ad applicare il solito schema: interessarsi degli eventi solo quando c’è di mezzo un po’ di violenza.

A questo punto seguono giorni densi di tensione, con politici e polizia che approfittano della giornata di violenze per intimare ai manifestanti di lasciare le proprie posizioni e interrompere la protesta. Sono giorni drammatici tra le fila dei manifestanti, spaccati tra chi vuole proseguire la protesta ad oltranza e chi invece vorrebbe dare una tregua alle manifestazioni e provare ad incontrare i rappresentanti politici.

In particolare la Hong Kong Federation of Students è l’anima più conciliante del movimento, mentre i giovanissimi di Scholarism e i global di Occupy Central sono per una linea più conflittuale.

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@Calvin YC

Il tira e molla prosegue fino all’8 ottobre, quando i manifestanti accettano di incontrare i rappresentanti del governo locale di Hong Kong. Agli incontri parteciperanno solo i rappresentanti di Hong Kong Federation of Students, ma anche le altre due sigle ne condividono gli obiettivi.

Il 10 ottobre è il giorno fissato per l’avvio dei colloqui, che vengono però annullati dal governo di Hong Kong. La decisione scatena ulteriori proteste, di intensità però decisamente minore rispetto alle precedenti. Il movimento si va sfaldando, e viene meno soprattutto l’appoggio dei residenti, provati da settimane di blocchi stradali e disagi in città.

La tensione tuttavia non diminuisce e polizia e manifestanti tornano a scontrarsi molto violentemente nei giorni scorsi, fino all’epilogo del 18 ottobre, in cui circa 9 mila persone rioccupano le vie di Mong Kok che erano state sgomberate, così come tutte le altre aree di città ancora occupate, nei giorni precedenti.

Proprio il giorno prima era stata annunciata una riapertura dei colloqui da parte del Governo, a questo punto ancora rimandata.

Cosa succede a Hong Kong: motivazioni

Le motivazioni più immediate che spiegano cosa succede a Hong Kong sono quelle che abbiamo visto sopra, strettamente legate alle procedure per l’elezione del nuovo Governatore del 2017. Ma in gioco, si intuisce, c’è molto di più. Intanto una generica richiesta di “più democrazia”, che accomuna molti movimenti sociali contemporanei (si pensi alla primavera araba), a metà strada tra autentica volontà di partecipazione e adesione ad un modello di libertà di consumo di stampo chiaramente occidentale.

I giovani sono preoccupati di vedere la propria città finire definitivamente sotto il giogo della Cina, e vedere così diminuire le proprie libertà di espressione e di consumo.

Ci sono poi, inevitabilmente, importanti ragioni socio-economiche. Da tempo l’economia di Hong Kong ha rallentato la propria crescita e, pur rimanendo in una posizione unica in quanto a capacità di attirare capitali esteri, lo sviluppo economico della Cina ne ha un po’ offuscato la stella.

Il risultato è che le élite riescono comunque ad arricchirsi ma la ricchezza generata non passa più alla classe media. Così il divario tra ricchi e poveri aumenta (Hong Kong è, tra i Paesi considerati sviluppati, tra quelli con il coefficiente di Gini più alto) ed è evidente soprattutto nell’incontrollabile evoluzione del mercato immobiliare.

I prezzi delle abitazioni infatti sono alle stelle, soprattutto per l’abitudine diffusa tra i ricchi cinesi di comprare appartamenti costosissimi ad Hong Kong con pagamento immediato e in contanti. Questa pratica, che per l’élite cinese rappresenta lo sfoggio di uno status, ha fatto raddoppiare il prezzo degli immobili nel periodo 2009-2014.

Di conseguenza molti appartenenti alla classe media non possono più permettersi di vivere in città, ed è (anche) per questa ragione che si sono uniti volentieri alla protesta lanciata dagli studenti.

Cosa succede a Hong Kong e perché ci interessa

La protesta di Hong Kong mette bene in evidenza le contraddizioni del rapporto tra democrazia e capitalismo. Una parte della popolazione vede le proprie libertà democratiche minacciate proprio in nome del capitalismo da una élite locale e cinese interessata solo ai propri interessi finanziari.

Al tempo stesso, dietro le rivendicazioni politiche di molti dei manifestanti sta anche la richiesta di un diritto al consumo indotto dai meccanismi del capitalismo. In sintesi, la democrazia mi serve (anche) per accedere ai benefici di quel capitalismo che sta mettendo a rischio la democrazia stessa.

Come uscirne? Strade tracciate ancora non ce ne sono ma, nell’incertezza, sempre meglio difendere il diritto di chi protesta ad immaginare un mondo migliore.

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Sociologo, lavora come progettista e project manager per Sineglossa. Per Le Nius è responsabile editoriale, autore e formatore. Crede nell'amore e ha una vera passione per i treni. fabio@lenius.it
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