Migrazioni: l’importanza delle rimesse7 min read

8 Novembre 2023 Dati migrazioni Migrazioni -

Migrazioni: l’importanza delle rimesse7 min read

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Condizioni economiche sfavorevoli o in declino rappresentano uno dei fattori che spingono le persone a lasciare il proprio paese. Chi emigra in cerca di occupazione e salario migliore non dimentica i bisogni di coloro che rimangono in patria e prova a fronteggiarli inviando parte dei propri risparmi. Questi trasferimenti unilaterali di denaro prendono il nome di rimesse e sono principalmente costituite dalla quota di reddito che il migrante percepisce lavorando e che decide di destinare ai propri famigliari o conoscenti.

Dal punto di vista del paese ospitante si fa riferimento alle rimesse in uscita. Per l’Italia – che oggi conta circa 2,4 milioni di stranieri occupati (fonte Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) – queste ammontano a 8,2 miliardi di euro, valore cresciuto del 44,9% rispetto al 2017. Vi sono poi le rimesse in entrata, che corrispondono alla somma di denaro che gli individui spediscono dall’estero.

Sempre per quanto riguarda l’Italia, il saldo delle rimesse in entrata è negativo per diverse ragioni. Senz’altro una di queste è la maggiore capacità economica delle famiglie italiane rispetto alle famiglie da cui provengono gli immigrati. Ciò rende i nuclei italiani meno bisognosi di un reddito proveniente dalle rimesse.

A quanto ammontano le rimesse nel mondo?

A livello globale, la Banca Mondiale stima che nel 2022 i flussi di rimesse verso i paesi a basso e medio reddito hanno raggiunto i 647 miliardi di dollari. Questo dato è il risultato delle transazioni eseguite mediante i canali formali, ovvero per mezzo degli operatori riconosciuti dalle diverse normative fiscali. Spesso però le rimesse viaggiano mediante i canali informali, quasi impossibili da tracciare. Tra questi la consegna a mano o i metodi di trasferimento “tradizionali”, come l’hawala, l’hundi, il black-market peso exchange e il flying money, diffusi rispettivamente in Africa, India, Sudamerica e Asia. La scelta del tipo di canale utilizzato si basa sulle esigenze dei migranti, nonché varia in relazione al contesto istituzionale e finanziario dei paesi coinvolti. Sicuramente questi canali consentono anche ai lavoratori irregolari di inviare denaro in patria. Per avere un’idea, uno studio realizzato dalla Banca d’Italia (2016) stima che tra il 10% e il 30% delle rimesse transitino proprio sui canali informali. In ogni caso, il valore delle rimesse, se messo in relazione ai flussi provenienti dai canali pubblici e dagli investimenti esteri privati, appare significativo.

Fonte: Migration and Development Brief 38 (World Bank) – il grafico esclude la Cina dai Foreign Direct Investment

Infatti, il grafico estrapolato dal Migration and Development Brief 2023, mostra che le rimesse superano gli investimenti esteri privati (FDI: foreign direct investment) – finalizzati alla creazione di interessi stabili e duraturi in un altro paese – e che superano di gran lunga anche l’importo degli aiuti pubblici allo sviluppo (ODA: Official development assistance), vale a dire la somma destinata dai governi alla promozione dello sviluppo economico dei paesi più poveri. Da notare, inoltre, che le flessioni più significative si sono viste con la crisi economica del 2008 e, successivamente, con la pandemia da covid-19. Segno questo della vulnerabilità maggiore dei migranti rispetto alla disoccupazione.

Interessante è esaminare le rimesse in relazione al prodotto interno lordo dei paesi. Come mette in luce la Banca Mondiale, la metà del PIL del Tagikistan (51%) è costituito proprio dai flussi provenienti dall’estero.

Fonte: Migration and Development Brief 38 (World Bank)

Emblematico è il caso del Libano, il terzo maggior destinatario di rimesse nell’area MENA (Medio Oriente Nord Africa), ormai da tempo in piena crisi economica, è riuscito, almeno fino ad oggi, ad evitare il collasso totale grazie ai circa 6 miliardi di dollari inviati ogni anno dai lavoratori libanesi residenti oltreconfine. Ciò è confermato anche da un recente rapporto delle Nazioni Unite, nel quale si sottolinea come l’emigrazione dal Libano rappresenti per alcune famiglie una concreta possibilità di procurarsi risorse che altrimenti non sarebbero ottenibili. Sostenendo l’accesso delle persone ai beni e servizi essenziali (istruzione, alimentazione, abitazione), le rimesse sono diventate una rete di sicurezza sociale cruciale, ciò malgrado il costo medio dell’invio in Libano sia uno dei più alti al mondo.

Rimesse delle persone migranti e sviluppo

Nonostante alcune criticità messe in luce dalla letteratura economica – in merito alle possibili distorsioni delle economie locali, dovute ad esempio al mancato investimento in attività produttive che creano valore, il rischio che si crei una dipendenza dalle rimesse o l’aumento dell’inflazione – e le difficoltà nel valutarne gli effetti, quasi tutti concordano sulle possibilità di sviluppo socioeconomico offerte dalle rimesse, se accompagnate però da politiche adeguate.

Prima di tutto, l’abbattimento del costo dei trasferimenti, cioè la differenza fra la somma di denaro versata e quanto il beneficiario riceve. Il costo varia in relazione a più elementi, come il tasso di cambio applicato e le commissioni pagate al momento dell’invio o al ricevimento. Ad oggi la media globale, sebbene sia diminuita nel corso degli anni, è del 6,5%, poco più del doppio rispetto all’obiettivo del 3% fissato dall’agenda ONU 2030.

Un altro passo importante è ampliare la disponibilità dei dati economici sull’ammontare reale e sulla frequenza dei flussi. Per farlo sicuramente occorre incoraggiare il passaggio dai canali informali a quelli formali. Aumentare il volume di questi ultimi, rendendo il sistema sempre più trasparente e sicuro, contribuirebbe alla riduzione dei costi di transazione e favorirebbe l’ingresso delle persone nel sistema economico formale, riducendo anche il rischio di riciclaggio dei capitali illeciti. Un grande aiuto in questo senso potrebbe derivare dall’implementazione dei servizi finanziari digitali, associati ad attività di alfabetizzazione finanziaria.

La promozione dello sviluppo molto dipende da come le rimesse vengono impiegate. La maggior parte sono destinate a famiglie con reddito medio basso; pertanto, quasi la totalità della somma viene spesa per fronteggiare i bisogni primari, impattando direttamente sulla riduzione della povertà del nucleo famigliare. Tuttavia, per contribuire alla crescita sul lungo termine, risulterebbe vantaggioso accompagnare maggiormente le famiglie nell’investire parte del denaro risparmiato nei settori produttivi del paese, o comunque in attività che generano reddito e posti di lavoro, nonché nella promozione di progetti a carattere sociale. Lavorare su questo non è affatto semplice, poiché si rende necessario coadiuvare gli interessi di tutti i soggetti coinvolti, quindi la persona migrante, i riceventi, gli intermediari finanziari e le autorità locali. Non è detto nemmeno che nel paese d’origine vi siano reali possibilità di realizzare investimenti di questo tipo, che siano anche durevoli nel tempo. Pertanto, poiché è impossibile prescindere da istituzioni “adeguate”, la cooperazione finanziata dai fondi pubblici dovrebbe attivarsi maggiormente sul miglioramento generale del contesto, così da creare un ambiente di partenza favorevole all’impiego delle rimesse.

Perché non fare tutto questo coinvolgendo la persona migrante? Ci ha pensato il concetto di co-sviluppo. Una strategia che prevede un maggior riconoscimento del ruolo dei cittadini migranti e delle loro comunità d’origine nel rafforzamento economico e sociale del loro paese. Ciò inevitabilmente crea una maggiore interdipendenza tra le persone, gli enti finanziari e i paesi coinvolti, che si rivela positiva nel migliorare le azioni da mettere in campo per avviare i processi di cambiamento.

📸 Alistair MacRobert

Non solo rimesse monetarie

Le rimesse possono essere viste anche in modo più ampio rispetto a quello monetario. Nei periodi in cui i migranti tornano in patria e negli scambi relazionali a distanza, gli emigrati riescono a trasmettere valori, idee, pratiche, abitudini, differenti visioni del mondo e competenze. Tutto questo è acquisito inevitabilmente da chi vive in contesti altri, lontani da casa, e diventa un patrimonio non quantificabile riassunto nell’espressione “rimesse sociali”. D’altro canto, per chi è lontano, ricevere doni ed oggetti simbolici rappresenta una prova della conservazione di relazioni affettive che non si lasciano deteriorare né dal tempo né dalla separazione.

Necessariamente tutto ciò partecipa, positivamente o negativamente, alle trasformazioni sociali nelle società di provenienza e non solo. Favorendo scambi da un contesto all’altro è possibile, per esempio, riformulare concetti e norme globali, come la nozione di “diritti umani”, o modificare stili educativi.

Ecco quindi che, in ottica di sviluppo, non ci si può soffermare immediatamente ed esclusivamente sull’impiego produttivo delle rimesse, ponendo in secondo piano il ruolo delle famiglie e dei loro bisogni. Sono le comunità locali a definire quali sono per loro le priorità, che magari non hanno ritorni economici immediati, o per noi propriamente produttivi, ma che comunque a lungo termine possono favorire processi di cambiamento. Questo anche in virtù del fatto che l’invio di beni e denaro rimane inevitabilmente intriso di significati emotivi e relazioni, entro i quali non possiamo entrare. Ecco, quindi, che riflettere sulle rimesse, e le loro molteplici sfaccettature e implicazioni, può arricchire notevolmente il dibattito sulle migrazioni.

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Laureata in filosofia all'Università di Verona, inizia a lavorare come operatrice nel Sistema di Accoglienza e Integrazione. Frequenta il master migrazione e sviluppo presso l'Università Sapienza di Roma e nel tempo libero studia la criminalità organizzata e scrive articoli di approfondimento sulle migrazioni e sulla criminalità.
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