Migranti climatici | Cause, definizioni e numeri di un fenomeno in crescita9 min read

13 Novembre 2020 Ambiente Migrazioni -

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Esperta di cambiamenti climatici

Migranti climatici | Cause, definizioni e numeri di un fenomeno in crescita9 min read

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Oggi l’1% del pianeta Terra è una zona calda appena vivibile e miliardi di persone chiamano questa terra “casa”. Entro il 2070, a causa del riscaldamento globale, questa percentuale potrebbe arrivare al 19%, forzando così la popolazione di queste aree a spostarsi in altri luoghi, e dando ulteriore impulso al fenomeno dei migranti climatici.

Il riscaldamento globale e le altre conseguenze del cambiamento climatico non hanno infatti ripercussioni solo sull’ambiente, ma innescano cambiamenti geografici, politici e demografici strutturali che condizionano il presente e i prossimi decenni della vita sulla Terra.

D’altra parte, l’idea che i modelli di insediamento umano siano strettamente collegati al clima è nota dall’antichità e supportata da diverse fonti internazionali. Halvard Buhaug e Paola Vesco scrivono ad esempio nel Routledge Handbook of Peace, Security and Development:

Non è infatti una coincidenza che gli studiosi abbiano collegato il crollo della maggior parte delle antiche civiltà umane a condizioni climatiche avverse, tra cui i Maya (area meridionale del Messico), la dinastia Tang (Cina) e l’impero romano (Mediterraneo).

Il legame tra condizioni climatiche, insediamenti umani e modelli migratori è dunque ben radicato. E oggi? Quali conseguenze deriveranno dai cambiamenti climatici in corso? Come verranno trattati e considerati i migranti climatici costretti a muoversi per trovare condizioni di vita più sostenibili?

migranti clima
Siccità e desertificazione sono tra le cause delle migrazioni climatiche. Foto in Etiopia: climatevisuals.org

Quali sono le cause delle migrazioni climatiche?

Gli stress ecologici tipici del nostro tempo, causati da aumenti di temperatura, intense precipitazioni, inquinamento e aumento del livello del mare stanno fortemente minacciando la disponibilità dei mezzi di sussistenza e di bestiame in molte aree del mondo.

La diminuzione dei mezzi di sussistenza pesa sull’insicurezza alimentare già presente, mentre l’incremento degli eventi meteorologici estremi è destinato a diventare sempre più frequente, comportando così forti squilibri nelle diverse aree del mondo.

Questi presupposti hanno un profondo impatto sull’attività umana e sul benessere della popolazione, e comportano delle conseguenze devastanti per molte delle società già ad oggi vulnerabili.

Il riscaldamento globale, ad esempio, influisce sul benessere di un numero di persone sempre maggiore, e l’estensione delle regioni ecologicamente già instabili cresce anno dopo anno. Dall’inizio degli anni novanta, il livello del mare è aumentato di circa 3 centimetri ogni 10 anni e le ricerche ad oggi condotte hanno previsto un aumento di 1 metro entro il 2100.

Queste stime, unite alla consapevolezza che ad oggi circa due terzi di tutte le persone attualmente presenti sul nostro pianeta vivono nel raggio di 100 chilometri dall’oceano, sono alquanto preoccupanti. Basti pensare che delle 50 città più grandi del mondo, ben 30 si trovano sull’oceano.

Non meno rilevante è la perdita di terreno agricolo, che a sua volta può avere effetti devastanti sulla sicurezza alimentare. Molte delle regioni costiere dell’Asia sono granai del mondo in quanto vi si concentra gran parte della produzione mondiale di riso, da cui dipendono milioni e milioni di persone.

L’aumento del livello del mare è solo una delle conseguenze derivanti dalle incessanti emissioni di anidride carbonica emesse all’interno della nostra atmosfera. Studi condotti dall’Università delle Nazioni Unite (UNU) su alcuni stati africani (pdf), fra cui Egitto, Marocco, Mali, Burkina Faso e Niger, indicano che il degrado del territorio e la desertificazione contribuiscono e contribuiranno ancor più in futuro in modo incisivo sulla mobilità umana, peggiorando sia le condizioni di vita per coloro che se ne vanno sia per coloro che decidono di rimanere.

Oggi, quasi 2 miliardi di persone nel mondo dipendono dai fragili ecosistemi delle zone aride e semiaride, e il 90% di esse vive nei paesi in via di sviluppo. In risposta a queste condizioni sempre più estreme, aumentano i migranti climatici.

mappa emergenza climatica
Fonte: swissinfo.ch

Ma come si definisce un migrante climatico?

Ci sono diversi punti di vista sul termine da usare in riferimento alle popolazioni che migrano a causa delle condizioni ambientali avverse. Alcuni studiosi parlano di profughi ambientali o climatici, altri di rifugiati ambientali, altri ancora adottano il termine di migranti climatici o ambientali. Le organizzazioni delle Nazioni Unite tuttavia hanno espresso il loro dissenso in merito all’utilizzo del termine rifugiato climatico, in quanto “rifugiato” fa riferimento a una precisa categoria giuridica individuata dall’art. 1 della Convenzione di Ginevra del 1951 e indica coloro che sono costretti a lasciare il proprio paese a causa di persecuzioni per motivi di “razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche”.

Insomma, le motivazioni ambientali non sono (ancora?) presenti tra quelle che definiscono un rifugiato. Per mancanza di una definizione adeguata ai sensi del diritto internazionale, è quindi ancora oggi difficile definire con esattezza il termine da utilizzare. Come dovremmo quindi classificare queste persone? Cosa distingue i migranti climatici dagli altri migranti? Per rispondere a queste domande, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) ha proposto la seguente definizione:

I migranti climatici sono persone o gruppi di persone che, per motivi impellenti di cambiamenti improvvisi o progressivi dell’ambiente che influiscono negativamente sulla loro vita o sulle loro condizioni di vita, sono costretti a lasciare le loro case abituali, o scelgono di farlo, temporaneamente o permanentemente, e si spostano all’interno del loro paese o all’estero.

I migranti climatici possono avere diversi gradi di controllo sulla decisione di migrare, ma questo varia a seconda del tipo di disturbo ambientale. L’origine, l’intenzione e la durata delle perturbazioni ambientali sembrano infatti determinare la tipologia di migrante.

Spesso, le crisi ambientali peggiorano strutture economiche già precarie. Infatti, il rapporto di causalità tra sistemi socio-ecologici e mobilità umana è estremamente complesso e ha alimentato nel corso degli ultimi anni il dibattito sulla “migrazione indotta dall’ambiente”.

L’influenza delle crisi ambientali può sfociare in shock culturali – intesi come disorientamento e confusione a causa di un improvviso cambiamento dello stile di vita in un contesto sociale e culturale – che spesso vengono sfruttate politicamente e portano a conflitti politici interni, che a loro volta causano migrazioni.

Nelle aree in cui vige scarsa stabilità politica e alta instabilità socio-economica le conseguenze di una crisi ambientale non fanno altro che aumentare la vulnerabilità della regione, aggravando così una situazione preesistente già complessa da gestire.

Migranti climatici: numeri e previsioni

La quantificazione della migrazione ambientale è un aspetto piuttosto complesso, date le molteplici variabili alla base di questo fenomeno, fra cui le sfide metodologiche connesse e la mancanza di standard nella raccolta di dati. Per questo motivo, è ad oggi ancora molto difficile riuscire a definire con esattezza il numero di migranti climatici e l’evoluzione storica di questo fenomeno.

Nel 2019, quasi duemila catastrofi, esacerbate dagli impatti del cambiamento climatico, hanno provocato 24,9 milioni di nuovi sfollati interni in 140 Paesi diversi; si tratta di una cifra tre volte più alta rispetto al numero degli sfollati attribuibili a conflitti e violenze. I paesi maggiormente colpiti sono stati Afghanistan (1,2 milioni), India (590 mila), Etiopia (390 mila), Filippine (364 mila) e Sudan (272 mila).

mappa migranti e disastri ambientali
Migrazioni causate da conflitti e disastri ambientali | Fonte: IDMC | Clicca qui per ingrandire la mappa

L’Internal Displacement Monitoring Centre (IDMC) ha anche evidenziato come, già nella prima metà del 2020, i disastri riconducibili al cambiamento climatico hanno provocato 9,8 milioni di sfollati e sono stati, anche in questo caso, il principale fattore di nuovi spostamenti interni a livello mondiale. Gli eventi estremi che più generano nuovi migranti climatici sono: cicloni tropicali, piogge torrenziali e inondazioni, siccità e desertificazione, aumento del livello del mare.

Questi numeri sono destinati ad aumentare, secondo gran parte degli analisti e ricercatori. Ad oggi, la previsione più diffusa e ripetuta considera un flusso di migranti climatici futuro pari a 200 milioni entro il 2050. Anche se si tratta di una stima che ha le sue criticità, serve a dare un’idea della dimensione del fenomeno.

Secondo la Banca Mondiale, questo incremento nel numero atteso di migranti climatici deriverà dalle variazioni delle condizioni ambientali all’interno di tre regioni specifiche: America Latina, Africa sub-sahariana e Sud-est asiatico.

Migranti climatici: conoscere la questione per affrontarla

Guardare alle migrazioni ambientali solleva anche la questione delle potenziali destinazioni migratorie e con esse anche delle aree che potrebbero trarre profitto dal cambiamento climatico.

Secondo le stime del comitato consultivo scientifico del governo tedesco, il ricco nord, in quanto principale contributore del cambiamento climatico, sarà probabilmente poco o per niente influenzato dalla migrazione nel sud globale a causa dei cambiamenti ambientali, perché la maggior parte di questi movimenti rimarrà su piccola scala o si verificherà come migrazione sud-sud.

Detto questo, nonostante la realtà del problema, le nostre conoscenze sono ancora relativamente limitate per quanto riguarda il significato che i determinanti ambientali hanno sui movimenti migratori e, viceversa, il ruolo dei flussi migratori nei cambiamenti ambientali globali.

Anche per questo motivo, l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) considera il cambiamento climatico, e di conseguenza il fenomeno dei migranti climatici, una delle principali sfide del XXI secolo.

migranti climatici
Rifugiati Rohingya trasportano legna nel campo di Kutupalong, Bangladesh. A causa della desertificazione dell’area, il loro tragitto per trovare legna si fa sempre più lungo. Fonte: climatevisuals.org

Una ricerca condotta da Giovanni Bettini, ora docente presso l’Università di Lancaster, ha dimostrato come la migrazione climatica, anche attraverso diversi approcci, è inquadrata come un evento apocalittico. Ciò è dovuto al fatto che la migrazione a causa di condizioni climatiche contribuisce ad aumentare una posizione anti-migrazione già esistente, in cui molte delle persone che si spostano sono spesso viste come un problema da affrontare.

D’altra parte, però, lo stesso studio ha rilevato che questi eventi rischiano di far sembrare inevitabile il crollo climatico e i movimenti ad esso annessi. Questo porta la gente a sostenere che l’unico modo di rispondere è rafforzando le frontiere o costruendo dei muri divisori (come fra il Messico e gli Stati Uniti).

A tal proposito, Asad Rehman, direttore dell’associazione benefica War on Want, suggerisce di rimettere in discussione il modo in cui viene inteso ad oggi il problema intrinseco del movimento migratorio.

Più si parla di ‘migrazione di massa’ rafforzando quindi i timori già esistenti, più si permette alla persone già impaurite ed intimorite da tali fenomeni di creare questa idea che abbiamo bisogno di essere protetti dalle persone che si spostano, anche se non ci siamo mai assunti alcuna responsabilità per il motivo per cui potrebbero spostarsi.

Migranti climatici: Film consigliato

Climate Refugees (2010)

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Ricercatrice in Scienza e Gestione dei Cambiamenti Climatici presso l’Università di Venezia, collabora con il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) dal 2017. Per Le Nius si occupa di divulgare le sue conoscenze sul cambiamento climatico e sugli impatti che può avere a livello sociale, economico e ambientale.
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