Site icon Le Nius

Giovani NEET: chi e quanti sono in Italia e in Europa?

giovani neet
Reading Time: 21 minutes

Not in Education, Employment or Training. L’acronimo NEET è un mantra che si abbatte sui giovani del terzo millennio e in un ipotetico premio per il neologismo più rappresentativo dei nostri tempi sarebbe lì, tra i primi.

È il classico caso di una parola che nello stesso momento in cui descrive un fenomeno contribuisce ad alimentarlo. Da quando è diventata anche una chiave per accedere a fondi pubblici o privati il gioco a chi scova più giovani NEET si è fatto anche piuttosto stucchevole. Tuttavia il fenomeno esiste, ed è anche misurabile in modo abbastanza soddisfacente: 2.000.000 sono i giovani NEET in Italia secondo Istat. Ma cosa significa essere NEET?

Chi sono i giovani NEET?

I NEET sono giovani che non studiano, non hanno un lavoro e non sono impegnati in percorsi formativi. Il famigerato acronimo compare per la prima volta in uno studio della Social Exclusion Unit, un dipartimento del governo del Regno Unito preoccupato che questi e queste giovani “Not in Education, Employment or Training” fossero in una condizione di esclusione tale da favorire l’avvio di carriere criminali.

Era il 1999, e prima di allora milioni di giovani vivevano spensierati la loro transizione all’età adulta senza sapere che quelle quattro lettere li avrebbero presto marchiati come problema sociale.

Transizione all’età adulta? Già, quella di NEET è una condizione strettamente associata a questa fase della vita, in cui si passa da giovane ad adulto. Quei barbosi dei sociologi ci spiegano che la transizione nel modello di società occidentale è segnata da cinque tappe: l’uscita dalla casa dei genitori, il completamento del percorso educativo, l’ingresso nel mercato del lavoro, la formazione di una famiglia, l’assunzione di responsabilità verso i figli.

Se è questo che vi state chiedendo sì, si diventa adulti anche non completando tutte le tappe, qui stiamo parlando dal punto di vista della società e non della persona. Quello che ci interessa è che a partire dagli anni settanta/ottanta questa fase ha cominciato a diventare sempre più lunga. Se prima il modello era “scuola-lavoro-famiglia” più o meno alla stessa età per tutti, oggi il percorso è molto più accidentato, personalizzato e imprevedibile.

Se una ragione indubbia di questa evoluzione è l’estrema difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, è vero anche che rispetto a prima si studia di più, si viaggia di più, ci si diverte di più. Insomma, si diventa grandi più tardi per necessità ma anche per piacere.

I e le giovani NEET sono figlie di questi mutamenti sociali, economici e culturali, e le loro situazioni sono molto diverse tra loro. L’influente rapporto dedicato ai NEET da Eurofound, un’agenzia di ricerca dell’Unione Europea, individua cinque sottogruppi all’interno del mondo NEET:

  • disoccupati;
  • indisponibili, che non hanno possibilità di svolgere attività lavorative o formative per ragioni di salute o per responsabilità familiari;
  • disimpegnati, che per scelta passiva non cercano lavoro né occasioni formative;
  • cercatori di opportunità, che sono alla ricerca attiva dell’opportunità lavorativa o formativa che reputano più adeguata per loro;
  • volontari, che sono NEET per scelta attiva, perché si sono presi uno stacco per fare un viaggio o un’esperienza di volontariato o di piacere.

Insomma, una categoria eterogenea, dove c’è l’hikikomori che non esce mai di casa ma anche il/la neolaureato/a che si prende un anno per girare il mondo.

Come si diventa NEET?

Beh, la strada più semplice è smettere di studiare e non cominciare a lavorare. La più affascinante è mollare tutto e partire per il Laos. Ma al di là dei percorsi individuali, ci sono dei fattori socio-economici che possono favorire l’ingresso e la permanenza nella condizione di NEET. Quali sono questi fattori? Il già citato rapporto di Eurofound li riassume così:

  • Educazione: un basso livello di istruzione aumenta di 3 volte il rischio di diventare NEET.
  • Genere: le donne hanno il 60% di probabilità in più di diventare NEET.
  • Migrazione: avere un background migratorio aumenta del 70% il rischio di diventare NEET.
  • Disabilità: avere una disabilità aumenta il rischio del 40%.
  • Famiglia: avere genitori divorziati comporta un rischio maggiore del 30%; avere genitori disoccupati aumenta il rischio del 17%; avere genitori con un basso livello di istruzione raddoppia la probabilità di diventare NEET.
  • Residenza: vivere in aree remote aumenta di 1,5 volte la probabilità di diventare NEET.

Un mix di fattori che ha un’evidente connessione con la strutturazione delle disuguaglianze socio–economiche anche in molti altri aspetti della società.

Quanti sono i giovani NEET in Italia ed Europa?

Ma quanti sono i e le giovani NEET? Addentriamoci nelle informazioni che abbiamo sul fenomeno con due operazioni che a noi di Le Nius piace fare: confrontarci con il resto d’Europa e vedere come è cambiata la situazione nel tempo.

Intanto, una precisazione. Cosa intendiamo per giovani? Eurostat, la nostra principale fonti di dati, ci consente di scegliere tra diverse fasce di età. Scegliamo quella dai 15 ai 29 anni. Ci sembra la più adeguata per leggere il fenomeno, comprendendo sia i giovani in fascia scolare che quelli potenzialmente già in fascia lavorativa. Come siamo messi quindi rispetto al resto d’Europa?

Già, siamo il paese europeo con la più alta percentuale di giovani NEET. Quasi un italiano/a su quattro tra i 15 e i 29 anni non lavora, né studia, né si sta formando. Questo potrebbe in linea di massima anche significare che un sacco di giovani italiani sono in giro per il mondo a godersi la vita. Oppure che sono depressi e chiusi in casa senza neanche più la spinta a studiare o cercare lavoro. O ancora che stanno lottando per trovare una via d’uscita dall’universo NEET senza trovarla. È il limite dei numeri, quello di non raccontarci le storie.

Nel resto d’Europa il fenomeno è molto più contenuto. Anche nei paesi mediterranei, che di solito se la giocano con l’Italia, i giovani NEET sono molto meno che nel nostro paese: il 17,2% in Grecia, il 14,1% in Spagna, il 9,5% in Portogallo.

Gli altri paesi con percentuali più alte sono i paesi dell’est (Romania, Bulgaria, Croazia, Slovacchia). I paesi del centro-nord hanno invece tutti percentuali inferiori al 10%, con le eccezioni della Francia e dei paesi baltici.

Come è evoluto invece il fenomeno nel tempo? Rispetto al 2020, i dati sono in calo praticamente ovunque, ritornando simili a quelli pre-pandemia del 2019.

Se prendiamo gli ultimi 10 anni (2012-2021) il trend è più variegato. Molti paesi hanno visto drasticamente diminuire la loro percentuale di giovani NEET, come Irlanda (11,8 punti in meno), Grecia (-9,6), Spagna (-8,1), Bulgaria (-7,1) e Ungheria (-7 punti). La maggior parte dei paesi ha avuto cali contenuti, mentre sono solo due i paesi che negli ultimi 10 anni hanno visto salite la quota di giovani NEET: Austria (+1,2 punti) e Romania (+1 punto).

L’Italia ha perso 0,7 punti, quindi più o meno il dato sui NEET è simile a quello di dieci anni fa. Addirittura è in aumento rispetto a 20 anni fa: sì, in Italia la percentuale di NEET è più alta nel 2021 che nel 2002, mentre in tutti gli altri paesi europei – con la sola esclusione di Cipro, Austria e Danimarca – questo dato è in calo.

Giovani NEET in Italia: numeri e caratteristiche

In termini assoluti, come anticipato, i giovani NEET in Italia sono circa 2.000.000. Vi è una leggera prevalenza femminile (52,6%), ma guardando il trend notiamo che rispetto a 10 anni fa il numero di giovani NEET femmine è in netto calo (-200.000 unità), mentre i maschi in condizione di NEET sono calati solo di 40.000 unità. È in corso quindi un deciso riequilibrio di genere.

Quanto alla distribuzione territoriale dei giovani NEET in Italia, i dati fanno riferimento al 2020. Sono le regioni del sud a presentare i dati più alti. Sicilia, Calabria e Campania superano abbondantemente la quota del 30% di NEET, seguite da Puglia, Molise, Basilicata, Sardegna, Lazio e Abruzzo con una quota tra il 20 e il 30%.

Le regioni con le percentuali più basse sono quelle del nord est, che hanno dati in linea o solo leggermente superiori alla media europea, seguite dalle altre regioni del centro-nord con percentuali tra il 15 e il 20%.

Mentre prima della pandemia i dati erano in calo ovunque, nel 2020 la quota di giovani NEET è in aumento in molte regioni, ad eccezione dell’Abruzzo, che ha fatto segnare un calo di 2 punti, e di regioni dove è rimasto stabile come Friuli Venezia Giulia, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.L’impatto della pandemia sulla quota di giovani NEET si è fatto sentire soprattutto nelle regioni del nord e del centro, dove le percentuali sono aumentate di 3 punti.

Perché è un problema essere NEET?

Se sei in viaggio da una vita forse non è un problema, se invece sei in una situazione vissuta più passivamente la permanenza nella condizione di NEET ha delle conseguenze individuali, sociali, economiche.

A livello individuale, più tempo si passa in questa condizione più aumenta il rischio di accumulare svantaggi nell’accesso al mondo del lavoro e ad un reddito adeguato, di sviluppare comportamenti devianti e problemi di salute fisica e mentale, di impoverire le proprie relazioni sociali.

Questa configurazione di svantaggio non può che avere anche un impatto sociale più ampio: i e le giovani NEET sono meno propensi dei loro coetanei a partecipare attivamente alla vita sociale, culturale e politica.

Foto | onay davus

Tutto questo ha anche un costo economico. Calcolarlo è molto complicato, e forse per questo è stato fatto una volta sola in maniera comparativa, nel famoso rapporto di Eurofound, e purtroppo i dati, riferiti al 2011, iniziano a essere un po’ vecchiotti.

Ad ogni modo, secondo questi calcoli, si è stimata per il 2011 una perdita economica correlata al fenomeno dei giovani NEET in Europa pari a 153 miliardi di euro, l’1,2% del PIL europeo. A livello di singoli stati, l’Italia guida la classifica dei costi economici del fenomeno NEET, con una spesa di 32 miliardi di euro, seguita da Francia (22 miliardi), Regno Unito (18), Spagna (16) e Germania (15).

L’importo è stato calcolato considerando i costi diretti (pagamento di sussidi di disoccupazione e altri sussidi di welfare) e i costi indiretti (mancanza di reddito generato e tasse pagate e monetarizzazione dei costi sociali).

Come intervenire sul fenomeno dei giovani NEET?

Cosa si può fare per arginare e prevenire il fenomeno? Qualcosa si può fare, se è vero che ci sono contesti in cui la sua diffusione è molto minore che in altri.

Sono tre le istituzioni cruciali quando parliamo di giovani NEET: il sistema educativo, il sistema di welfare e il mercato del lavoro. Le politiche che vogliono intervenire sul fenomeno devono quindi intervenire sul funzionamento di queste tre istituzioni.

Per prevenire l’ingresso nella condizione di NEET il sistema educativo gioca un ruolo determinante: occorre prevenire e contrastare l’abbandono scolastico e supportare la transizione scuola-lavoro, misure che hanno una lunga e radicata storia nei paesi del centro-nord Europa e che sono invece molto recenti e ancora insufficienti nel sud ed est Europa.

Ci riferiamo ad esempio all’introduzione e potenziamento delle azioni di alternanza scuola-lavoro, che consentono – o dovrebbero consentire – agli studenti di fare esperienze diretta del mondo del lavoro e, più in generale, ad interventi di innovazione della didattica che rendano l’esperienza scolastica più avvincente e adeguata al mondo contemporaneo.

Ancora, occorre implementare programmi di prevenzione dell’abbandono scolastico rivolti a gruppi socialmente svantaggiati, coloro che con più probabilità finiscono poi per affollare le fila della popolazione dei giovani NEET. Programmi che sperimentino metodologie didattiche innovative per promuovere un approccio orizzontale e ludico all’apprendimento, diminuendo lo stress da performance e il senso di immobilità spesso percepito a scuola da questi alunni.

Sul fronte del lavoro sono decisive le politiche attive del lavoro, che promuovano la formazione e orientamento al lavoro e la realizzazione di tirocini e apprendistato come effettive esperienze di lavoro. L’apprendistato risulta in particolare una misura particolarmente efficace perché in grado di includere, spesso con successo, anche i giovani con basso livello di educazione, come dimostrato ad esempio da questa ricerca.

Molto più complicato, almeno in Italia, agire sul sistema di welfare. Il welfare italiano presenta infatti tutti gli ingredienti necessari a generare e far proliferare il fenomeno NEET. Assegnando un ruolo determinante alla famiglia e limitando l’intervento dello Stato ai casi in cui essa si dimostra incapace a soddisfare i bisogni, lega l’esperienza della transizione all’età adulta e l’integrazione socio–economica dei giovani alla capacità familiare.

Chi non ha una famiglia alle spalle, o chi ha una famiglia non in grado di fornire un sostegno socio–economico sostanziale e continuativo, parte da una situazione di svantaggio che in Italia più che in altri paesi è difficile da recuperare.

Questa configurazione del welfare impatta anche sulla lunghezza della transizione all’età adulta dei giovani italiani, che escono dalla casa dei genitori in media a oltre 30 anni contro una media europea di 26 anni. Questo ha un impatto sul più ampio percorso verso l’autonomia sociale ed economica, e contribuisce a incrementare il numero dei giovani NEET.

Occorre quindi intervenire con politiche in grado di sostenere il processo di emancipazione dei giovani dalle famiglie, con supporti pubblici che consentano loro di vivere da soli, studiare, formarsi senza dover dipendere dalle risorse familiari. Un intervento questo che pare tuttavia difficile da immaginare nel breve periodo.

In conclusione i e le giovani NEET sono un segmento di popolazione che nel nostro paese assume proporzioni molto rilevanti. Quando i numeri sono così grandi significa che le cause sono strutturali. Risiedono cioè nel modo in cui sono organizzate la società e l’economia.

Oltre a pensare a politiche e interventi rivolti a giovani NEET sarebbe quindi il caso di agire sulle cause strutturali, creando un contesto dove i giovani abbiano la possibilità e il desiderio di studiare, lavorare e vivere appieno come cittadini.

A che età ci si sposa in Italia e in Europa?

A che età si fa il primo figlio?

La popolazione italiana sta invecchiando?

Quanti sono i giovani NEET in Italia ed Europa? Dati 2020

Già, siamo il paese europeo con la più alta percentuale di giovani NEET. Quasi un italiano/a su quattro tra i 15 e i 29 anni non lavora, né studia, né si sta formando. Questo potrebbe in linea di massima anche significare che un sacco di giovani italiani sono in giro per il mondo a godersi la vita. Oppure che sono depressi e chiusi in casa senza neanche più la spinta a studiare o cercare lavoro. O ancora che stanno lottando per trovare una via d’uscita dall’universo NEET senza trovarla. È il limite dei numeri, quello di non raccontarci le storie.

Nel resto d’Europa il fenomeno è molto più contenuto. Anche nei paesi mediterranei, che di solito se la giocano con l’Italia, i giovani NEET sono molto meno che nel nostro paese: il 18,7% in Grecia, il 17,3% in Spagna, l’11% in Portogallo.

Gli altri paesi con percentuali più alte sono i paesi dell’est (Romania, Bulgaria, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Polonia). I paesi del centro-nord hanno invece tutti percentuali inferiori al 10%, con le eccezioni di Irlanda e Francia (14%), Belgio (12%) e, a sorpresa, Finlandia e Danimarca (poco sopra il 10%).

Come è evoluto invece il fenomeno nel tempo? Beh, qui entra il gioco la pandemia. Fino al 2019, in tutti i paesi europei il trend era decrescente, nel 2020 però tutti i paesi hanno fatto segnare una crescita della percentuale di giovani NEET, con la sola eccezione della Romania (-0,2). La crescita più forte si è avuta in Irlanda (+2,8 punti in un solo anno), Spagna (+2,4) e Lituania (+2,1). In Italia la quota di giovani NEET è cresciuta di 1,1 punti.

Se prendiamo gli ultimi 10 anni (2011-2020) il trend è più variegato. Nonostante l’impatto della pandemia, molti paesi hanno comunque visto drasticamente diminuire la loro percentuale di giovani NEET, come Irlanda (8,2 punti in meno), Lettonia (-7,2 punti), Bulgaria (-6,6), Croazia (-4,5) e Grecia (-4,3). La maggior parte dei paesi ha avuto cali contenuti, mentre sono 5 i paesi che ngli ultimi 10 anni hanno visto salite la quota di giovani NEET: Danimarca (+1,8 punti), Lussemburgo (+1,1), Austria (+1), Italia (+0,8) e Cipro (+0,5).

Giovani NEET in Italia: numeri e caratteristiche

In termini assoluti, come anticipato, i giovani NEET in Italia sono 2.100.000, in aumento di 100 mila unità rispetto al 2019. Il picco è stato toccato nel 2014 (2,4 milioni di NEET), la buona notizia è quindi che nei cinque anni pre pandemia il valore assoluto era diminuito di oltre 400 mila unità.

Vi è una leggera prevalenza femminile (52,3%), ma guardando il trend notiamo che rispetto a 10 anni fa il numero di giovani NEET femmine è rimasto invariato, mentre i maschi in condizione di NEET sono aumentati del 5%. È in corso quindi un deciso riequilibrio di genere.

Vi è poi nella popolazione NEET una sovrarappresentazione dei giovani con cittadinanza non italiana: sono 318 mila i NEET stranieri, il 15,1% del totale dei NEET (dato in crescita), mentre la popolazione straniera totale rappresenta l’8,5% della popolazione.

Quanto alla distribuzione territoriale dei giovani NEET in Italia, sono le regioni del sud a presentare i dati più alti. Sicilia, Calabria e Campania superano abbondantemente la quota del 30% di NEET, seguite da Puglia, Molise, Basilicata, Sardegna, Lazio e Abruzzo con una quota tra il 20 e il 30%.

Le regioni con le percentuali più basse sono quelle del nord est, che hanno dati in linea o solo leggermente superiori alla media europea, seguite dalle altre regioni del centro-nord con percentuali tra il 15 e il 20%.

Mentre prima della pandemia i dati erano in calo ovunque, nel 2020 la quota di giovani NEET è in aumento in molte regioni, ad eccezione dell’Abruzzo, che ha fatto segnare un calo di 2 punti, e di regioni dove è rimasto stabile come Friuli Venezia Giulia, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.L’impatto della pandemia sulla quota di giovani NEET si è fatto sentire soprattutto nelle regioni del nord e del centro, dove le percentuali sono aumentate di 3 punti.

Quanti sono i giovani NEET in Italia ed Europa? Dati 2019

Già, siamo il paese europeo con la più alta percentuale di giovani NEET. Quasi un italiano/a su quattro tra i 15 e i 29 anni non lavora, né studia, né si sta formando. Questo potrebbe in linea di massima anche significare che un sacco di giovani italiani sono in giro per il mondo a godersi la vita. Oppure che sono depressi e chiusi in casa senza neanche più la spinta a studiare o cercare lavoro. O ancora che stanno lottando per trovare una via d’uscita dall’universo NEET senza trovarla. È il limite dei numeri, quello di non raccontarci le storie.

Nel resto d’Europa il fenomeno è molto più contenuto. Anche nei paesi mediterranei, che di solito se la giocano con l’Italia, i giovani NEET sono molto meno che nel nostro paese: il 17,7% in Grecia, il 14,9 in Spagna, il 9,2 in Portogallo.

Gli altri paesi con percentuali superiori al 10% sono i paesi dell’est (Romania, Bulgaria, Slovacchia, Ungheria, Polonia), oltre a Francia e Regno Unito. I paesi del centro-nord hanno invece tutti percentuali inferiori al 10%.

Come è evoluto invece il fenomeno nel tempo? Se prendiamo gli ultimi 10 anni osserviamo un trend decrescente in tutti i paesi europei eccetto Cipro e Danimarca che fanno segnare un punto percentuale in più, e l’Italia che ha la stessa percentuale del 2010.

Ci sono cali davvero consistenti, come in Irlanda e Lettonia (-10 punti), Estonia (-8) e Bulgaria (-7). Il trend è simile ovunque: una più o meno drammatica risalita negli anni della crisi, tra il 2007 e il 2012, e da lì una curva discendente.

Quando saranno disponibili i dati sul 2020, avremo modo di valutare i primi effetti della pandemia sul numero di giovani NEET, che si prevede possa risalire.

Giovani NEET in Italia: numeri e caratteristiche

In termini assoluti, come anticipato, i giovani NEET in Italia sono due milioni, in calo di oltre 100 mila unità rispetto al 2018. Il picco è stato toccato nel 2014 (2,4 milioni di NEET), la buona notizia è quindi che negli ultimi sei anni il valore assoluto è diminuito di oltre 400 mila unità.

Vi è una leggera prevalenza femminile (53%), ma guardando il trend notiamo che rispetto a 10 anni fa le giovani NEET sono diminuite del 7% mentre i maschi in condizione di NEET sono aumentati del 3%. È in corso quindi un deciso riequilibrio di genere.

Vi è poi nella popolazione NEET una sovrarappresentazione dei giovani con cittadinanza non italiana: sono 289 mila i NEET stranieri, il 14,5% del totale dei NEET, mentre la popolazione straniera totale rappresenta l’8,5% della popolazione.

Quanto alla distribuzione territoriale dei giovani NEET in Italia, sono le regioni del sud a presentare i dati più alti. Sicilia, Calabria e Campania superano abbondantemente la quota del 30% di NEET, seguite da Puglia, Sardegna, Basilicata, Molise, Abruzzo e Lazio con una quota tra il 20 e il 30%.

Le regioni con le percentuali più basse sono quelle del nord est, che hanno dati in linea o solo leggermente superiori alla media europea, seguite dalle altre regioni del centro-nord con percentuali tra il 15 e il 20%.

La nota positiva è che l’incidenza dei giovani NEET è in calo in tutte le regioni con l’unica eccezione dell’Abruzzo.

Quanti sono i giovani NEET in Italia ed Europa? Dati 2018

Intanto, una precisazione. Cosa intendiamo per giovani? Eurostat, la nostra principale fonti di dati, ci consente di scegliere tra diverse fasce di età. Scegliamo quella dai 15 ai 29 anni. Ci sembra la più adeguata per leggere il fenomeno, comprendendo sia i giovani in fascia scolare che quelli potenzialmente già in fascia lavorativa. Come siamo messi quindi rispetto al resto d’Europa?

Già, siamo il paese europeo con la più alta percentuale di giovani NEET. Quasi un italiano su quattro tra i 15 e i 29 anni non lavora, né studia, né si sta formando. Nel resto d’Europa il fenomeno è molto più contenuto. Anche nei paesi mediterranei, che di solito se la giocano con l’Italia, i giovani NEET sono molto meno che nel nostro paese: il 19,5% in Grecia, il 15,3 in Spagna, il 9,6 in Portogallo, il 7,3 a Malta.

Come è evoluto invece il fenomeno nel tempo? I dati Eurostat sono disponibili dal 2004 e da quell’anno, in cui eravamo al 19,6%, il dato ha continuato a salire, salvo lievi oscillazioni, fino al 24,1% del 2017, poi il lieve calo dell’ultimo anno.

La storia è molto diversa negli altri paesi europei, dove il fenomeno decresce in modo significativo da 3-4 anni e dove è sempre stato abbastanza contenuto, fatta eccezione per gli anni più duri della crisi economica.

Così, mentre negli ultimi 10 anni la media UE è scesa dal 14,8 al 12,9%, il dato italiano è salito dal già altissimo 20,5 al 23,4%. Solo Grecia, Romania e Danimarca hanno visto salire la loro percentuale di giovani NEET nello stesso periodo.

In termini assoluti i giovani NEET in Italia sono 2.116.000, in calo di 73 mila unità rispetto al 2017. Il picco è stato toccato nel 2014 (2.413.000 NEET), la buona notizia è quindi che negli ultimi cinque anni il valore assoluto è diminuito di quasi 300 mila unità.

Vi è una leggera prevalenza femminile (52,6%), anche se guardando il trend notiamo che rispetto a 10 anni fa le giovani NEET sono aumentate solo del 4% mentre i maschi in condizione di NEET sono aumentati del 34%. È in corso quindi una sorta di riequilibrio di genere.

Vi è poi nella popolazione NEET una sovrarappresentazione dei giovani con cittadinanza non italiana: sono 300 mila i NEET stranieri, il 14,5% del totale dei NEET, mentre la popolazione straniera totale rappresenta l’8,5% della popolazione.

Quanto alla distribuzione territoriale dei giovani NEET in Italia, sono le regioni del sud a presentare i dati più alti. Sicilia, Calabria e Campania superano abbondantemente la quota del 30% di NEET, seguite da Puglia, Sardegna, Basilicata, Molise, Lazio, Abruzzo e Liguria con una quota tra il 20 e il 30%.

Le regioni con le percentuali più basse son quelle del nord est, che hanno dati in linea o solo leggermente superiori alla media europea, seguite dalle altre regioni del centro-nord con percentuali tra il 15 e il 20%.

La nota positiva è che l’incidenza dei giovani NEET è in calo in gran parte delle regioni rispetto al 2017, con le eccezioni di Sicilia (+1 punto), Lazio (+0,7 punti), Valle d’Aosta e Molise (+0,4 punti).

Giovani NEET: quanti sono in Italia ed Europa 2017

Intanto, una precisazione. Cosa intendiamo per giovani? Eurostat, la nostra principale fonti di dati, ci consente di scegliere tra diverse fasce di età. Scegliamo quella dai 15 ai 29 anni. Ci sembra la più adeguata per leggere il fenomeno, comprendendo sia i giovani in fascia scolare che quelli potenzialmente già in fascia lavorativa. Come siamo messi quindi rispetto al resto d’Europa?

Secondo i dati Eurostat relativi al 2017 siamo il paese europeo con la più alta percentuale di giovani NEET. Un italiano su quattro tra i 15 e i 29 anni non lavora, né studia, né si sta formando. La media europea è del 13,4%.

Come è evoluto invece il fenomeno nel tempo? I dati Eurostat sono disponibili dal 2004 e da quell’anno, in cui eravamo al 19,6%, il dato è sceso fino al 18,8% del 2007 ed è poi salito vertiginosamente fino al 26,2% del 2014, anno in cui inizia una lieve discesa che ci porta al 24,1% attuale.

Dopo un decennio in cui il fenomeno è diventato più significativo in molti paesi europei, negli ultimi due anni si registra un calo dei dati quasi ovunque. Ci troviamo davanti, comunque, a un fenomeno che fino a prima della crisi del 2007-2008 era in generale più ridotto.

Se diamo uno sguardo di insieme al fenomeno e alla sua evoluzione, possiamo certamente dire che esso è particolarmente rilevante nei paesi dell’Europa mediterranea, con l’eccezione del Portogallo, e nei paesi dell’est Europa, che stanno però migliorando quasi tutti le loro performance. La percentuale di giovani NEET è invece inferiore nei paesi del centro-nord Europa, con la parziale eccezione della Francia.

Se è vero quindi che c’è stato un periodo più o meno difficile per tutti (tra il 2007 e il 2012 indicativamente), è vero anche che non ci sono tendenze globali in atto ovunque, ma contesti più favorevoli e altri meno. Ci sono paesi, nel centro-nord Europa, dove la percentuale di NEET è inferiore al 10%, e lo è rimasta anche negli anni della crisi: Paesi Bassi (5,9%), Svezia (6,8%), Austria (8,4%), Germania (8,5%), Danimarca (9,1%).

Perché? Alcuni fattori sono economici: sappiamo come la crisi di questi ultimi anni abbia colpito in maniera molto accentuata i paesi dell’Europa mediterranea che, crisi a parte, sono comunque strutturalmente più deboli dei paesi del centro-nord Europa. Altri riguardano il mercato del lavoro: questi paesi hanno generalmente un mercato del lavoro che tende a tutelare molto chi è dentro rendendo complicato l’ingresso a chi è fuori. Altri ancora chiamano in causa l’organizzazione del sistema di welfare, molto sbilanciato sugli anziani nei paesi mediterranei. Infine ci sono elementi socio-culturali, come il ruolo della famiglia e la scarsa predisposizione alla mobilità, a cui però tendo a dare meno peso che agli altri.

Giovani NEET: i dati in Europa

Fonte: Eurostat

Giovani NEET: quanti sono in Italia ed Europa 2016

Sono 2.214.000 i giovani NEET in Italia nel 2016 secondo Istat. Come siamo messi rispetto al resto d’Europa? Così, secondo i dati Eurostat relativi al 2016.

Già, siamo il paese europeo con la più alta percentuale di giovani NEET. Un italiano su quattro tra i 15 e i 29 anni non lavora, né studia, né si sta formando. La media europea è del 14,2%. Questo potrebbe anche significare che un sacco di giovani italiani sono in giro per il mondo a godersi la vita. Oppure che sono depressi e chiusi in casa senza neanche più la spinta a studiare o cercare lavoro. O ancora che stanno lottando per trovare una via d’uscita dall’universo NEET senza trovarla. È il limite dei numeri, quello di non raccontarci le storie.

Come è evoluto invece il fenomeno nel tempo? I dati Eurostat sono disponibili dal 2004 e da quell’anno, in cui eravamo al 19,6%, il dato è sceso fino al 18,8% del 2007 ed è poi salito vertiginosamente fino al 26,2% del 2014. Infine, una flessione negli ultimi due anni fino al 24,3% del 2016.

In fondo all’articolo trovate la tabellina relativa a tutti i paesi europei. Negli ultimi dieci anni il fenomeno è diventato più significativo in molti paesi europei, con l’eccezione, tra i paesi più grandi, di Germania, Ungheria, Slovacchia, Svezia, Regno Unito, Polonia, Austria e Repubblica Ceca. La crescita più importante della percentuale di giovani NEET negli ultimi dieci anni si è avuta in Grecia (+7 punti percentuali), Italia (+5,5), Romania (+5,4), Spagna (+5,3).

Se scomponiamo però l’analisi, notiamo che la crescita del fenomeno in molti paesi europei riguarda soprattutto gli anni della crisi con un apice tra il 2011 e il 2013. Da allora, la percentuale di NEET è in declino nella maggioranza dei paesi, ad eccezione di Finalndia (+0,8 tra il 2013 e il 2016), Francia e Romania (+0,6), Austria (+0,3).

Negli ultimi tre anni in Italia la percentuale di NEET è calata di 1,7 punti percentuali, di cui un calo molto significativo di 1,4 solo tra il 2015 e il 2016, anche se nonostante questo restiamo il paese con più giovani NEET in Europa. Anche nell’ultimo anno le percentuali sono in diminuzione quasi ovunque, con valori molto significativi, oltre che per l’Italia, anche per Grecia, Irlanda e Belgio.

Se diamo uno sguardo di insieme al fenomeno e alla sua evoluzione, possiamo certamente dire che esso è particolarmente rilevante nei paesi dell’Europa mediterranea, con l’eccezione del Portogallo, e nei paesi dell’est Europa, che stanno però migliorando quasi tutti le loro performance. La percentuale di giovani NEET è invece inferiore nei paesi del centro-nord Europa, con la parziale eccezione di Francia e Irlanda e una situazione in preoccupante peggioramento in Finlandia.

Giovani NEET: i dati in Europa


Fonte: Eurostat

Giovani NEET: quanti sono in Italia ed Europa dati 2015

Intanto, una precisazione. Cosa intendiamo per giovani? Eurostat, la nostra principale fonti di dati, ci consente di scegliere tra diverse fasce di età. Scegliamo quella dai 15 ai 29 anni. Ci sembra la più adeguata per leggere il fenomeno, comprendendo sia i giovani in fascia scolare che quelli potenzialmente già in fascia lavorativa.

Come siamo messi quindi rispetto al resto d’Europa? Così, secondo i dati Eurostat relativi al 2015.

Già, siamo il paese europeo con la più alta percentuale di giovani NEET. Un italiano su quattro tra i 15 e i 29 anni non lavora, né studia, né si sta formando. La media europea è del 14,8%.

Come è evoluto invece il fenomeno nel tempo? I dati Eurostat sono disponibili dal 2004 e da quell’anno, in cui eravamo al 19,6%, il dato è sceso fino al 18,8% del 2007 ed è poi salito vertiginosamente fino al 26,2% del 2014. Infine, una flessione dello 0,5% nell’ultimo anno.

In fondo all’articolo trovate la tabellina relativa a tutti i paesi europei. Qui preme solo segnalare che la tendenza generale è quella di un aumento della percentuale di giovani NEET nei paesi dell’Europa mediterranea (Italia, Grecia, Portogallo, Spagna) e una stabilizzazione, quando non un decremento, del fenomeno nel resto d’Europa. Questo significa che non ci sono tendenze globali in atto ovunque, ma contesti più favorevoli e altri meno.

Giovani NEET: i dati in Europa 2015

Fonte: Eurostat

Giovani NEET: aggiornamento dati 2014

Eurostat ha aggiornato i dati sui giovani NEET al 2014. La percentuale di giovani tra i 15 e i 24 anni che non lavorano, non studiano e non fanno formazione in Italia è del 22,1%. Praticamente nessuna differenza rispetto al 2013, quando era al 22,2%. Rimaniamo dunque al primo posto in Europa in questa classifica. La Bulgaria rimane al secondo posto, ma con un miglioramento notevole (dal 21,6% del 2013 al 20,2% del 2014). Terza è la Grecia al 19,1%.

La maggioranza dei paesi europei ha visto diminuire la percentuale di giovani NEET tra il 2013 e il 2014, tanto che la media europea è passata dal 13% al 12,4%. La performance peggiore è quella del Lussemburgo, che passa dal 5% al 6,3%. Fa male anche la Finlandia, che dal 9,3% passa al 10,2%.

Vediamo ora i dati del 2013 e l’evoluzione storica del fenomeno dei giovani NEET in Italia e in Europa.

Giovani NEET: quanti sono in Italia ed Europa

Ma quanti sono questi giovani NEET? Gli ultimi dati sull’Italia li ha diffusi l’ISTAT, che ne calcola 3,7 milioni. Ma attenzione, l’ISTAT è di manica larga e considera la fascia 15-34 anni. A livello europeo invece solitamente si considera la fascia 15-24 anni. Una bella differenza, che però in questo caso, come vedremo, non cambia il succo della questione.

Addentriamoci nelle informazioni che abbiamo sul fenomeno con due operazioni che a noi di Le Nius piace fare: confrontarci con il resto d’Europa e vedere come è cambiata la situazione nel tempo.

Come siamo messi quindi rispetto al resto d’Europa? Così, secondo i dati Eurostat 2013.

Già, siamo il paese europeo con la più alta percentuale di giovani NEET. Un italiano su quattro tra i 15 e i 24 anni non lavora, né studia, né si sta formando. Questo potrebbe in linea di massima anche significare che un sacco di giovani italiani sono in giro per il mondo a godersi la vita. Oppure che sono depressi e chiusi in casa senza neanche più la spinta a studiare o cercare lavoro. O ancora che stanno lottando per trovare una via d’uscita dall’universo NEET senza trovarla. È il limite dei numeri, quello di non raccontarci le storie.

Come è evoluto invece il fenomeno nel tempo? I dati Eurostat sono disponibili dal 2002 e da quell’anno, in cui eravamo al 16,8%, il dato ha continuato a salire, salvo lievi oscillazioni, fino al 22,2% del 2013.

Fonte: Eurostat

CONDIVIDI
Exit mobile version