Giovani NEET: chi e quanti sono in Italia e in Europa?27 min read
Reading Time: 21 minutesQuanti sono i giovani NEET in Italia ed Europa? Dati 2020

Già, siamo il paese europeo con la più alta percentuale di giovani NEET. Quasi un italiano/a su quattro tra i 15 e i 29 anni non lavora, né studia, né si sta formando. Questo potrebbe in linea di massima anche significare che un sacco di giovani italiani sono in giro per il mondo a godersi la vita. Oppure che sono depressi e chiusi in casa senza neanche più la spinta a studiare o cercare lavoro. O ancora che stanno lottando per trovare una via d’uscita dall’universo NEET senza trovarla. È il limite dei numeri, quello di non raccontarci le storie.
Nel resto d’Europa il fenomeno è molto più contenuto. Anche nei paesi mediterranei, che di solito se la giocano con l’Italia, i giovani NEET sono molto meno che nel nostro paese: il 18,7% in Grecia, il 17,3% in Spagna, l’11% in Portogallo.
Gli altri paesi con percentuali più alte sono i paesi dell’est (Romania, Bulgaria, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Polonia). I paesi del centro-nord hanno invece tutti percentuali inferiori al 10%, con le eccezioni di Irlanda e Francia (14%), Belgio (12%) e, a sorpresa, Finlandia e Danimarca (poco sopra il 10%).
Come è evoluto invece il fenomeno nel tempo? Beh, qui entra il gioco la pandemia. Fino al 2019, in tutti i paesi europei il trend era decrescente, nel 2020 però tutti i paesi hanno fatto segnare una crescita della percentuale di giovani NEET, con la sola eccezione della Romania (-0,2). La crescita più forte si è avuta in Irlanda (+2,8 punti in un solo anno), Spagna (+2,4) e Lituania (+2,1). In Italia la quota di giovani NEET è cresciuta di 1,1 punti.
Se prendiamo gli ultimi 10 anni (2011-2020) il trend è più variegato. Nonostante l’impatto della pandemia, molti paesi hanno comunque visto drasticamente diminuire la loro percentuale di giovani NEET, come Irlanda (8,2 punti in meno), Lettonia (-7,2 punti), Bulgaria (-6,6), Croazia (-4,5) e Grecia (-4,3). La maggior parte dei paesi ha avuto cali contenuti, mentre sono 5 i paesi che ngli ultimi 10 anni hanno visto salite la quota di giovani NEET: Danimarca (+1,8 punti), Lussemburgo (+1,1), Austria (+1), Italia (+0,8) e Cipro (+0,5).
Giovani NEET in Italia: numeri e caratteristiche
In termini assoluti, come anticipato, i giovani NEET in Italia sono 2.100.000, in aumento di 100 mila unità rispetto al 2019. Il picco è stato toccato nel 2014 (2,4 milioni di NEET), la buona notizia è quindi che nei cinque anni pre pandemia il valore assoluto era diminuito di oltre 400 mila unità.
Vi è una leggera prevalenza femminile (52,3%), ma guardando il trend notiamo che rispetto a 10 anni fa il numero di giovani NEET femmine è rimasto invariato, mentre i maschi in condizione di NEET sono aumentati del 5%. È in corso quindi un deciso riequilibrio di genere.
Vi è poi nella popolazione NEET una sovrarappresentazione dei giovani con cittadinanza non italiana: sono 318 mila i NEET stranieri, il 15,1% del totale dei NEET (dato in crescita), mentre la popolazione straniera totale rappresenta l’8,5% della popolazione.

Quanto alla distribuzione territoriale dei giovani NEET in Italia, sono le regioni del sud a presentare i dati più alti. Sicilia, Calabria e Campania superano abbondantemente la quota del 30% di NEET, seguite da Puglia, Molise, Basilicata, Sardegna, Lazio e Abruzzo con una quota tra il 20 e il 30%.
Le regioni con le percentuali più basse sono quelle del nord est, che hanno dati in linea o solo leggermente superiori alla media europea, seguite dalle altre regioni del centro-nord con percentuali tra il 15 e il 20%.
Mentre prima della pandemia i dati erano in calo ovunque, nel 2020 la quota di giovani NEET è in aumento in molte regioni, ad eccezione dell’Abruzzo, che ha fatto segnare un calo di 2 punti, e di regioni dove è rimasto stabile come Friuli Venezia Giulia, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.L’impatto della pandemia sulla quota di giovani NEET si è fatto sentire soprattutto nelle regioni del nord e del centro, dove le percentuali sono aumentate di 3 punti.
Daniele
In effetti io tra i 15 e 19 anni ero al liceo, ma dai 19 ai 24 non ho fatto sostanzialmente una mazza (nominalmente ero uno studente universitario, ma essendo iscritto a Lettere...)
Fabio Colombo
in questo caso non rientravi tra le statistiche NEET, essendo iscritto all'Università
dav1de
Articolo interessantissimo. Personalmente sono stato NEET in America Latina, ed era un gran bel stare :)Domanda: la differenza tra disoccupato e NEET è data solo dall'età?
Fabio Colombo
No. Ponendo come stabile una fascia di età (es. 16-24 anni) rientri fra i NEET se, oltre a essere disoccupato, non sei iscritto né a scuola né all'Università e nemmeno a percorsi formativi professionalizzanti. Infatti il dato sulla disoccupazione giovanile per quella fascia è più alto (40%). Il vero problema è che questo dato non distingue chi è disoccupato perché va a scuola e chi lo è perché non trova/non cerca lavoro. In questo senso il dato sui NEET è più significativo per leggere fenomeni che riguardano i giovani.
Lia
Quello che scrive non è corretto, chi studia non viene considerato tra i disoccupati ma tra gli inattivi. Per ISTAT il disoccupato non è solo chi non lavora, ma chi sta cercando attivamente un'occupazione. Tutti i dati che lei ha citato sono di fonte ISTAT o EUROSTAT e i criteri di rilevazione sono gli stessi.
Libero Labour
Concordo con Fabio, infatti sul tema della disoccupazione giovanile i dati non sono "pacifici".https://www.lenius.it/disoccupazione-giovanile-italia/
Barbara
Leggendo questo articolo e rapportandomi con il mondo esterno devo dire che comprendo la dinamica giovanile. L'opportunità di crescita lavorativa in Italia è satura, anzi, più una persona è specializzata e intraprendente più viene declassata dalle società di selezione del personale. Sembra che questo stato, questa cultura "moderna" dia molta più sostanza e lavoro a una persona che non si pone poi così molte domande nella vita, che qualcuno che sia disposto a voler crescere e cambiare il mondo in cui siamo. Non è una questione di fare i preziosi, ma chi andrebbe mai a lavorare a nero o accettare stage a 300 euro al mese se ha passato gran parte della sua vita sui libri? se lo ritengono un insulto, non posso che dargli ragione. Il mercato del lavoro è cambiato è inutile negarlo e più ci avviciniamo a questo stereotipo di lavoro "macchina" più le persone risulteranno insoddisfatte e depresse nelle loro vite, motivo? perché stiamo andando contro natura.