Regolarizzazione dei migranti | Perché, come funziona e che vantaggi ha13 min read
Reading Time: 10 minutesCome mai in Italia ci sono tanti immigrati irregolari? Ha senso fare oggi una regolarizzazione dei migranti perché lo chiede l’economia e con una pandemia sanitaria in corso? Quali vantaggi avrebbe sulla sicurezza e sull’economia? Cosa fare per evitare in futuro che il numero degli stranieri irregolari torni ad aumentare? E gli altri paesi cosa fanno?
Sono queste le domande che muovono questo articolo, all’indomani dell’approvazione del provvedimento di regolarizzazione temporanea di lavoratori e lavoratrici migranti contenuta nel cosiddetto decreto rilancio.
Gli stranieri irregolari sono persone che non hanno diritto al soggiorno o non hanno più titolo a restare in Italia. È una realtà molto complessa fatta di storie diverse di immigrazione, che supera la semplificazione che identifica negli irregolari i cosiddetti “clandestini” sbarcati in Italia in questi anni.
Fra di essi ci sono: titolari di permessi di soggiorno che per varie ragioni non sono riusciti a rinnovarli; persone venute in Italia senza la necessità di un visto (o più spesso con visto turistico) e trattenutesi oltre il consentito per lavorare, anche se non potevano; richiedenti asilo diniegati e inottemperanti all’ingiunzione di lasciare l’Italia; persone arrivate in Italia senza autorizzazione e trattenutesi anche se intimate di espulsione.
Nessuno sa esattamente quanti sono i cittadini stranieri senza permesso di soggiorno presenti in Italia, anche se le stime parlano di una cifra intorno alle 600 mila unità.
Regolarizzazione e coronavirus
L’aggravamento dell’epidemia da covid-19 ha messo in evidenza che la messa in sicurezza delle persone e la salute pubblica sono una priorità. Il controllo del territorio e la salute pubblica non sono garantiti se vi sono migliaia di persone senza documenti, in precarie condizioni socio-economiche, che non possono accedere ai servizi sanitari.
Le misure restrittive della libertà di circolazione hanno paralizzato interi settori dell’economia nei quali erano impegnate decine di migliaia di lavoratori migranti.
In agricoltura, secondo le stime, sono 350 mila i lavoratori stagionali, per lo più braccianti, che mancano all’appello e che serviranno nelle campagne italiane in questi mesi. I lavoratori italiani, indiani e tunisini hanno solitamente contratti di oltre 100 giorni annui, mentre i lavoratori provenienti da Africa occidentale, Pakistan, Polonia, Bulgaria e Romania hanno contratti di non più di 50 giornate all’anno, riporta il Piano triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura e al caporalato (2020-2022).
Gli invisibili diventano appetibili quando il covid-19 desertifica terreni e serre dai braccianti stagionali europei.
Questa dichiarazione di Coldiretti rivela la natura della questione: i lavoratori europei, a differenza dei non comunitari, sono potuti rientrare nel loro paese per fuggire al contagio in Italia. Romeni, polacchi, bulgari sono rientrati nei loro paesi e lì sono rimasti bloccati, mentre fiori, pomodori, zucchine e melanzane rimangono a terra, senza più braccia a raccoglierle.
Altro settore in crisi è quello del lavoro di cura e di assistenza domestica (oltre il 70% è svolto da lavoratrici e lavoratori stranieri), spesso a danno di quelle persone anziane che sono più vulnerabili al coronavirus ed hanno maggiore bisogno di aiuto.
Secondo le associazioni dei datori di lavoro domestico, il problema del lavoro nero riguarderebbe circa 200 mila lavoratrici e lavoratori domestici già presenti in Italia senza contratto e senza documenti. Escluse le regolarizzazioni del 2009 (295 mila unità) e del 2012 (115 mila unità) di chi era già in Italia senza documenti, è dal 2011 che non si programmano quote di ingresso di lavoratori stranieri da inserire nel settore domestico.
Dall’inizio della pandemia, nessun lavoratore straniero privo di permesso di soggiorno è potuto rientrare nel proprio paese, e solo una minima parte si è trasferita in altri paesi europei, anche perché l’Italia e gli altri stati hanno chiuso le frontiere. Con la paura del contagio, queste persone sono costrette ad un’esistenza sempre più misera, senza reddito, in situazioni alloggiative precarie e sovraffollate, di fatto condannati alla clandestinità e alla criminalità.
È in risposta a questa situazione che è stato deliberato il provvedimento di regolarizzazione temporanea per lavoratori e lavoratrici stranieri nell’ambito del decreto rilancio.
Come funziona la regolarizzazione dei migranti 2020?
L’ultima versione del provvedimento, approvata il 13 maggio 2020, promuove due modalità di regolarizzazione.
La prima è un’emersione di rapporti di lavoro irregolari. I datori di lavoro potranno concludere “un contratto di lavoro subordinato con cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, in regola o senza permesso di soggiorno”. La procedura è rivolta solo ai cittadini stranieri sottoposti a rilievi fotodattiloscopici (cioè all’acquisizione di impronte digitali e foto) prima dell’8 marzo 2020 e che non hanno lasciato il territorio nazionale dall’8 marzo 2020.
L’emersione è limitata però ai rapporti di lavoro nei settori della filiera agro-alimentare, assistenza alla persona e servizi domestici. Sono dunque esclusi quei cittadini stranieri a cui non sono state prese le impronte digitali, ma che comunque potrebbero dimostrare la sussistenza di un rapporto di lavoro nei settori indicati dal provvedimento. Se durante la procedura di emersione, per cause non imputabili al lavoratore, il datore di lavoro non è più disponibile a stipulare il contratto di lavoro, non è previsto il rilascio di un permesso per ricerca lavoro, come invece era previsto nelle regolarizzazioni degli anni passati.
La seconda modalità consente ai cittadini stranieri, con permesso di soggiorno scaduto dal 31 ottobre 2019, di richiedere un permesso di soggiorno temporaneo, valido solo nel territorio nazionale, della durata di sei mesi dalla presentazione dell’istanza. Anche per loro la data di riferimento è quella dell’8 marzo 2020 e devono aver svolto attività di lavoro antecedentemente al 31 ottobre 2019, ma sempre e solo nei settori indicati dal provvedimento. L’istanza per il rilascio del permesso di soggiorno deve essere presentata dal cittadino straniero al questore, dal 1° giugno al 15 luglio. Il permesso sarà convertibile solo se lo straniero potrà dimostrare di avere lavorato nel settore agricolo, di assistenza alla persona o domestico.
È chiaro che il provvedimento è frutto di un compromesso tra le forze politiche al governo, divise tra favorevoli e contrati alla regolarizzazione, tra fautori del diritto alla salute pubblica o del rilancio economico. Tutte queste limitazioni non consentiranno di regolarizzare tutti coloro il cui diritto alla salute è minacciato dalla crisi epidemiologica da covid-19, ma solo i fortunati che riusciranno a dotarsi di un contratto di lavoro nei settori indicati nel provvedimento.
Ma come mai si è arrivati a questa decisione? Intanto va detto che la regolarizzazione è un classico delle politiche migratorie italiane: generare irregolari per poi regolarizzarli è la conseguenza delle politiche che molti governi, di centrodestra e centrosinistra, seguono da 40 anni.
Regolarizzazione migranti: non è una novità
In Italia le regolarizzazioni di lavoratori stranieri sono adottate ciclicamente. Con questo procedimento, in presenza di specifici requisiti e condizioni, lo straniero può autodenunciare la propria posizione irregolare, ottenendo un permesso di soggiorno per motivi di lavoro, che può essere legato a un rapporto di lavoro già in essere (emersione) o a un periodo di ricerca di lavoro o alla garanzia di soggetti terzi (regolarizzazione).
Il periodico ricorso a questo strumento denuncia tutti i limiti delle modalità con cui si è cercato di governare il fenomeno migratorio in Italia, modificando continuamente le norme in assenza di una vera visione d’insieme delle dinamiche e dei bisogni reali. Per questo, gli stranieri irregolari sono sempre molti.
La storia delle politiche migratorie italiane è dunque piena di sanatorie: 105 mila persone nel 1986, 215 mila nel 1990, 246 mila nel 1995, 217 mila nel 1998 fino al record di 647 mila persone con la legge Bossi-Fini del 2002 (sì, la più grande regolarizzazione di migranti nella storia d’Italia e d’Europa fu opera di Lega Nord e Alleanza Nazionale). Altre centinaia di migliaia di persone sono poi state regolarizzate negli anni successivi, di cui 440 mila in seguito all’allargamento dell’Unione Europea, per convertire lo stato di irregolarità di romeni e bulgari in quello di cittadini comunitari.
Una storia che non è finita neanche con la crisi economica: il settore del lavoro domestico ha infatti continuato a crescere e a domandare forza lavoro straniera. il Pacchetto Sicurezza del 2009 ha così introdotto una nuova sanatoria, che ha regolarizzato circa 300 mila immigrati. Infine, nel 2012, l’ultima sanatoria prima di quella del 2020. Il totale fa 2.805.000 stranieri regolarizzati negli ultimi 40 anni.
La regolarizzazione dei migranti è quindi un appuntamento fisso, così come fisso è il ripetersi dello slogan “mai più sanatorie”. Almeno fino alla prossima. Ma come si è arrivati a questo punto?
Come mai in Italia si fanno così tante sanatorie?
Fino al 1998, quando è entrata in vigore la legge Turco-Napolitano, non abbiamo avuto un’effettiva e puntuale normazione della materia dell’ingresso di stranieri nel mondo del lavoro, di contrasto al fenomeno del c.d. “lavoro nero” e della lotta alla criminalità internazionale che gestiva i traffici di clandestini.
Da quel momento si è iniziato a legiferare per regolare l’immigrazione straniera in Italia. Gli ingressi per motivi di lavoro erano regolati da decreti flussi programmati, che stabilivano quanti lavoratori stranieri potevano entrare nel nostro paese (qui un nostro approfondimento sull’immigrazione per motivi di lavoro). Contestualmente, si introducevano misure per la lotta all’immigrazione clandestina.
La normativa successiva si è preoccupata soprattutto di inasprire le seconde e ridurre le quote disponibili per lavoratori stranieri. Ha iniziato nel 2002 la legge Bossi-Fini, che ha reso discrezionale il meccanismo di programmazione delle quote, di fatto sostituendolo con provvedimenti annuali dei singoli governi; ha legato il permesso di soggiorno alla durata dei contratti di lavoro; ha ridotto le possibilità di ingresso e di permanenza regolare; ha inasprito le misure penali e amministrative nei confronti degli stranieri irregolari.
Il risultato di questo approccio è stata la drastica riduzione degli ingressi per motivi di lavoro (erano poco più di 150 mila nel 2007, quasi 360 mila dopo la regolarizzazione del 2009, fino a solo 14 mila nel 2018 – ne abbiamo parlato qui). Per dare un’idea, l’Italia è il paese europeo che rilascia meno permessi per motivi di lavoro in rapporto agli abitanti.
Ulteriori misure nella stessa direzione sono state prese nel 2008, 2009 (pacchetto sicurezza), 2017 (legge Minniti-Orlando), fino ai decreti sicurezza di Salvini. Il primo, in particolare, ha abolito il permesso per motivi umanitari, con la conseguenza che molti richiedenti asilo sono stati relegati all’irregolarità. Secondo una stima di Ispi, questo provvedimento potrebbe produrre 140 mila irregolari in più nel 2020.
C’è un altro aspetto da considerare: le espulsioni sono molto complicate. Secondo quanto riportato da Neodemos, la percentuale di immigrati irregolari espulsi dal territorio italiano è molto bassa, e compresa in media tra il 3 il 6%. Negli ultimi anni si registra un calo significativo: nel 2015 e 2016 siamo sotto il 2%.
Come mai? Sono operazioni costose: per ogni espulsione si stima, infatti, un costo medio di 5.800 euro. Sono operazioni complicate, perché occorre siglare accordi con i paesi di origine, i quali generalmente chiedono in cambio risorse per cooperazione e sviluppo. L’Italia ha accordi con paesi come Tunisia, Egitto, Nigeria, Sudan, Albania, Ucraina, Pakistan, Mali, ma non sembrano essere molto efficaci.
Per riassumere: la chiusura degli ingressi per motivi di lavoro, la posizione geografica dell’Italia nel Mediterraneo, la difficoltà a restare regolari senza un contratto di lavoro seppur in presenza di un buon livello di integrazione, l’impossibilità di ottenere permessi per protezione umanitaria, la difficoltà di eseguire le espulsioni spiegano perché l’irregolarità sia così diffusa in Italia: per la difficoltà ad entrare e rimanere nella regolarità nel nostro paese.
Chi riesce ad arrivare in modo irregolare quindi, anche se lavora (in nero) e paga un affitto (in nero), può solo sperare nella sanatoria successiva per potersi regolarizzare. E chi riesce ad arrivare in modo regolare, ha alte probabilità di scivolare nell’irregolarità e anche lui/lei di restarci fino alla prossima sanatoria.
Che vantaggi dà la regolarizzazione dei migranti?
Abbiamo già visto le motivazioni immediate alla base dell’attuale regolarizzazione di migranti: motivazioni sanitarie ed economiche, legate in particolare ai settori dell’agricoltura e del lavoro domestico. Tuttavia, regolarizzare gli irregolari ha una serie di vantaggi indipendentemente dal coronavirus e dalla situazione particolare.
Ad esempio, gli immigrati regolari commettono molti meno reati degli immigrati irregolari. La popolazione straniera è responsabile di circa il 31% di tutti i reati commessi in Italia, ma la gran parte dei reati commessi dagli stranieri sono commessi dagli immigrati irregolari.
Non è l’essere straniero che incide sulla possibilità di commettere reato, ma l’essere irregolare. La percentuale di persone denunciate senza permesso di soggiorno sul totale degli stranieri denunciati è, negli ultimi anni, mediamente del 70%, una percentuale elevatissima. Abnorme se si pensa che gli irregolari costituiscono una quota mediamente attorno al 10% del totale degli stranieri presenti nel territorio italiano.
Un secondo importante vantaggio è economico. Il XVI rapporto annuale Inps 2017 ha studiato gli effetti delle regolarizzazioni del 2002 e del 2012: a distanza di 5 anni la maggior parte dei lavoratori hanno ancora un lavoro regolare. In sostanza le regolarizzazioni vengono presentate come un’efficace politica attiva del lavoro.
Naturalmente questo significa anche tasse e contributi pensionistici versati allo Stato. Secondo le stime di Fondazione Leone Moressa, il gettito fiscale e contributivo in più potrebbe ammontare a 1,4-2,6 miliardi di euro l’anno, in base a quanti saranno effettivamente i lavoratori e lavoratrici regolarizzate.
Cosa fanno gli altri paesi europei?
La Spagna è un paese che come l’Italia ricorre spesso alla regolarizzazione dei migranti: ha attuato importanti programmi di regolarizzazione nel 2000, 2001 e 2005, l’ultimo e il più grande programma, con il quale sono stati regolarizzati quasi 580 mila migranti.
Dopo il 2005, la Spagna ha adottato un meccanismo di regolarizzazione permanente (detto arraigo). L’arraigo laboral è riservato a chi ha vissuto continuativamente in Spagna per almeno due anni e ha lavorato illegalmente per almeno sei mesi (requisito da dimostrare tramite la sentenza di un giudice, una conciliazione extragiudiziale o il risultato di un’ispezione).
L’arraigo social, il più diffuso, è riservato a chi ha vissuto continuativamente in Spagna per almeno tre anni, ha un’offerta di lavoro di almeno 12 mesi e dimostra un adeguato livello di integrazione (legami familiari, conoscenza della lingua spagnola, partecipazione a percorsi di formazione promossi dalle autorità locali ecc.). In una riforma della Legge sugli stranieri nel 2011, è stato aggiunto l’arraigo familiar, una terza via alla regolarizzazione per motivi di integrazione familiare rivolta ai genitori immigrati irregolari di bambini con cittadinanza spagnola.
Al termine della procedura di arraigo, il cittadino straniero ottiene un permesso di soggiorno speciale della durata di un anno che, alla scadenza, se sussistono i requisiti, può essere convertito in un permesso di soggiorno ordinario, anche per motivi di lavoro.
A seguito dell’emergenza covid-19, il Portogallo ha adottato una procedura di regolarizzazione per tutti i migranti, inclusi i richiedenti asilo, con istanze pendenti di rilascio del permesso di soggiorno. In particolare, il Servizio Stranieri e Frontiere (SEF) ha messo in atto, dal 30 marzo, un piano di gestione per appuntamenti e orari che determina che, alla data della dichiarazione dello Stato di emergenza nazionale (18 marzo), tutti i cittadini stranieri con cause pendenti nel Servizio si trovano in una situazione di regolare permanenza nel territorio nazionale. La notizia è stata molto ripresa dai media, anche se non mancano le ombre.
In Francia, circa 30 mila persone sono state regolarizzate ogni anno nella seconda metà dell’ultimo decennio in base a due meccanismi: per motivi umanitari o per motivi di lavoro. Mentre la logica umanitaria è legata in particolare a motivi familiari, quella per motivi di lavoro prevede una selezione dei candidati alla regolarizzazione attraverso una valutazione del loro livello di occupabilità. L’elemento critico è la discrezionalità amministrativa nell’analisi delle domande, che quindi va limitata entro confini precisi.
Dalla metà degli anni duemila, le misure di regolarizzazione adottate in Germania si sono basate su una dichiarazione di presenza di persone che non avevano potuto ottenere o rinnovare il permesso di soggiorno, e quindi già note alle Autorità. Lo schema di regolarizzazione è stato sempre accompagnato da programmi di integrazione socio-lavorativa, su larga scala volti ad attivare il potenziale occupazionale dei migranti regolarizzati.
I Paesi Bassi e la Svezia prevedono sistemi di regolarizzazione permanenti basati maggiormente su condizioni personali o umanitarie. Dal 2013 i Paesi Bassi prevedono meccanismi di regolarizzazione per le persone gravemente malate e per i bambini e i giovani in situazioni prolungate di permanenza irregolare introdotte nel 2013. In Svezia, sono adottati meccanismi di regolarizzazione in base a motivazioni di tipo umanitario.