Decreto flussi 2023 per i migranti: come funziona e perché non funziona7 min read

31 Luglio 2023 Dati migrazioni Migrazioni Politiche migratorie -

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Giornalista

Decreto flussi 2023 per i migranti: come funziona e perché non funziona7 min read

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I cittadini provenienti da Paesi esterni all’Unione Europea hanno possibilità limitate di entrare in Italia per motivi di lavoro. Fatta eccezione per un numero ristretto di figure professionali – come lavoratori altamente qualificati, artisti o giovani inseriti in percorsi di “vacanza-lavoro” – l’ingresso è consentito nel limite delle quote massime stabilite dal Decreto Flussi, misura prevista dal Testo Unico del 1998.

Quelle per il prossimo triennio sono contenute nel Dpcm approvato, in esame preliminare, in una riunione del Consiglio dei Ministri del 6 luglio, che ha dato il via libera a 452mila ingressi dal 2023 al 2025. Da quest’anno il Decreto introduce delle novità e modifica la procedura di assunzione dei lavoratori non comunitari, aggiungendo ulteriori passaggi all’iter burocratico che rischiano di rallentare un sistema già farraginoso.

 Chi è autorizzato a entrare secondo il Decreto flussi 2023

Il Dpcm di luglio era stato preceduto dal Decreto Legge n. 1/2023, che fissava a 82.705 il numero massimo di ingressi per motivi lavorativi nel 2023. Alle 19 del 27 marzo, giornata in cui si dava avvio alla presentazione delle domande, il cosiddetto “click day”, le richieste erano però già 240mila. Questo dato, oltre all’evidente sproporzione tra ingressi disponibili e domanda di lavoratori stranieri, ha spinto l’Esecutivo ad approvare il nuovo Dpcm di luglio, che ha portato le quote a 452mila in tre anni, ripartite in 136mila per il 2023, 151mila nel 2024 e 165mila nel 2025. La possibilità di allargare ex post il numero di ingressi e di avere per la prima volta una programmazione triennale dei flussi – non più di anno in anno, quindi – è stata consentita dall’entrata in vigore del decreto “Cutro” 20/2023. L’obiettivo dovrebbe essere quello di stabilire delle quote che risultino il più in linea possibile con il «fabbisogno del mercato del lavoro […] previo confronto con le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro maggiormente rappresentative sul piano nazionale». Eppure, le nuove quote non riescono ugualmente a sopperire una domanda stimata di 833mila lavoratori nei prossimi tre anni, quasi il doppio di quelli a cui è consentito l’ingresso.

Come di consueto per i decreti flussi, le quote vengono divise per ciascun anno tra lavoro subordinato non stagionale e autonomo da un lato e lavoro stagionale dall’altro. Le quote del lavoro subordinato sono destinate ad ambiti lavorativi specifici, di cui alcuni – come autotrasporti, edilizia e turismo – sono rimasti invariati rispetto agli anni passati. In aggiunta, il decreto ha introdotto, tra gli altri, anche il settore meccanico, della telecomunicazione, alimentare, della cantieristica navale, della pesca e del trasporto passeggeri con autobus. Rispetto al precedente, il nuovo Dpcm ha aggiunto in extremis anche una quota di 9.500 unità l’anno dedicata all’assistenza familiare e sociosanitaria, che in Italia impiega per il 50% cittadini extracomunitari e che registra livelli di sommerso non indifferenti. La decisione è arrivata dopo la protesta dell’associazione dei datori di lavoro domestico, Assindatcolf, che in un comunicato lamentava una strutturale carenza di personale – circa 23 mila lavoratori ogni anno -, soprattutto nell’assistenza agli anziani.

Parte delle quote del lavoro subordinato non stagionale possono poi essere richieste solo da chi possiede specifici requisiti, come essere di origine italiana per parte di almeno uno dei due genitori e residente in Venezuela. Anche per il lavoro autonomo è necessario rispondere a criteri stringenti, come poter prevedere la creazione di almeno 3 posti di lavoro e l’impiego di risorse proprie non inferiori a 500.000 euro, essere artisti di «chiara fama» o, ancora, poter costituire imprese «start-up innovative». 

La seconda categoria è quella del lavoro stagionale, che impiega la maggior parte della forza lavoro straniera. Delle quote fissate per il triennio – 82.550 nel 2023, 89.050 nel 2024 e 93.550 nel 2025 – circa la metà è riservata all’agricoltura, che passa da 14mila posti di lavoro nel 2022 a 40mila nel 2023. Una cifra che, seppur superiore alle 22mila quote inizialmente previste dal Decreto 2023/01, è ancora insufficiente a coprire quelle che le associazioni di categoria ritengono essere le reali necessità del settore: almeno 100 mila nuovi lavoratori.

Decreto flussi 2023 per i migranti: come funziona e perché non funziona

L’altra metà va, invece, al settore turistico, che, attraverso il presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, aveva già rilanciato la proposta di «un nuovo decreto flussi, per colmare un gap stimato di 200mila lavoratori».

Il decreto riserva poi ogni anno delle quote per la conversione di permessi di soggiorno esistenti, ad esempio da lavoro stagionale a non stagionale o da soggiorno di lungo periodo a soggiorno per lavoro autonomo. A differenza del precedente, però, che ne destinava 7mila per il 2023, l’ultimo decreto ne mette a disposizione solo 4.150 l’anno.

Una novità aggiunta dal Dpcm, infine, è la presenza di quote destinate ad apolidi e rifugiati nei Paesi di primo asilo o transito, per appena 250 posti l’anno.

Come funziona

Il meccanismo privilegia chi arriva prima: le domande vengono trattate secondo l’ordine cronologico di presentazione e quelle che non vengono accolte «potranno essere esaminate, presumibilmente in via prioritaria e previo rinnovo della domanda» nei successivi decreti flusso. Il nuovo sistema introdotto dal decreto 2023/01 prevede però l’utilizzo di una procedura inedita: il datore di lavoro, prima dell’invio della richiesta di nulla osta per i lavoratori stranieri, dovrà verificare presso il centro per l’impiego che non vi siano altri lavoratori già pronti a ricoprire il posto offerto. Il meccanismo sembra quindi voler privilegiare i disoccupati italiani, senza tener conto della nota indisponibilità di manodopera nazionale per i settori di più tradizionale impiego di persone straniere. 

Oltre all’aggiunta di adempimenti burocratici a carico del datore di lavoro, la procedura – peraltro già prevista fin dal 2013 e mai attuata – rischia poi di allungare eccessivamente le tempistiche. Il datore potrà procedere con la richiesta di nulla osta solo nel caso in cui il centro per l’impiego non risponda entro quindici giorni, il lavoratore segnalato dal centro non venga ritenuto idoneo al lavoro offerto o non si presenti al colloquio di selezione. 

Secondo il nuovo decreto, spetta poi ad alcune associazioni datoriali di categoria, quelle maggiormente rappresentative a livello nazionale, il compito e la responsabilità di valutare la capacità finanziaria del datore di lavoro, in relazione alle assunzioni da lui previste. Un ruolo ancora più complesso nel settore agricolo dove, accanto alla diffusa presenza di irregolarità e impieghi temporanei, si registra la quota più elevata di vittime di sfruttamento: il 18,6% secondo i dati Inl del 2020.

Le criticità del Decreto flussi 2023

Il numero delle quote stabilite dai decreti flussi 2023 ha subito diverse oscillazioni negli anni, passando dalle 250mila unità del 2006 a una forte riduzione nel periodo della crisi dei rifugiati, dal 2014 al 2016, fino a risalire gradualmente in anni più recenti, con una cautela che appare, però, inadeguata a sostenere le necessità reali del Paese. 

Di fatto, negli ultimi vent’anni, attraverso il decreti flussi sono entrati in Italia circa 800mila lavoratori stranieri, esclusi gli stagionali. Ma, per cifre di gran lunga maggiori, i decreti hanno piuttosto funzionato come una sorta di sanatoria, che ha regolarizzato circa 2 milioni di lavoratori già presenti sul territorio. Confrontando i numeri, quindi, non si può dire che la programmazione sia finora stata efficace. E ancora oggi, nonostante il notevole aumento delle quote per il prossimo triennio, la disponibilità di lavoratori continua a essere superiore ai posti garantiti.

Dichiarata volontà del governo è, inoltre, che il decreto sia funzionale a una diminuzione degli ingressi irregolari sul territorio, ma, solo da gennaio a giugno 2023, il numero di arrivi via mare è stato di 64.930 persone. L’intento si scontra anche con il fatto che, nell’elenco delle nazionalità ammesse dal decreto, manchino alcuni degli Stati da cui proviene la maggior parte dei migranti che arrivano in Italia, come la Siria, il Burkina Faso e il Camerun. Si leggono, invece, cittadinanze già molto presenti sul nostro territorio, ma estranee al fenomeno di immigrazione irregolare, come Albania, Filippine ed El Salvador. La selezione dei Paesi di provenienza non risulta, quindi, coerente con la composizione dell’immigrazione attuale.

Parte delle quote previste, possono essere, inoltre, utilizzate solo dai cittadini dei Paesi che hanno sottoscritto o stanno per sottoscrivere accordi di cooperazione in materia migratoria o che, in collaborazione con l’Italia, promuovono campagne mediatiche su «i rischi per l’incolumità personale derivanti dall’inserimento in traffici migratori irregolari». Un’altra manovra per rafforzare accordi volti all’esternalizzazione delle frontiere, in cambio di poche migliaia di posti di lavoro. 

Le professionalità indicate nel decreto, infine, così come le richieste di manodopera straniera da parte di determinate associazioni di categoria, mostrano come le opportunità offerte ai lavoratori extracomunitari non facciano altro che alimentare un sistema che li ingabbia in mansioni di fatica e a basso costo, per le quali si fa generalmente più fatica a trovare manodopera italiana. 

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Da sempre appassionata di comunicazione, ha studiato tra Palermo, Bologna e Torino. Ha un master in giornalismo e ha collaborato con La Stampa, Il manifesto e altri. Scrive di temi sociali, diritti, marginalità. Per Le Nius si occupa di migrazioni.
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