Che impatto ha la pandemia sul lavoro?7 min read

1 Maggio 2020 Economia Politica -

Che impatto ha la pandemia sul lavoro?7 min read

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Nella quarta puntata di LiveNius abbiamo parlato dell’impatto della pandemia e del conseguente lockdown sul mondo del lavoro. La puntata è andata live giovedì 30 aprile alle 18 e la potete rivedere qui:

Nella puntata ci siamo chiesti: che impatto avrà la pandemia sul mondo del lavoro e sui livelli di occupazione? Le misure del governo sono sufficienti? Cosa succederà a freelance e partite iva? Lo smart working diventerà la regola?

Ne abbiamo parlato con: Mirko Altimari, ricercatore di diritto del lavoro Università Cattolica di Milano; Francesco Armillei, coordinatore di Tortuga; Ilaria Benecchi, consigliera ACTA – Associazione dei freelance; Ronnie Garattoni, co-fondatore Warehouse Coworking Factory ed esperto di smart working.

I contenuti che seguono sono una sintesi di quanto emerso dalla discussione con gli ospiti e dall’interazione con i commenti e le domande poste in diretta dalle persone collegate su Facebook.

La pandemia aumenterà la disoccupazione?

L’impatto sui livelli di occupazione è finora minore di quello atteso all’inizio. I primi dati di Istat ci dicono che non c’è un aumento della disoccupazione nel periodo gennaio-marzo 2020. Bisogna però considerare che non c’è il calo perché le persone ad oggi sono ancora occupate: c’è stato il blocco dei licenziamenti e il ricorso alla cassa integrazione, tutte misure che mantengono stabili i livelli occupazionali. Per vedere un impatto sul tasso di disoccupazione bisognerà attendere ancora qualche mese.

Un primo segnale dell’impatto della pandemia sul lavoro arriva invece dai dati sugli inattivi, cioè coloro che non solo non lavorano, ma anche rinunciano a cercare attivamente un lavoro. Gli inattivi nel primo trimestre del 2020 sono in aumento. Questo significa che in questa situazione di stallo le persone non cercano lavoro, e c’è da immaginare che questo numero crescerà e che anche chi perderà il lavoro difficilmente lo cercherà subito nelle condizioni attuali.

Come tutelare il lavoro subordinato?

Le principali misure adottate ad oggi sono il blocco dei licenziamenti e l’estensione della possibilità di accedere alla cassa integrazione. Il blocco dei licenziamenti è una misura molto importante. La cassa integrazione è uno strumento che è nato per impedire che si debbano licenziare le persone. È certamente uno strumento importante ma parziale. È parziale la platea dei destinatari anche se con questa legislazione emergenziale è stata ampliata come non mai: possono accedervi anche aziende con pochi dipendenti e di altri settori, tanto che ad oggisono arrivate 7 milioni di domande, un numero mai visto. Inoltre, la la cassa integrazione è di solito anticipata dal datore di lavoro, ora in questa legislazione emergenziale e di crisi di liquidità viene anticipata da Inps.

La cassa integrazione non tutela però tutto il lavoro subordinato, ci sono categorie che non sono coperte. Lavoratori e lavoratrici stagionali, a chiamata, occasionali. In alcuni casi hanno diritto a indennità di disoccupazione (Naspi) però non tutti. Ci sono poi anche i lavoratori a nero, le cui esigenze non si possono ignorare. Le esigenze sono tante e diverse e non si può rispondere a tutte con un unico strumento, occorre pensare a strumenti diversi, inventarne anche di nuovi. La possibilità a livello giuridico c’è, occorre confrontarsi con la volontà politica e la disponibilità di risorse economiche.

Che impatto ha la pandemia su partite iva e freelance?

Molte partite iva e freelance sono in difficoltà. Alcuni settori sono completamente fermi, in altri casi basta che viene meno una commessa e i propri ricavi subiscono un tracollo. Le professioni più colpite sono quelle del turismo (ad esempio le guide turistiche o gli agenti di viaggio freelance), del settore cultura e spettacolo, del settore eventi e congressi (event manager freelance, interpreti di simultanea). Categorie che hanno visto dalla sera alla mattina una interruzione totale delle attività.

C’è ad esempio il caso di Anna, una ragazza di 35 anni che lavora come graphic designer e in condizioni ordinarie lavorava da uno spazio di coworking. Ora la sua commessa principale si è fermata, e spesso per i freelance funziona così: si hanno una o due commesse principali e poi qualche incarico più piccolo, e se si blocca la commessa principale il ricavo crolla. In più Anna ha anche figli, e si trova quindi in difficoltà anche a portare avanti da casa il lavoro che le è rimasto.

La misura principale per sostenere le partite iva in questa situazione emergenziale è stato il bonus di 600 euro introdotto nel mese di marzo, e che dovrebbe esserci anche per aprile. Si tratta di un intervento importante, i lavoratori autonomi non hanno mai avuto una copertura di questo tipo, e anche a livello simbolico è molto importante. Da solo certamente non basta. Il prossimo obiettivo è ottenere il rinvio del pagamento delle imposte e dei contributi che sono in scadenza, molte persone hanno seri problemi di liquidità.

Altro ambito su cui lavorare sarebbe la definizione di compensi minimi ed equi per i diversi settori in cui operano i freelance. Questa misura, già importante prima per ridurre la sfrenata competizione al ribasso in alcuni settori (ad esempio quello editoriale), può diventare ancora più importnate in un contesto emergenziale dove potrebbero essere offerti compensi ancora più bassi.

In ogni caso questa emergenza ha fatto veniere a galla che è necessario prevedere ammortizzatori sociali anche per i lavoratori autonomi, cosa prima non scontata. È difficile, perché la situazione è frammentata e le esigenze molteplici però è un bisongo che va affrontato e a cui vanno date risposte anche di medio-lungo periodo.

Come comportarci con le nuove misure di sicurezza sul lavoro?

Le misure di sicurezza sul lavoro cambieranno drasticamente: sanificazione, distanziamento, nuovi dispositivi di sicurezza, misurazione della febbre, divisori tra le postazioni di lavoro, dispenser di disinfettanti, necessità di ridurre al minimo gli incontri ravvicinati e gli oggetti da toccare. Queste e altre misure sono previste in due protocolli siglati da tutte le parti sociali, va detto senza polemica, e sono misure che vanno declinate in base al singolo contesto di lavoro.

È un cambiamento straniante ma necessario. Dobbiamo essere pronti ad attuare queste norme, non si può fare un trade-off tra salute e lavoro: il lavoro deve essere fatto in sicurezza totale. Certamente sono misure che richiedono investimenti, più o meno grandi a seconda delle situazioni. Responsabilità di fare questi investimenti per mettere a norma i luoghi di lavoro sono i datori di lavoro. Si potrà ragionare su aiuti economici ma, anche in assenza di questi, i datori di lavoro sono tenuti a garantire il rispetto di queste misure di sicurezza. In questo c’è un ruolo dello Stato che non dovrà essere solo un controllore ma anche facilitatore.

Lo smart working diventerà la regola?

Quello che stiamo praticando ora in massa è un home working, un lavoro da casa forzato che non corrisponde ai principi dello smart working. Questa situazione tuttavia ci sta facendo sperimentare molte novità. Si tratta di una prassi che probabilmente rimarrà, ma occore fare un cambiamento, porre delle precondizioni di tipo culturale, organizzativo e digitale. Ci vuole una infrastruttura tecnologica per abilitare queste forme, ma molto più importante è l’aspetto culturale-organizzativo, l’introduzione di un cambio di mentalità e modalità organizzative in tutti i soggetti coinvolti: imprenditori, pubbliche amministrazioni, dipendenti, sindacati.

La pubblica amministrazione è un esempio interessante. Prima della pandemia, solo il 16% delle PA italiane aveva avviato sperimentazioni di smart working, oggi invece l’80% dei dipendenti pubblici è in smart working. È una situazione emergenziale, molti non riescono a fare vero smart working, perché non c’è libertà di scelta e accordo sugli obiettivi. Però è un punto di partenza, e il ministro della pubblica amministrazione Fabiana Dadone ha dichiarato di voler arrivare al 40% di dipendenti pubblici che praticano forme di smart woking anche dopo l’emergenza.

Come fare? Bisogna concordare con i dipendenti un piano e degli obiettivi su cui lavorare, mettendo al centro il benessere della persona, quindi limitare gli orari e definire spazi e momenti di lavoro, e definire quali sono i tempi, gli obiettivi, gli strumenti digitali da utilizzare in smart working

Politiche attive del lavoro

Un ambito importante su cui agire è quello delle politiche attive del lavoro, che purtroppo in Italia sono poco sviluppate e oggi servirebbero molto. Si tratta dell’insieme di misure e interventi per accompagnare le persone che sono fuori dal mercato del lavoro o ai suoi margini ad accedere al mercato del lavoro. Per farlo bisogna che le istituzioni deputate funzionino bene: i centri per l’impiego invece in Italia funzionano male, perchè sono sempre stati poco supportati. Occorre quindi far funzionare i centri per l’impiego, dotarli di risorse umane ed economiche e di strumenti, far funzionare il matching tra domanda e offerta di lavoro, attivare e rafforzare i servizi di orientamento e formazione.

Occorre anche fare rete con i nuovi attori del mondo del lavoro, come gli spazi di coworking, a cui si rivolgono molti freelance e che fanno a livello informale azioni di orientamento e accompagnamento, anche perché si trovano poche competenze nei centri per l’impiego su questi nuovi percorsi professionali che però sono sempre più diffusi. Un’azione di rete quindi per supportare tutte quelle persone che sono escluse dal mercato del lavoro, e che si teme aumenteranno in seguito alla pandemia.

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