Ecoansia: cos’è, come nasce e chi ne soffre di più7 min read

14 Luglio 2023 Clima Giovani Salute -

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Educatore

Ecoansia: cos’è, come nasce e chi ne soffre di più7 min read

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L’ecoansia è la percezione costante che qualcosa di terribile e irrimediabile stia minando l’integrità ecologica del Pianeta. Ad oggi non la si può considerare una patologia, ma in certi casi può interferire con la vita quotidiana fino a sfociare in attacchi di panico, disturbi d’ansia o depressione.

Questa condizione riguarda principalmente le giovani generazioni, e in maggior misura le ragazze. Sebbene sia forse la più nota negli ultimi tempi, l’ecoansia fa parte di una serie di emozioni ambientali, positive e negative, teorizzate dal filosofo australiano Glenn Albrecht.

La crescente diffusione dell’ecoansia, oltre che al cambiamento climatico in quanto realtà, è dovuta al modo in cui viene gestita la comunicazione delle notizie a tema ambientale, spesso catastrofista e superficiale.

Ecoansia: Un fenomeno in crescita

L’ansia da cambiamento climatico può derivare da un evento traumatico vissuto in modo diretto, come un’inondazione improvvisa o una frana, oppure insorgere gradualmente da una continua esposizione a fenomeni ripetuti o progressivi, come la desertificazione o l’innalzamento del livello del mare. Infine, anche laddove gli effetti del surriscaldamento globale sembrano essere meno violenti, l’ecoansia può essere alimentata da un’informazione connotata negativamente e poco attenta alla complessità dei fenomeni climatici.

Quale che sia la causa scatenante, si tratta di una realtà in crescita. Secondo uno studio pubblicato su The Lancet, che ha coinvolto migliaia di giovani tra i 16 e i 25 anni, il 59% dei ragazzi e delle ragazze sono molto o estremamente preoccupati per il cambiamento climatico. Oltre il 50% riporta di provare tristezza, ansia, rabbia, senso di impotenza e senso di colpa. Per quasi la metà di loro (45%) queste emozioni colpiscono direttamente la quotidianità, interferendo con le attività di gioco, lo studio, il sonno e le abitudini alimentari.

Sono dati rilevanti, considerato che stiamo parlando di persone che stanno ancora costruendo la propria personalità. È un problema di orizzonte: perché impegnarsi nel presente se il futuro è compromesso, o quantomeno incerto? Perché investire le proprie energie e il proprio talento in attività produttive che quasi sempre vanno ad aggravare la situazione, ad esempio attraverso nuove emissioni di CO2?

In questo senso, fa riflettere un altro dato emerso dallo studio: 4 giovani su 10 non sono sicuri di voler avere figli. Il motivo non è da cercarsi solo in un legittimo moto di autodeterminazione, ma anche nella consapevolezza che l’aumento demografico globale è una delle cause dell’aumento delle emissioni di CO2.

Le speranze verso il futuro vacillano, così come la fiducia verso le classi dirigenti: gli intervistati e le intervistate giudicano inadeguate le risposte dei governi ai cambiamenti climatici e riportano sentimenti di tradimento da parte di chi ha il potere decisionale.

Ci sono ovviamente delle differenze tra i diversi Paesi presi in esame. Se nelle Filippine, ad esempio, il numero di ragazzi e ragazze molto o estremamente preoccupati per il clima arriva all’84%, negli Stati Uniti – tra i maggiori responsabili dell’eccessivo consumo di risorse – si ferma al 46%.

ecoansia
@unsplash

Nuove parole per una realtà in mutamento

Di ecoansia si parla in modo più esteso da quando ha iniziato a diffondersi su vasta scala la consapevolezza rispetto al cambiamento climatico, anche a partire dalle prime proteste di Greta Thunberg.

Ci si potrebbe chiedere a cosa serva parlare di ecoansia se nel DSM-5 (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) esistono già i disturbi d’ansia, la depressione e molte altre condizioni. Serve, secondo gli studiosi che si occupano della relazione tra gli esseri umani e l’ambiente naturale, perché al mutare costante della realtà muta anche il linguaggio che usiamo per definirla. Questi stati emotivi sono sempre più diffusi e intensi, sia perché è cresciuta l’esposizione diretta al cambiamento climatico, sia perché è aumentata (almeno nei paesi occidentali) la pressione mediatica sul tema.

ecoansia, l'ansia da cambiamento climatico

Ciò che avviene è un accorciarsi della distanza psicologica – ed emotiva – rispetto all’ambiente naturale in cui viviamo. In altre parole: se pensiamo al cambiamento climatico come qualcosa che accade agli altri, in luoghi lontani o in un futuro remoto, saremo poco coinvolti. Magari comprenderemo il problema, riconosceremo la sua serietà, ma emotivamente ci lascerà freddi. Se, al contrario, lo consideriamo un problema presente qui e oggi, o nell’immediato futuro, la cosa inizierà a preoccuparci.

La vicinanza emotiva rispetto a un certo fenomeno non è di per sé problematica. Può anzi portare a conseguenze positive come un coinvolgimento diretto in azioni in difesa del Pianeta, al crearsi di reti sociali e movimenti culturali (uno tra tutti, il Fridays for Future). Tutto dipende, come vedremo, da come l’emotività legata all’ambiente naturale e alle sorti dell’umanità viene incanalata.

A proposito di parole nuove, ecoansia è solo una delle tante, forse quella che al momento ha più risonanza. Già nel 2003 il filosofo ambientale Glenn Albrecht ha coniato il termine solastalgia, ovvero un senso di perdita dovuto alla percezione che l’ambiente in cui si vive stia perdendo le caratteristiche che aveva in passato. Con l’intensificarsi dei fenomeni dovuti al surriscaldamento globale la situazione si è ulteriormente complicata, tant’è che nel 2019 Albrecht ha raccolto in un libro una gamma di emozioni ambientali, positive e negative, innescate in risposta ai cambiamento climatici. Alcuni esempi sono la ecoparalisi, ovvero un senso di impotenza e perdita di speranza; la terrafurie, una rabbia estrema rivolta anche verso le istituzioni che non intervengono in modo adeguato; la eutierria, un’esperienza di benessere indotta da un senso di coesione con la natura.

Come abbiamo detto, l’ecoansia non è inquadrabile come una patologia (non è presente nel DSM-5 e negli altri manuali di riferimento). Lo psichiatra e psicoterapeuta Matteo Innocenti la definisce nel primo episodio del nostro podcast Ventitrenta (che puoi ascoltare qui sotto) “una patologia sottosoglia” ancora oggetto di dibattito scientifico. Una condizione, però, che quando si intensifica si trasforma in vera e propria ansia, fino a sfociare in attacchi di panico, disturbo d’ansia generalizzata e altre condizioni descritte dal DSM-5. Ed è proprio quando l’ansia inizia a influire sul benessere quotidiano delle persone che può essere utile rivolgersi a uno psicoterapeuta preparato su questi temi.

Ascolta “Ecoansia: La ragazza che rinuncia ai mondiali per salvare il Pianeta” su Spreaker.

Il ruolo della comunicazione e dell’educazione ambientale

L’ecoansia colpisce soprattutto le giovani generazioni, che più di altre sono consapevoli delle conseguenze del surriscaldamento globale e, allo stesso tempo, più di altre dovranno farci i conti in prima persona, nel loro immediato futuro. Eppure, spesso, proprio i giovani sono stigmatizzati per il loro attivismo, per la loro “ingenua emotività”, senza considerare che le loro conoscenze e competenze – anche emotive – potrebbero essere una risorsa per tutti.

In questo scenario hanno una grande responsabilità l’educazione ambientale e l’informazione. Se da una parte queste attività portano effetti positivi, come l’aumento di consapevolezza e di partecipazione ad azioni in difesa dell’ambiente, dall’altra possono portare a situazioni in cui le emozioni negative prendono il sopravvento, sfociando negli effetti negativi di cui abbiamo parlato sopra.

Un suggerimento utile a chi fa educazione ambientale, o si occupa di comunicazione, è quello di proporre a una narrazione positiva. Senza sottostimare o nascondere problemi e pericoli, è possibile far prevalere l’idea di una riconnessione con la natura piuttosto che la paura degli eventi estremi o la necessità di privarsi del benessere per preservare l’ambiente. Gli effetti positivi di questo tipo di narrazione non si limitano al benessere dei destinatari: se si impara a rispettare la natura, infatti, difficilmente si farà spreco di risorse.

Un’altra accortezza per suscitare reazioni positive dalla narrazione del cambiamento climatico è quella di raccontare eventi e situazioni locali anziché storie – per quanto evocative – che riguardano terre lontane. In questo modo, pur accorciando la distanza psicologica, si sarà più portati a vedere la tangibilità del problema e sarà più facile riconoscersi in una comunità di persone decise ad agire per arginarlo.

Infine, a proposito di comunicazione, non va dimenticato che la “vera notizia”, il “vero nemico”, non è l’ecoansia che monta nelle giovani generazioni, ma ciò che la causa in prima battuta: il surriscaldamento globale alimentato dalle attività umane. Se si vuole “guarire” l’ecoansia, più che i giovani, bisogna curare il Pianeta.

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Educatore professionale e formatore, ha lavorato in diversi ambiti del terzo settore. Nel suo lavoro mescola linguaggi e strumenti per creare occasioni di crescita personale attraverso esperienze condivise. Per Le Nius scrive di temi sociali e non profit.
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