Migranti climatici | Storia di Sulman, fuggito dal Pakistan a causa di inondazioni e violenze6 min read

24 Novembre 2022 Clima Migrazioni -

Migranti climatici | Storia di Sulman, fuggito dal Pakistan a causa di inondazioni e violenze6 min read

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Sulman nasce in un villaggio nel nord-est del Pakistan, nella regione del Punjab. I suoi genitori coltivano la terra e allevano animali mentre lui cresce, gioca a pallavolo e si rende utile in casa. Gente povera, secondo i criteri occidentali, ma che riesce a vivere del proprio lavoro.

Il Pakistan, però, è uno di quei paesi che più di altri si stanno misurando con gli effetti del riscaldamento globale. Lo abbiamo visto anche di recente, nell’estate 2022, quando l’ennesima stagione di inondazioni ha causato oltre 1 milione di case danneggiate, quasi mezzo milione di persone sfollate e almeno 1.200 morti. Questi eventi recenti, in Pakistan, non sono nulla di nuovo o inaspettato: eventi particolarmente estremi sono sempre più frequenti a partire almeno dal 2003.

Nella vita di Sulman tutto questo presenta il conto più salato nel 2018, quando un’inondazione rende incoltivabili i campi della sua famiglia, togliendole la principale fonte di sussistenza. È già da tempo che questa situazione dà loro dei problemi, causando continue liti con uno zio, proprio a causa di quei terreni divenuti sempre più infertili e limitati.

Nello stesso periodo accade qualcosa che spaventa molto Sulman: un suo amico, con cui gioca a pallavolo, viene ucciso in una rissa. Le sempre più frequenti inondazioni e questo fatto di cronaca nera potrebbero sembrare completamente slegati, e forse in questo caso specifico lo sono. Eppure, sebbene il modo in cui i cambiamenti climatici influiscono sull’intensificarsi della violenza sia complesso da spiegare, più evidente è il nesso tra la scarsità di risorse che ne consegue e la nascita di nuovi conflitti.

Così i genitori di Sulman vendono quel che resta della casa e degli animali e lo spingono a partire verso l’Europa. Il ragazzo, che ha poco più di vent’anni, riempie lo zaino di cibo, acqua e vestiti, anche se a pesare di più sono la paura e il senso di responsabilità verso chi ha investito su di lui denaro e fiducia. Prende un treno per Quetta e da lì inizia a camminare lungo la rotta che lo porterà in Italia.

La storia di Sulman, raccontata nel Podcast “Rotta climatica, storie di migrazioni e riscaldamento globale”, è esemplificativa di un fenomeno sempre più diffuso in tutto il mondo, con il quale tutti e tutte dovremo misurarci nei tempi a venire: quello delle migrazioni climatiche.

Sulman è un migrante climatico, anche se non ne è perfettamente consapevole. Lui sa soltanto che in Pakistan non aveva prospettive per il futuro, che non si sentiva al sicuro. Di clima, forse, ha sentito parlare poco, soprattutto una volta arrivato a destinazione. Come spiega nel podcast Chiara Lucchini, operatrice legale del Centro Astalli di Trento, spetta a chi si occupa di migrazioni, a tutti i livelli, mettere insieme i pezzi e collegare cause ed effetti.

Migrante climatico, profugo o rifugiato ambientale e tutte le altre varianti, infatti, sono concetti relativamente nuovi per i non addetti ai lavori e, come spiega la giornalista Francesca Santolini nel podcast Rotta climatica, lo sono anche per il diritto internazionale. I migranti climatici, infatti, pur fuggendo da situazioni che mettono a rischio la loro sopravvivenza o l’accesso a beni e servizi di base, non possono definirsi rifugiati. Il termine “rifugiato” fa riferimento a una categoria giuridica individuata dalla Convenzione di Ginevra del 1951 e indica coloro che partono a causa di persecuzioni per motivi di “razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche”. Le cause ambientali, ad oggi, non fanno parte dell’elenco. Insomma, i rifugiati climatici per la legge non esistono, ma sono sempre di più e richiederebbero un adeguamento normativo.

Un tentativo di definizione è stato fatto nel 2007 dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), secondo cui i migranti climatici sono coloro che, a causa un cambiamento nell’ambiente che influenza negativamente le loro vite, lasciano le proprie case e si spostano in cerca di condizioni più favorevoli. Questi cambiamenti possono essere improvvisi, come inondazioni o frane, oppure progressivi, come la desertificazione o l’innalzamento del livello del mare. Gli spostamenti possono avvenire all’interno dello stesso paese (cosa che ad oggi accade nella maggioranza dei casi), oppure verso l’estero. Infine, la migrazione può essere temporanea, oppure durare per sempre.

Il Pakistan è solo uno dei paesi ad oggi più interessati dagli effetti dei cambiamenti climatici e dalle migrazioni che ne conseguono. Al momento tra le aree più sensibili troviamo l’Amazzonia, il Sahel, le aree tropicali dell’Africa occidentale, l’Indonesia e la parte orientale dell’Asia centrale.

È soprattutto in questi luoghi, in cui i problemi legati al clima incontrano situazioni di vulnerabilità già conclamata, che persone come Sulman si trovano costrette a partire, affrontando viaggi molto rischiosi, spesso sprovviste dei visti necessari per attraversare i confini e delle risorse per sopravvivere.

migranti climatici

Da Quetta fino al confine con l’Iran, Sulman viaggia a piedi per circa cinque giorni, con uno zaino pieno di scorte e provviste. Provviste che però finiscono in fretta. All’inizio sono circa in 40, tutti maschi, mentre dall’Afghanistan in poi si uniscono intere famiglie. Da qui il viaggio di Sulman, attraverso quella che viene definita rotta balcanica, si svolge per lo più a piedi, o su veicoli messi a disposizione dai trafficanti. Si tratta di automobili, pickup o piccoli furgoni su cui vengono ammassate molte più persone di quante ce ne possano stare.

“Nel viaggio sei preoccupato, e tanto teso” racconta Sulman nel podcast Rotta climatica. “Non tutti sopravvivono. Passano giorni dove magari non mangi niente, anche dieci giorni. Stai attraversando posti che non conosci, senti delle voci che non sai cosa siano. Quindi sei lì che speri solo di riuscire ad arrivare.”

Al confine tra Iran e Turchia, racconta Sulman, c’è una lunga scalata da fare. Su quella montagna, rimasto senz’acqua, si lascia cadere a terra. Resta seduto per un’intera notte, spaventato dai suoni di una natura che non conosce e che sente minacciosa. In quelle ore pensa che morirà lì, come tanti altri prima di lui. A salvarlo è forse il gesto di un compagno di viaggio, che gli regala un po’ della sua acqua.

Passato il confine, per qualche tempo di Sulman si perdono le tracce. Come da prassi in questo tipo di migrazioni, molto probabilmente si ferma in Turchia, o in Grecia, per lavorare e risparmiare i soldi per continuare il viaggio.

Arriva in Italia di notte, a Trieste. Il suo obiettivo è sempre stato l’Italia perché, spiega “Io volevo solo andare in un posto in cui sentirmi al sicuro.” Da lì si sposta verso Trento, dove prova a fare richiesta di asilo. Nel colloquio in cui deve spiegare alla Commissione i motivi per cui è partito, Sulman racconta della morte dell’amico, ma anche delle inondazioni, dei campi non più coltivabili e dei conflitti che ne sono seguiti. La sua richiesta, però, viene rifiutata. Come abbiamo detto, le cause climatiche non sono ad oggi riconosciute come valide per ottenere asilo. Aiutato dagli operatori del Centro Astalli, Sulman è costretto a fare ricorso.

Oggi Sulman vive a Trento in una struttura gestita dal Centro Astalli, lavora e gioca a pallavolo. “Ho una moglie in Pakistan, da sola” racconta “non ci vediamo da quattro anni e sono molto preoccupato per lei. Vorrei solo prendere i documenti e restare qui. La mia famiglia è tutta in Pakistan e vorrei farli venire.”

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1 Commenti
  1. IB

    Spett. redazione, in questo articolo dichiarate che " le cause climatiche non sono ad oggi riconosciute come valide per ottenere asilo", ma in effetti sono previste dal decreto 130/2020.Visto che a Sulman è stato negato il permesso di soggiorno, non è una questione di vuoto normativo. Occorre invece capire i motivi per cui lui non soddisfa i requisiti di legge.Voi affermate che ci sia un "nesso tra la scarsità di risorse" e "la nascita di nuovi conflitti". Avete considerato che la crescita nella competizione per le risorse potrebbe essere stata causata anche dalla crescita della popolazione, passata da 45mln nel 1960 a 225mln nel 2021?

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