Tornando da Gerusalemme4 min read
Reading Time: 4 minutesPaolo Dell’Oca, uno dei fondatori di Le Nius, è appena stato a Gerusalemme: lo intervistiamo per sapere com’è andata, e qualche riflessione su ciò che ha visto e ascoltato.
Ciao Paolo, cominciamo dall’inizio, perché sei andato a Gerusalemme a sei mesi dal 7 ottobre 2023 e dall’inizio della distruzione di Gaza?
Perché non si sa da che parte cominciare a fare la pace. Perché volevo saperne di più. Perché Fondazione Ambrosianeum ha saputo e voluto creare l’occasione. Per portare i nostri corpi in una situazione di conflitto, un segno, come avevamo fatto con Fondazione Arché e con il Movimento Europeo di Azione Nonviolenta in Ucraina.
Il Cardinale Carlo Maria Martini in occasione della Seconda Guerra del Golfo aveva detto che intercedere “letteralmente significa fare un passo in mezzo, fare un passo in modo da mettersi nel mezzo di una situazione. Intercessione vuol dire allora mettersi là dove il conflitto ha luogo, mettersi tra le due parti in conflitto”. Non è che si possa fare sempre e per tutti i conflitti.
Se tutti quelli che ne avessero la possibilità partissero sarebbe un segnale forte e sono contento di far parte di organizzazioni e di comunità che si aprono la testa per cercare, nel nostro piccolissimo, sentieri di pace.
Ci racconti brevemente in cosa è consistito il viaggio?
Da lunedì a giovedì, tre notti a Gerusalemme ma una giornata a Betlemme. In 20, tutti partiti da Milano, abbiamo incontrato alcuni testimoni privilegiati di quello che sta accadendo, tra cui il Cardinale Pizzaballa, Patriarca Latino di Gerusalemme, p. Francesco Patton, Custode di Terrasanta, le Suore Dorotee dell’Istituto Effatà Paolo VI, una giornalista italiana e una israeliana, Suor Sandra Castoldi, p. Ibrahim Faltas, Anton Salman, sindaco di Betlemme, e abbiamo sostato una mattina presso la comunità Neve – Shalom.
Questi incontri, densi di emozioni e informazioni, sono stati intervallati a visite ad alcuni luoghi sacri (il sepolcro, il santuario della nascita, Nicopolis, l’orto degli ulivi, la tomba di Maria, il Golgota) nella totale assenza dei turisti. Tecnicamente per noi si è trattato di un pellegrinaggio, insaporito da tanti scambi con le compagne e i compagni di viaggio, come avviene solitamente in queste situazioni in cui il gruppo moltiplica gli sguardi e i pensieri.
Diverse strade principali bloccate, navigatori inutilizzabili, giovani militari in giro per Gerusalemme hanno fatto da contorno a giornate in cui le storie personali più drammatiche che mi han raggiunto sono state quelle dei bambini intrappolati in un incubo, in cui temono di perdere i genitori, la vita, la casa.
Hai capito qualcosa di più della situazione attuale?
Sì, ho compreso maggiormente il punto di vista israeliano, l’ansia per gli ostaggi, il sentirsi violati dal terrorismo. La tragedia umanitaria (l’ONU decreterà se sia definibile genocidio o meno, ma non è questo che) in atto nella Striscia di Gaza mi era più chiara, ma ascoltarne le testimonianze mi sconvolge. Sono due punti di vista (a loro volta frammentati in una miriade di posizioni) distantissimi che condividono una terra che sta tra tre continenti e tre religioni. Il centro di un mondo. Pensavo che la situazione fosse disperata, l’ho trovata peggiore.
Credi da qualche parte possa nascondersi una credibile speranza di pace?
Sì. Ma dove? E non sembra questo il momento di parlare di pace. Da più interlocutori ci è stato ripetuto di riferirsi al “termine del conflitto”. La pace arriverà molto dopo.
Un episodio che credi valga la pena condividere?
Ce ne sono diversi. Ad un certo punto eravamo nella parte vecchia di Gerusalemme, nel quartiere armeno. Poco distante da noi passeggiavano due ragazzi tipicamente palestinesi. La loro camminata, le loro voci, mi parevano volutamente provocatorie e attiravano gli sguardi di chiunque. Non è successo nulla d’altro in quel momento, ma mi ha lasciato addosso molte domande. Perché lo facevano? Fino a quando avrebbero potuto comportarsi così senza causare reazioni nella popolazione ebrea israeliana? Non ero mai stato in Israele e in Palestina, e una scena del genere forse avrebbe fatto scalpore anche prima.
Una ricorrenza che mi ha colpito è come la gran parte di chi ci parlava, esponendosi, lo faceva soltanto dopo essersi assicurato che non avremmo pubblicato o condiviso le sue parole (tra noi c’erano alcuni giornalisti).
È un viaggio che, con tutte le attenzioni del caso, suggeriresti?
Con tutte le attenzioni del caso, e serie organizzazioni alle spalle.