Il terrorismo nel mondo attraverso i dati12 min read
Reading Time: 10 minutesIl terrorismo è un fenomeno che esercita una presa emotiva molto forte, e il rischio in questi casi è di affrettarsi in analisi poco lucide. Per questo ci vengono in soccorso i dati, che ci offrono utili spunti e strumenti di riflessione per analizzare il terrorismo nel mondo dal punto di vista storico e geografico.
Terrorismo nel mondo: una panoramica
Il Global Terrorism Data Base classifica tutte le azioni terroristiche dal 1970 ad oggi secondo il seguente criterio: “l’uso minacciato o effettivo della forza e della violenza illegale da parte di un attore non statale per raggiungere un obiettivo politico, economico, religioso o sociale attraverso la paura, la coercizione o l’intimidazione”.
Secondo questo criterio dal 1970 al 2018 sono 416 mila le persone rimaste uccise in attacchi terroristici e 537 mila quelle ferite, di cui quasi la metà uccise nell’ultimo decennio. In sintesi, tra vittime e feriti siamo quasi ad un milione di soggetti colpiti in quasi 50 anni.
Gli attacchi terroristici cominciano ad aumentare in maniera significativa a partire dall’inizio degli anni ottanta, con una media annuale costante intorno alle 6-7 mila vittime fino al 2009 incluso. Anche il numero di soggetti colpiti (morti e feriti) cresce costantemente: 116 mila nel decennio 1980-89; 144 mila tra il 1990-1999; 214 mila tra il 2000-2009.
Nel periodo 2010-2018 il numero di soggetti colpiti sale in maniera esponenziale fino a circa 460 mila. Dato ancor più drammatico se si considera che questi valori rappresentano il 48% del totale dei colpiti dal 1970.
Terrorismo nel mondo: il biennio 2017-2018
Per un’analisi storica dell’evoluzione del terrorismo nel mondo tra il 1970 e il 2016 rimandiamo alla pagina 2 di questo articolo, ci concentriamo invece qui sulle ultime evoluzioni del fenomeno.
A fronte dei dati impressionanti citati in apertura, si registra una notizia positiva: dal 2014 – peggior anno di sempre con ben 45 mila morti – il numero delle vittime di azioni terroristiche è in continuo calo: 38 mila morti nel 2015, 25 mila nel 2016, 19 mila nel 2017, 13 mila nel 2018.
I paesi musulmani continuano a concentrare il maggior numero di vittime: sia nel 2017 che nel 2018 circa il 70% delle uccisioni di civili riguarda residenti in nazioni a maggioranza islamica.
In questo scenario l’Afghanistan rimane il principale teatro di operazioni terroristiche: circa 9 mila le vittime complessive tra il 2017 e 2018, pari a un quarto di tutti i morti causati dal terrorismo nel mondo.
Un paese in cui sono impegnati anche circa 800 uomini delle forze militari italiane all’interno della missione NATO, e che dal 2001 ad oggi ha visto tra l’altro una spesa per l’Italia di un budget complessivo di quasi 7 miliardi di euro.
Si registra invece un importante calo di vittime del terrorismo in Iraq, da 4.271 nel 2017 a 1.118 nel il 2018, complice la sconfitta dell’Isis e della sua capacità di azione.
Anche per quanto riguarda l’Unione Europea, che negli ultimi anni ha visto diverse città colpite da attacchi terroristici, vi è una notevole diminuzione del fenomeno: dal picco del 2015 con 149 morti ai 13 del 2018.
In Europa rimane aperta la questione degli ex foreign fighters, ossia i cittadini europei partiti per combattere la guerra civile in Siria nelle file dell’Isis, stimati in circa cinquemila, di cui 1,5 mila sarebbero di ritorno nelle rispettive nazioni. Su questo tema è aperto un ampio dibattito rispetto al tipo di approccio da seguire, se deve prevalere cioè un atteggiamento penale e sanzionatorio o se è preferibile un processo di riabilitazione dei soggetti all’interno della società civile.
Gli attacchi terroristici peggiori di sempre
Le stragi con il maggior numero di vittime sono attribuite a gruppi jihādisti quali Al-Qaeda (attentato delle Torri Gemelle) e Isis (massacro di Camp Speicher, nome della base dell’aereonautica irachena dove furono uccisi sommariamente migliaia di soldati iracheni). Tuttavia nel corso di quasi 50 anni si sono registrati massacri compiuti da diverse tipologie di organizzazioni: nazionaliste, indipendentiste, guerrigliere, reazionarie, che per raggiungere i loro obiettivi hanno utilizzato l’opzione del terrorismo.
La tabella seguente riporta i 10 maggiori attacchi terroristici per numero di vittime, riportando anno, luogo, organizzazione e numero di morti causati.
2001 | New York, USA | Al-Qaeda | 2.765 |
2014 | Tikrit, Iraq | Isis | 1.700 |
1994 | Gikoro, Ruanda | Estremisti Hutu | 1.180 |
2014 | Badu, Iraq | Isis | 670 |
2017 | Mogadiscio, Somalia | Al-Shabaab | 588 |
2004 | Dhading, Nepal | Partito Maoista | 518 |
2014 | Siria | Isis | 517 |
2014 | Sinjar, Iraq | Isis | 500 |
2016 | Palmyra, Siria | Isis | 433 |
1978 | Abadan, Iran | Mek | 422 |
Terrorismo nel mondo: Conclusioni
Osservando i dati fin qui proposti, circa il 70% di tutte le vittime del terrorismo mondiale ricade in soli 15 paesi e tra questi non vi sono paesi europei, mentre le nazioni maggiormente colpite da azioni terroristiche sono l’Iraq e l’Afghanistan, che totalizzano insieme oltre centomila vittime.
Dato ancora più drammatico se si considera che entrambi i paesi sono stati oggetto di interventi militari di coalizioni internazionali a guida statunitense, che durante gli anni si sono rivelati disastrosi e drammatici per la sicurezza e la stabilita di quei paesi, dando il via poi a una escalation terroristica senza precedenti.
Il grafico riporta il numero delle vittime per ogni azione terroristica in ciascun paese. Non è detto che i soggetti colpiti siano cittadini di quel paese, ad ogni modo abbiamo un quadro piuttosto significativo. Ai dieci paesi indicati seguono Algeria, Nicaragua, Somalia, Filippine e Yemen.
Sembra quindi esserci una forte correlazione tra conflitti militari in corso e attentati terroristici, come si può leggere a pagina 42 del rapporto Global Terrorism Index 2018:
C’è una forte correlazione tra l’intensità di un conflitto e terrorismo. Infatti nei paesi dove i conflitti sono più intensi si registra anche un più alto numero di morti da terrorismo; e la maggior parte di questi si verificano in paesi in stato di guerra.
Esemplare il caso dell’Afghanistan. Secondo l’ultimo rapporto delle Nazioni Unite (pdf) nel conflitto che vede contrapposte le forze governative e americane contro le forze ribelli talebane sono stati 1.773 i civili colpiti nei primi tre mesi del 2019: 581 morti e 1.192 feriti. Tra le vittime civili, il 52% è stato provocato da azioni delle forze governative; in particolare il 25% (ossia un civile su quattro) dalle forze militari internazionali. Paradossalmente, coloro che dovrebbero pacificare il paese hanno prodotto un maggior numero di civili uccisi delle forze terroristiche sul campo.
Più in generale, il fenomeno terroristico è in una fase di diminuzione, con diversi teatri di massacri quasi quotidiani nel corso degli anni che sono andati verso un processo di normalizzazione: si pensi a Belfast o Medellin, che in seguito ai faticosi processi di pace avviati in Irlanda del Nord e Colombia tra le istituzioni e le forze ribelli dell’epoca (l’I.R.A e le Farc) oggi sono città in ripresa sia dal punto di vista economico che culturale.
È quindi evidente l’importante ruolo che gioca la politica: laddove questa, con tutti i suoi limiti, si riappropria della sua autorevolezza, delle sue funzioni e capacità per dirimere e risolvere le cause dei conflitti, nel lungo periodo i risultati tendono a vedersi.
Viceversa, laddove gli interessi geopolitici diventano prioritari, e si combatte il terrorismo solamente sul piano militare e securitario, senza rimuovere le cause sociali all’origine e crescita dei movimenti terroristici, c’è il forte rischio di peggiore la situazione.