E chi lavora nel mondo della cultura?12 min read
Reading Time: 10 minutesMusica, teatro, cinema e danza sono tra i settori più colpiti dalla crisi provocata dal covid-19. Il 15 giugno è prevista la riapertura di cinema e teatri ma c’è forte incertezza sulla sostenibilità economica di attività che vedranno il loro pubblico più che dimezzato.
Secondo la Fondazione Centro Studi Doc, che svolge attività di ricerca e documentazione in particolare sulle professioni artistiche, il 90% di lavoratori e lavoratrici dello spettacolo (circa 300 mila persone) in Italia non sta svolgendo le abituali attività professionali.
Le misure del “pacchetto cultura” del DL Rilancio, in vigore dal 20 maggio, prevedono circa 1 miliardo tra fondi, esenzioni e sussidi a sostegno del mondo dell’arte. Ma le perdite del settore dello spettacolo nel 2020 supereranno il miliardo e mezzo di euro e, come vedremo, non tutti i lavoratori del ramo sono coperti dall’indennità dei 600 euro, prorogata per aprile e maggio.
La producer cinematografica Francesca Bennett, il sassofonista Piergiorgio Elia, la cantante Marcella Malacrida, il manager musicale Francesco Italiano, il cantautore Angelo Sicurella, il produttore musicale Filippo Costantini, l’attrice Arianna Scommegna, la danzatrice Valeria Russo ci hanno fornito il loro punto di vista sullo stato del mondo dell’arte ai tempi del coronavirus.
Tutti i dubbi del mondo del cinema
Le piattaforme di film e serie tv streaming sono state le uniche aziende dell’audiovisivo a beneficiare del lockdown. Netflix ha registrato un incremento di 15,8 milioni di iscritti nei primi tre mesi del 2020 con un aumento degli abbonati del 22,8% rispetto al 2019. Al contrario, nel settore cinematografico, che in Italia occupa oltre centomila persone, si stimano 100 milioni di danni per ogni mese di fermo.
Favolacce dei fratelli D’Innocenzo, I Miserabili di Ladj Ly, Buio di Emanuela Rossi sono alcune delle nuove produzioni che sarebbero dovute uscire nei cinema e invece sono state inaugurate sulle piattaforme online.
“Questi film potranno essere rilanciati al cinema dal 15 giugno?”, Francesca Bennett, producer di Okta Film, piccola casa di produzione cinematografica milanese teme che “la pandemia possa contribuire all’ascesa delle piattaforme streaming a svantaggio dei cinema accelerando un processo già in atto prima della crisi”.
A sostegno del cinema si è mobilitata ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediali) che, facendo appello al MiBACT (Ministero dei Beni e le Attività Culturali e per il Turismo) ha lanciato per quest’estate l’iniziativa Moviement Village, con l’obiettivo di creare arene all’aperto per la visione di film in tutta Italia.
Durante il lockdown è inoltre nato Miocinema, un’iniziativa che consente di vedere film in streaming a pagamento, scegliendo un cinema della città per potergli conferire una percentuale del biglietto.
C’è ancora molta incertezza sulle norme e sulla sostenibilità economica della riapertura delle sale annunciata per il 15 giugno. Ma il blocco del cinema riguarda anche i set: non ci sono ancora protocolli sanitari per poter ricominciare a girare.
“La maggior parte delle produzioni ferme da febbraio si sta organizzando per ricominciare a girare non prima del 2021” ci racconta Francesca Bennett. “Producendo prevalentemente documentari o film che coinvolgono poche persone, per noi sarà molto più semplice rispettare le norme sanitarie e tornare a lavorare sul set. Per via della maggiore facilità nel limitare il contagio con équipe ridotte, questa crisi potrebbe avere l’effetto positivo di stimolare piccole produzioni documentaristiche e realistiche”.
Pandemia e cultura: produrre e distribuire arte online
La forma documentaristica si adatta bene alle esigenze attuali. Il regista Gabriele Salvatores si è cimentato in un documentario dal titolo Viaggio in Italia, che narra il nostro Paese dall’interno delle case durante il lockdown. Un’idea simile hanno avuto MIR Cinematografica e Milano Film Festival con Instant Corona, titolo del film collettivo dedicato alla vita durante la pandemia, frutto del contributo di diversi artisti italiani.
Nell’impossibilità di esibizioni dal vivo, il mezzo audiovisivo sta diventando essenziale anche per discipline come musica, teatro e danza. Il DL Rilancio, con l’obiettivo di fornire una soluzione al problema della sostenibilità economica di eventi culturali che potranno ospitare meno della metà del pubblico abituale, ha stanziato 10 milioni per la creazione di una piattaforma digitale che trasmetta gli spettacoli online a pagamento.
Il ministro dei beni culturali Franceschini ha ipotizzato che una parte dei biglietti del Teatro alla Scala possano essere disponibili per assistere ai concerti su tale piattaforma a partire dalla riapertura di settembre.
Se la sostenibilità è problematica per i grandi teatri, primi destinatari del FUS (Fondo Unico per lo Spettacolo) – nel 2019 le Fondazioni lirico-sinfoniche hanno ricevuto il 52,69% del FUS, pari a 182.274.000 euro – il tema è ancora più spinoso per le altre realtà artistiche.
“Per quanto non possa essere la soluzione definitiva, l’utilizzo di piattaforme streaming per esibizioni a pagamento potrebbe tamponare parzialmente le difficoltà economiche in cui versano gli artisti” sostiene Marcella Malacrida, cantante e cofondatrice dell’etichetta discografica indipendente Honululu Records.
Tramite una delle piattaforme ideate per assistere a spettacoli in streaming e sostenere gli artisti durante il lockdown, la Honolulu Records organizzerà un concerto al mese con due musicisti in live streaming, il primo dei quali sarà in data 16 giugno.
Questa etichetta è composta da membri sparsi in tutta Europa: “il fatto di essere lontani fisicamente ci ha sempre portato a privilegiare modalità di condivisione e diffusione di contenuti non in presenza. Il progetto Streams in Honolulu Bay è nato cercando di coniugare questa tendenza con l’attuale esigenza di fare concerti in assenza di assembramenti, nell’idea che il pubblico non debba rinunciare alla qualità artistica e a una seppur diversa forma di socialità”.
Per un genere come il rap, che si può produrre con strumenti digitali, la distanza fisica è un problema che è possibile ovviare più facilmente. Filippo Costantini, produttore dell’etichetta indipendente Circostanza, ha fatto notare come “l’home recording (le registrazioni fatte in casa, ndr), spesso accusato di essere corresponsabile della crisi del settore discografico, si è rivelato salvifico per tutti i musicisti che non hanno potuto incontrarsi durante l’isolamento”.
Per molti è stato l’unico modo di continuare a fare musica e ha dato vita a risultati sperimentali. Uno di questi l’EP Hometape, nato dall’unione delle produzioni musicali di Filippo Costantini e delle strofe del rapper Samir, che è stato concepito, prodotto e pubblicato interamente in casa nel periodo di lockdown.
Ok, che fine fanno però gli spettacoli live?
Molti artisti, per i quali l’esperienza live è insostituibile, si stanno mobilitando per poter tornare a suonare al più presto. Tuttavia, più di 100 concerti di nomi di primo livello sono già stati rimandati al 2021 e una riorganizzazione dei live in breve tempo sembra improbabile.
Piergiorgio Elia, sassofonista di diversi gruppi swing, jazz e blues, ha dovuto annullare da qui a settembre circa 4 spettacoli alla settimana e attualmente vive grazie all’insegnamento online.
“Diversi locali hanno organizzato un piano di riapertura in sicurezza che prevede pubblico seduto ai tavoli, postazioni per la band a distanza, barriere di plexiglass tra i componenti”. Per molti musicisti sarebbe possibile tornare a suonare con le dovute precauzioni: “siamo pronti e stiamo lavorando per presentare una proposta al comune: inutile aspettare che se ne occupino le autorità, rischiamo di non tornare a suonare prima del 2021” dice il sassofonista.
Assomusica (Associazione Italiana Organizzatori e Produttori Spettacoli di Musica dal vivo) ha stimato circa 350 milioni di euro di perdite a causa dell’annullamento dei concerti della stagione estiva.
Inoltre, “non potendo promuovere nuovi album con i tour, i musicisti non stanno pubblicando musica nuova” spiega Francesco Italiano, manager della piccola società milanese di produzione musicale Totally Imported, “abbiamo quindi anche un forte calo delle vendite discografiche”.
La SIAE ha stimato una perdita degli incassi per diritti d’autore di 200 milioni di euro per il 2020. La mancanza di novità discografiche è uno dei motivi della riduzione degli ascolti della musica streaming, che è stata in Italia del 20% durante i mesi scorsi, anche perché viaggi e spostamenti, bloccati durante il lockdown, costituiscono parte preponderante dei momenti di ascolto.
Francesco immagina che “un cambiamento delle performance live” potrebbe portare all’organizzazione di “eventi più piccoli ma più frequenti: una band potrebbe esibirsi ogni giorno per una settimana ad un pubblico ridotto ma in sicurezza. Eventi più intimi potrebbero coinvolgere maggiormente gli spettatori e implicare biglietti meno costosi”.
Per quanto riguarda i teatri, la data di riapertura prevista per il 15 giugno pone forti incertezze oltre ai problemi economici: ci sarà un pubblico pronto ad assistere agli spettacoli?
Arianna Scommegna, attrice e socia fondatrice del Atir Teatro Ringhiera di Milano, ha sottolineato che la situazione sanitaria ancora incerta della Lombardia non ha impedito loro di rimanere presenti per la comunità del quartiere Chiesa Rossa: “durante il lockdown abbiamo proseguito i nostri laboratori di teatro in streaming, con la volontà di rimanere un punto di riferimento per gli abitanti della zona”. Con lo stesso scopo “il Teatro Atir sta cercando, in sinergia con il Municipio 5 e con le realtà che operano nella zona, nel rispetto delle disposizioni ministeriali, di organizzare un Festival nel mese di luglio sulla piana di fronte al teatro”.
Una riforma del settore musicale?
“La situazione di crisi creatasi con la pandemia sta fungendo da pretesto per stimolare un cambiamento radicale del mondo musicale”, dice Francesco, che con la società Totally Imported ha aderito al documento promosso da La Musica Che Gira, coordinamento nazionale composto da lavoratori dell’ambito con l’obiettivo di risolvere i problemi strutturali del settore e favorire una riforma. Diverse le richieste a cominciare dal “portare al 4% l’aliquota per dischi e prodotti culturali” come è già per l’editoria. Attualmente hanno un’aliquota del 22% perché non inclusi nei prodotti culturali.
Secondo una ricerca della Fondazione Centro Studi Doc, nei locali e nelle feste popolari solo in un evento musicale su 10 il musicista è pagato in modo regolare e l’impatto dell’economia sommersa legata alla musica dal vivo è di circa 3,5 miliardi di euro (dati del 2018).
Figlia di una normativa anacronistica e difficile da rispettare, l’economia sommersa nella musica coinvolge anche i lavoratori saltuari che vengono chiamati per l’allestimento dei concerti una tantum. Tra le proposte per ridurre i pagamenti in nero, fondamentale è quindi la reintroduzione dei voucher per questo tipo di retribuzione.
La Musica Che Gira richiede inoltre la “creazione di una catalogazione ministeriale delle realtà Extra FUS (…) che talvolta sono rimaste del tutto prive di un sostegno pubblico nei momenti di calamità”. La “creazione di codici ATECO (Attività Economiche) specifici per attività imprenditoriali con finalità culturali” è un altro importante provvedimento. Francesco Italiano ci ha infatti spiegato che la sua partita iva “rientra in altri servizi alle imprese perché non esiste una categoria specifica per i professionisti della musica”.
La (dura) vita dell’artista in Italia
Il Decreto Rilancio ha stabilito la proroga dell’indennità di 600 euro a tutela dei lavoratori dello spettacolo per aprile e maggio. Il bonus è garantito a coloro che hanno totalizzato 7 giorni di lavoro retribuito nel 2019 (il precedente bonus di marzo richiedeva 30 giorni).
Nonostante questo, molti rimangono ancora esclusi dall’indennità. Tra questi i lavoratori intermittenti, che non hanno potuto lavorare in questo periodo ma risultano dipendenti e quindi non possono beneficiare del sussidio. Per questo hanno presentato al governo una lettera aperta di protesta. Ma non sono gli unici esclusi.
Angelo Sicurella, cantautore di musica pop elettronica, afferma: “il problema è che lo Stato italiano non riesce a inquadrare il lavoro atipico del musicista, che implica lunghi periodi di ricerca, composizione e produzione, a cui seguono i tour per promuovere l’album”. Quando si dedica alla scrittura di nuova musica, Angelo vive grazie alla composizione per documentari o istallazioni sonore. Ma anche queste attività prevedono un’intermittenza.
“Lo Stato dovrebbe innanzitutto comprendere la natura intermittente del lavoro artistico”, prosegue Angelo, “per riconoscerlo e capire quali misure adottare ai fini di una tutela dei professionisti di questo settore: molti vivono con meno di 6.000 euro all’anno, considerata dallo Stato italiano la soglia della povertà”.
Il fatto che la Siae abbia creato a fine marzo un “Fondo di solidarietà di emergenza di 500 mila euro per acquistare 2.500 pacchi alimentari da distribuire agli associati in condizioni di indigenza”, già terminati il 21 maggio, rende l’idea delle condizioni in cui versano tanti artisti in Italia.
Questo caso mette in luce un problema che riguarda non solo i musicisti, ma anche i danzatori e gli attori, il cui lavoro è caratterizzato da un’intermittenza temporale ma da una continuità legata alla formazione, alla produzione, alla ricerca, cosa che nel nostro paese implica una condizione di precariato. “La normativa farraginosa del settore artistico, non essendo in grado di riconoscere e regolamentare adeguatamente questo tipo di lavoro, contribuisce ad alimentare un’economia sommersa di lavoro nero”, conclude Angelo.
Verso una riforma del lavoro di artisti e artiste in Italia?
Nel 2007, l’Unione Europea ha approvato lo Statuto sociale degli artisti, che in diversi paesi ha condotto a provvedimenti di riconoscimento e tutela del lavoro atipico di queste categorie. In Francia, per esempio, viene garantita un’indennità agli artisti per via dell’intermittenza che caratterizza il loro mestiere: nei periodi durante i quali si dedicano alla composizione, allo sviluppo di nuove pièce teatrali, al lavoro di nuove coreografie, possono richiedere un sussidio allo Stato.
Valeria Russo è danzatrice e cofondatrice del movimento Lavorator_ della danza, il cui sito web è nato proprio durante questi mesi di isolamento per diffondere informazioni su diritti, tutele e contratti nell’ambito della danza contemporanea.
“Dell’attività dei danzatori viene contabilizzato solo il prodotto finale, lo spettacolo” spiega Valeria, “tutto il lavoro precedente, che comprende, ricerca, sviluppo, prove, raramente è registrato e retribuito regolarmente. Per questo molti danzatori – ma anche attori e musicisti – totalizzano poche giornate di lavoro all’anno retribuite. Il lavoro in nero e le tutele scarse hanno inoltre una dimensione molto rilevante in un settore in cui i lavoratori possono subire infortuni fisici”.
Lo Statuto sociale degli artisti europeo in Italia è stato recepito dalla legge 175 approvata nel 2017. Tuttavia, “all’approvazione della legge non sono ancora seguiti gli opportuni decreti attuativi. Riconoscendo lo statuto atipico dell’artista, l’attuazione della legge stimolerebbe enormi miglioramenti per la tutela del lavoro degli artisti”.
Due anni fa, Valeria Russo aveva aperto con alcuni colleghi il gruppo Facebook CCNL lavorator_spettacolo_danza per favorire una consapevolezza di categoria negli artisti danzatori e diffondere le informazioni del sindacato di riferimento degli artisti (attori, danzatori, musicisti) SLC (Sindacato Lavoratori della Comunicazione) della CGIL.
Con l’avvento della pandemia, 1.500 persone si sono improvvisamente iscritte al gruppo Facebook per ricevere informazioni sulla loro situazione lavorativa e sui bonus di 600 euro. Le richieste continuano ad aumentare, così Valeria e i suoi colleghi hanno deciso di aprire un sito web: “l’emergenza per noi danzatori c’è sempre stata: la pandemia ha creato una situazione fertile per un cambiamento”.
“Stiamo lavorando ad un nuovo CCNL più adatto alle esigenze lavorative dei danzatori. Non esiste la figura del coreografo, non si tiene conto delle ore di riscaldamento e prove, degli spostamenti e dei lavori spesso frammentari e precari a cui siamo sottoposti”. Tra le richieste principali, come si legge negli intenti del movimento “la riforma a lungo termine del settore, a partire dalla legge 175/2017 (Codice Unico dello Spettacolo)”.
La nascita di un serio dibattito sulla legge 175 potrebbe rivelarsi il preludio di una riforma del lavoro di artisti e artiste in Italia. La crisi dovuta al coronavirus potrebbe essere ricordata come il pretesto che ha condotto finalmente ad una maggiore regolamentazione e considerazione dell’arte e della cultura da parte dello Stato italiano.