Le migrazioni e l’etica perduta4 min read
Reading Time: 3 minutesE non è un discorso che riguarda solo le morti in mare e il dovere morale, ben prima che giuridico, che dovremmo sentire a soccorrere chiunque si trovi in difficoltà, a non lasciare persone che soffrono in mezzo al mare così, solo per il gusto politico di farlo, e a far di tutto affinché non si crei la situazione per cui le persone per spostarsi debbano rischiare la vita.
È un discorso più ampio, sul pensiero corto che ci siamo abituati ad avere sulle migrazioni. Ci siamo abituati a guardare all’oggi, alle persone che sbarcano, alla necessità di “gestire il fenomeno”. Ne parliamo anche noi, su Le Nius. Anche noi monitoriamo i flussi delle persone che sbarcano, parliamo di politiche migratorie, diamo i numeri.
C’è bisogno, però, anche di scrivere di persone, di visioni, di etica. Perché tanto, alla fine, tutti i numeri sono persone e tutto si gioca tra le persone.
Ho visto persone di ogni razza, provenienza, etnia, religione incontrarsi e interagire con una facilità disarmante. Ho visto bambini fottersene delle differenze interetniche e giocare a palla insieme, e adolescenti di ogni colore trovarsi tutte le mattine alla fermata dell’autobus.
Ho visto persone mescolarsi, per forza o per amore, e ho visto il mondo diventare un posto più intrigante, almeno io credo, grazie agli spostamenti delle persone e alle convivenze che ne sorgono.
Resto convinto che le persone di qualsiasi razza, etnia, provenienza e religione possano e riescano a vivere insieme. Lo fanno già, in tante di quelle situazioni che le politiche migratorie e di integrazione non potranno né sapranno mai regolare.
Andate al parco giochi, in posta, sul treno, in aeroporto. Andate a Dubai, Muscat, Kuala Lumpur, Dallas, Londra, Baranzate di Bollate, Riace, in qualsiasi supermercato di provincia. Andate anche a Calais, Lampedusa, Lesbo, Pontida e sono certo che ci troverete più situazioni di incontro che di scontro.
Le persone sono sempre pronte a entrare in relazione. Certo, molti di noi sono forse un po’ inariditi, fanno fatica, devono oliare i meccanismi. Ma l’istinto ce l’abbiamo sempre, l’empatia è sempre in agguato dentro di noi.
Ma voi a questo punto vorrete soluzioni, visto che sembra tutto così facile. Sembra quasi che tutto si aggiusti da sé, che non servano politiche, interventi, regolazioni.
Se non servissero? Sono sempre affascinato da una prospettiva di anarchia migratoria su scala globale. Dall’idea che chiunque possa andare ovunque senza visti, ostacoli, barriere. Molto probabilmente non è una prospettiva credibile, ma mi piacerebbe che ci credessimo.
Ma non ci crediamo più. Sempre più persone, ho l’impressione, pensano che le migrazioni siano un fenomeno da regolare, limitare, addirittura eliminare. Che comunque ci vogliano dei limiti, dei criteri, dei meccanismi che evitino di generare flussi troppo grandi e di rompere presunti equilibri sociali.
Abbiamo smesso di credere che tutti debbano potersi muovere liberamente ovunque. Forse ho smesso di crederlo pure io. Ci aggrappiamo con salda rassegnazione alle soluzioni che paiono coniugare regolazione e umanità. Siamo per i corridoi umanitari. Persone selezionate alla partenza e supportate ad integrarsi nella società di accoglienza. Siamo, indubbiamente, per i corridoi umanitari.
Ma, in fondo, non lo sappiamo cosa è giusto e cosa no. A malapena sappiamo che le persone non dovrebbero morire in mare per andare da un posto ad un altro. Ma, più o meno apertamente, pensiamo anche che le persone, certe persone, non dovrebbero andarci proprio, da un posto all’altro.
Non sappiamo se sia giusto limitare il più possibile gli spostamenti. Rendere le migrazioni sempre più impervie, costose, condizionate. Oppure se sia giusto accettare il fenomeno ma regolarlo, in modo più o meno restrittivo in base al periodo, alle condizioni sociali, economiche, politiche.
Non sappiamo se sia davvero giusto regolare la libertà di movimento delle persone, di fatto in base al reddito e ai paesi di provenienza. La accettiamo sempre di più, questa idea che i movimenti migratori vadano regolati, ma eticamente non l’abbiamo mica capito, se stiamo facendo la cosa giusta.
E mi pare che ci interroghiamo sempre meno, su quale sia la cosa giusta, e quale idea etica stiamo seguendo. Sprofondiamo in uno stato di emergenza perenne, che giustifica e dolcifica l’anestesia parziale a cui volentieri ci abbandoniamo.