È vero, gli sms violentavano la lingua italiana, sacrificandola sull’altare dell’economicità: abbreviazioni incomprensibili, K a profusione, parole attaccate, punteggiatura inesistente, apostrofi e accenti messi a caso o del tutto ignorati. La base di partenza restava comunque la parola. Con WhatsApp e le chat in generale a prevalere è il concetto: per dirla bene, il significato rimane, ma il significante non è più alfabetico, bensì grafico.
Le emoji possono uccidere la nostra capacità espressiva. Un amico ci manda un video commovente, potremmo semplicemente dirlo, esprimere la nostra emozione, ma è molto più comodo e veloce cliccare la faccina che piange. Un altro esterna un’idea con cui siamo pienamente d’accordo, ma anziché scriverlo alleghiamo una GIF con qualcuno che applaude.
A lungo andare, soprattutto per le nuove generazioni, raccontare un’emozione con le sue sfumature – sfumature che nessun set di emoji può includere – sarà difficilissimo. È questa, forse, una delle conseguenze più ambigue dell’egemonia di WhatsApp.
Classe '85, divido il tempo tra la moglie e i tre figli e le più svariate passioni. Amo la lettura, la scrittura (ho pubblicato cinque romanzi) ed i videogiochi, non disprezzo fumetti, calcio, cinema e cucina. Eterno bambino, amo la vita e credo che sia troppo breve per non interessarsi a... tutto!