Onlife: come i giovani si costruiscono un’identità (duplice) tra reale e virtuale9 min read

29 Maggio 2023 Società -

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Educatore

Onlife: come i giovani si costruiscono un’identità (duplice) tra reale e virtuale9 min read

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La preadolescenza è un periodo in cui si posano pietre importanti nella costruzione della propria identità. In questo processo, influenzato da molti fattori, l’utilizzo dei social media svolge un ruolo sempre più incisivo, soprattutto per una generazione che conduce una vita onlife, in cui reale e virtuale si fondono. Un’esistenza in cui l’immagine di sé – a partire dal corpo – è continuamente esposta, soggetta a filtri di modifica, a giudizi e confronti.

Sarebbe un errore vedere solo i lati negativi degli strumenti digitali, che possono essere risorse utili per i ragazzi e le ragazze, oltre che leve educative efficaci per gli adulti di riferimento. Allo stesso tempo, però, va presa sul serio la portata inedita del fenomeno, con le possibili minacce che nasconde.

Analizzare e comprendere come le persone più giovani fruiscono e creano i contenuti virtuali, quindi, è fondamentale per restare in contatto con loro, senza rinunciare al proprio ruolo educativo. Un simile sforzo, inoltre, è imprescindibile per pensare le politiche pubbliche e le strategie educative da mettere in campo nelle scuole, sul territorio e… in rete.

Di questo abbiamo parlato con Simone Digennaro, ricercatore dell’Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale, che ha condotto un’indagine dal titolo “Corpi Duplicati: l’utilizzo dei social media tra gli under 14”. Abbiamo incontrato il suo lavoro mentre conducevamo ricerche per il progetto Erasmus+ ASAP – A systemic approach to social media and pre-adolescents through thinking skills education – guidato da Fondazione Politecnico di Milano di cui l’Associazione Le Nius è partner insieme ad altre organizzazioni italiani e estere.

Ascolta l’intervista in podcast

Ascolta “Onlife: come i giovani si costruiscono un’identità (duplice) tra reale e virtuale” su Spreaker.

Lo studio di Digennaro ha coinvolto 2378 ragazzi e ragazze di età compresa tra gli 11 e i 13 anni.

“Il primo elemento chiave che emerge” racconta Digennaro “è che, nonostante tutte le limitazioni di età che esistono in Italia, oltre l’80% dei ragazzi e delle ragazze dichiara di utilizzare i social media (Facebook, Instagram o altri), mentre la percentuale sale a più del 95% se includiamo anche le app di messaggistica istantanea come Whatsapp e Telegram.

Già a partire dagli undici anni l’ingresso nel mondo dei social media della realtà digitale è totale.

Tant’è vero che come Università abbiamo avviato una nuova ricerca che coinvolge i bambini di nove e dieci anni, perché evidentemente è quello il periodo in cui questo ingresso avviene.”

L’indagine si è concentrata su una variabile in particolare: il corpo e l’immagine corporea.

Spiega Digennaro:

“Abbiamo notato come l’utilizzo massiccio di questi di questi strumenti, e il fatto che i ragazzi siano esposti a modelli corporei modificati, artificiali, fa sì che ci sia un impatto sulla costruzione della loro immagine corporea, quindi sulla loro identità. Sono modelli irraggiungibili, perché sono possibili solo attraverso questi strumenti di modifica. Questa esposizione fa sì che si costruisca un’immagine di sé e del proprio corpo distorta.”

AG: In che modo tutto questo influenza la percezione di sé e del proprio corpo e cosa cambia rispetto al passato?

SD: Dobbiamo partire da un presupposto che noi costruiamo la nostra identità a partire dalla relazione con gli altri e con il contesto sociale di riferimento. Un tempo questa interazione avveniva di persona, con contatto diretto, in uno spazio sociale circoscritto. Con l’avvento di strumenti come Facebook e Instagram questo spazio di costruzione della propria identità si è allargato enormemente, è diventato potenzialmente infinito, e quindi queste dinamiche si sono moltiplicate.

Di per sé non è un problema: diventa un problema nel momento in cui, attraverso questi strumenti, si è esposti a modelli di corpo e di individui che sono irrealizzabili.

AG: Quali le differenze di genere più rilevanti rispetto a quando abbiamo appena detto?

SD: Generalmente si presuppone che questo tipo di dinamiche sia soprattutto una questione femminile, e che sia soprattutto il corpo della donna a subire le pressioni maggiori. In realtà, quello che è emerso dalla nostra ricerca, è che non sembra esserci una distinzione di genere, anche se ovviamente ci sono dinamiche diverse. Per esempio, per le donne si tratta più di messaggi legati a un corpo snello, formoso, mentre per i maschi è soprattutto un’immagine di corpo muscolosa, tonica. Ma l’effetto negativo poi è uguale tra i due generi.

AG: Qual è la differenza rispetto all’epoca dominata dalla tv? Anche lì c’erano dei modelli inarrivabili, in qualche modo.

SD: Da un certo punto di vista, però, quei modelli venivano limitati. Spesso, quando determinati messaggi veicolati attraverso la tv venivano considerati inappropriati o distanti da quelli che erano gli standard rivolti a una certa fascia d’età, c’era la possibilità di intervenire. C’ era la possibilità per i genitori di filtrare questi messaggi, banalmente spegnendo la televisione. Il problema con l’avvento della tecnologia è che questo spazio di controllo è diventato molto più difficile. Adesso questi contenuti circolano liberamente, a qualsiasi orario, attraverso qualsiasi strumento.

AG: Le generazioni più anziane sono in grado di aiutare i preadolescenti a gestire queste difficoltà nella costruzione dell’identità? E se sì, che cosa potrebbero fare?

SD: Questo è un tema interessante. Innanzitutto spesso capita che le nuove generazioni utilizzino social media che gli adulti di riferimento non conoscono. La dinamicità con cui nascono queste nuove piattaforme è talmente rapida che chi appartiene alle vecchie generazioni talvolta non ha la capacità di rimanere al passo. Tra l’altro, il social network è anche uno strumento che i preadolescenti utilizzano per trovare un proprio spazio di autonomia, e cioè vanno su quelle piattaforme in cui sono sicuri che gli adulti non ci sono. Per questo hanno abbandonato piattaforme come Facebook e Instagram, perché sono le piattaforme che vengono utilizzate dai cosiddetti boomer, dove ci sono anche i loro genitori. Tutto ciò mette gli adulti in una situazione di difficoltà, perché non sanno dare il giusto orientamento ai propri figli. Insomma, da un certo punto di vista occorrerebbe un’alfabetizzazione degli adulti, ma non nell’utilizzo di questi strumenti. Piuttosto nel comprendere quali dinamiche sottendono, in che modo i propri figli costruiscono la propria socialità su queste piattaforme. In passato, gli adulti erano consapevoli che i figli costruivano la loro socialità a scuola, a catechismo, nelle società sportive che frequentavano, con gli amici… e quindi cercavano di capire qual era il tipo di influenza che andavano a subire. La stessa cosa avviene su queste piattaforme, ma gli adulti spesso non ne sono consapevoli e tendono a considerare queste piattaforme come un aspetto collaterale della formazione dell’identità dei loro figli. Invece devono comprendere fino in fondo che è diventato aspetto preponderante.

AG: In che modo questi risultati potrebbero orientare la progettazione educativa?

SD: Si potrebbe dire che la soluzione più semplice sia quella di limitare l’utilizzo dei social network tra i preadolescenti. In realtà sappiamo perfettamente che questa cosa è praticamente impossibile. Quindi, secondo me, dal punto di vista educativo andrebbe fatta un’alleanza con questi strumenti, e andrebbero utilizzati da parte degli educatori in maniera positiva. Perché non fare in modo che questi messaggi vengano ribaltati da una proposta educativa più adeguata alle esigenze delle nuove generazioni? Perché non utilizzarle per fare un’educazione a una corporeità positiva o per fare in modo che i preadolescenti imparino quali sono gli effetti negativi o i potenziali rischi legati a questi strumenti?

AG: Quali sono secondo te i pericoli a cui i/le preadolescenti vanno incontro e in che modo gli adulti possono accorgersi che qualcosa non va?

SD: Noi abbiamo sviluppato questo concetto che è la sindrome dei corpi multipli, e cioè il fatto che i preadolescenti, ma non solo loro, hanno la possibilità di smontare e rimontare il proprio corpo, di proporre diversi corpi. Quindi io avrò un corpo adatto per le vacanze, un corpo adatto da mettere sul mio profilo di Instagram, e poi magari posso modificarlo e adattarlo a seconda delle circostanze. Posso cambiare il colore dei miei capelli, posso aggiungermi le lentiggini, posso fare tante cose. Ma ricordiamoci sempre che con qualsiasi tipo di cambiamento che attuiamo sul nostro corpo, anche se digitale, noi stiamo attuando un cambiamento sulla nostra identità.
Tanti cambiamenti moltiplicati all’ennesima potenza fanno sì che ci sia costantemente un aggiustamento, un rimescolamento della mia identità, e a un certo punto posso perdere di vista quella che è la mia identità fondamentale, il mio corpo vero. Questo porta a una forte conflittualità tra il corpo che io riesco a rappresentare attraverso i social media, che è un corpo bello, snello, più vicino agli standard, e il corpo reale che invece fa molta più fatica ad essere adattato. Si crea un conflitto perché da un lato vorrei vedere quel corpo che ho in vetrina attraverso i social media, ma dall’altro lato mi tocca tenere questo corpo e si può arrivare anche a delle vere e proprie forme di rifiuto. Per esempio, alcuni campanelli d’allarme possono essere ansie, fobie, per non parlare dei possibili effetti legati ai disordini alimentari o a problemi legati al peso.

AG: Quali sono invece i punti di forza derivanti dall’essere la nuova generazione nativa digitale?

SD: Le opportunità sono enormi, sconfinate. Questi strumenti ci permettono di avere relazioni, di approfondire, di conoscere e di studiare, di avere intrattenimento. E ovviamente sono opportunità che rappresentano un grande punto di forza per la maturazione delle nuove generazioni e che hanno anche democratizzato, pur con alcuni limiti, l’accesso alla conoscenza.
Io ricordo che negli anni novanta ero uno dei pochi bambini che a casa aveva l’enciclopedia, e per me quello era un accesso alla conoscenza impareggiabile, tant’è vero che avevo un vantaggio da un certo punto di vista rispetto ai miei compagni e compagne. Oggi, invece, basta avere un semplice strumento collegato a internet. Le nostre comunità sono chiamate a mantenere questi vantaggi, pulendo questi strumenti dagli effetti negativi.

L’importanza dell’educazione e del benessere digitale

Dalle parole di Simone Digennaro è facile comprendere che siamo davanti a cambiamenti epocali, vasti e veloci. Cambiamenti che non si limitano alla mera comunicazione, ma che vanno a influire sulla costruzione dell’identità di individui e gruppi, sulle loro modalità di relazione e di approccio alla conoscenza. Come tutti in cambiamenti di una simile portata, il dovere degli educatori e delle educatrici (in senso ampio) è quello di esserci, di continuare a favorire le opportunità di crescita delle persone più giovani e di intercettarne le difficoltà. Questo richiede attenzione, una continua e ostinata apertura al dialogo, tempo ed energie per informarsi sui cambiamenti tecnologici in corso.

Molto può essere fatto per promuovere l’educazione alle competenze digitali e al benessere online attraverso progetti e interventi adeguati. Un esempio di impegno in questo campo è l’Associazione Le Nius, che da anni si dedica al progetto Digital Bees. Tuttavia, il lavoro necessario va oltre le sole competenze tecniche digitali e coinvolge diverse parti interessate della società civile. Solo attraverso una collaborazione sinergica e un lavoro di rete congiunto, è possibile affiancare i giovani in questo processo di crescita e utilizzo consapevole degli strumenti digitali.

Un progetto che si inserisce in questa prospettiva è ASAP, progetto interdisciplinare e transnazionale finanziato dal programma Erasmus+ e avviato nell’ottobre 2022 in cinque Paesi: Italia, Croazia, Slovenia, Portogallo, Repubblica Ceca. ASAP si rivolge specificamente ai preadolescenti (11-13 anni), alle scuole e alle famiglie, e tutta la comunità educante, con l’obiettivo di promuovere una comprensione più ampia e metacognitiva dell’uso dei social media tra i preadolescenti stessi. Il progetto, guidato da Fondazione Politecnico di Milano, intende affiancarli in un percorso che li aiuti a utilizzare i social media consapevolmente, minimizzando i rischi e sfruttando i vantaggi che possono offrire.
Puoi scoprire il progetto ASAP qui.

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Educatore professionale e formatore, ha lavorato in diversi ambiti del terzo settore. Nel suo lavoro mescola linguaggi e strumenti per creare occasioni di crescita personale attraverso esperienze condivise. Per Le Nius scrive di temi sociali e non profit.
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