Guerra in Ucraina, la situazione nei paesi di confine | Voci dalla Romania11 min read

13 Marzo 2022 Europa Politica -

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antropologa e comunicatrice

Guerra in Ucraina, la situazione nei paesi di confine | Voci dalla Romania11 min read

Reading Time: 9 minutes

Cosa comunicare in queste settimane di conflitto in Ucraina? Centinaia di migliaia di cittadini ucraini lasciano il proprio Stato passando il confine: diamo voce ai responsabili di organizzazioni sociali dei paesi limitrofi, travolti umanamente e professionalmente dal dramma bellico in atto. Dopo averlo fatto con la Moldova, ci siamo rivolti all’Associazione BIR che ci ha messo in contatto con Marian Ursan, direttore di Carusel; insieme al suo staff, Marian presta soccorso e offre accoglienza alle cittadine e ai cittadini ucraini in arrivo a Bucarest.

staff carusel
Carusel: Marian Ursan è il quinto da sinistra

Cos’è Carusel e di cosa si occupa?

Carusel è un’organizzazione rumena che offre diversi servizi di assistenza agli ultimi: noi lavoriamo con chi non vuole lavorare nessuno. O con chi nessuno è in grado di lavorare, le persone più vulnerabili di Bucarest: senzatetto, tossicodipendenti, sex worker, persone con l’HIV o la tubercolosi, sono i Rom, o persone senza documenti d’identità. I gruppi più fragili di persone e i loro figli.

Carusel è un’organizzazione non profit?

È un’organizzazione molto non profit [ride].

Una domanda doverosa: come stai?

Sono un po’ stanco, ad essere onesto. Ma mi sento e so che devo avere molte energie perché sarà lunga, ne sono consapevole, ne siamo tutti consapevoli. Oltre quello che normalmente portiamo avanti qua a Bucarest abbiamo realizzato un campo di accoglienza per rifugiati dove facciamo più di quello che possiamo fare [sorride] in cui abbiamo organizzato degli spazi, continuiamo a pulirli compulsivamente per dare alle persone luogo dignitoso in cui stare; cuciniamo per le persone del buon cibo sulla base delle loro richieste perché abbiamo ospiti musulmani, altri vegetariani o con necessità alimentari specifiche e diverse tra loro. Solitamente le persone si fermano nel campo di accoglienza per 3 o 4 giorni e ci sono anche bambini (e sapete che i bambini, soprattutto quelli piccoli, non mangiano qualunque cibo).

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La pulizia di uno shelter

Cerchiamo di accontentare tutti. Abbiamo organizzato l’accoglienza nel campo per garantire ad ogni ospite un minimo di riservatezza, e per dargli anche la lavatrice e il frigo dato che provengono da un lungo viaggio.

Non abbiamo stabilito un orario per il pranzo o per la cena, in poche parole nel campo non ci sono regole. Le persone che arrivano possono disporre del loro tempo e noi siamo lì per loro: abbiamo deciso di fare così perché chi arriva non è nell’ottica di rivolgersi ad un’organizzazione assistenziale… Sono persone in fuga, che hanno lasciato improvvisamente la loro abitazione e quello che stavano facendo. Ci raccontano che stavano cucinando e che in dieci minuti hanno dovuto lasciare tutto e andarsene. In passato noi abbiamo lavorato con i senzatetto e abbiamo organizzato dei campi di accoglienza per loro, ma non è la stessa cosa, queste persone hanno bisogno di tempo,

hanno bisogno che noi gli lasciamo il tempo per elaborare la fuga e quello che gli sta accadendo.

Noi dobbiamo solo stare lì per loro ed essere pronti, ma quando mangiare, quanto dormire o se fare una passeggiata è una decisione che prendono da soli. Per organizzare tutto il campo e prepararci al loro arrivo abbiamo avuto solo 12 ore, in cui ci siamo informati al massimo che siamo riusciti su come organizzare un campo di accoglienza per persone che scappano da una guerra.

Come avete organizzato gli spazi del campo e quante persone accogliete?

Nel campo c’è una capacità di accoglienza di 40 persone alla volta e gli spazi li abbiamo suddivisi come se fossero delle stanze private, con 2-3 letti. Cerchiamo di tenere le famiglie unite, anche con i loro animali, che sono soprattutto cani. Le persone infatti arrivano con i loro animali al seguito. Non vogliamo e non possiamo separarli, sappiamo bene che le persone e i loro animali stanno attraversando questo trauma assieme.

Al campo abbiamo ricevuto una visita dall’UNHCR, dall’UNICEF e anche dal WHO che ci hanno indicato di continuare il lavoro così, complimentandosi per come lo stiamo facendo, per i dettagli a cui cerchiamo di dare attenzione nella preparazione degli spazi del campo e per il fatto che trattiamo le persone che arrivano con dignità e rispetto.

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Lo staff di Carusel in uno shelter per l’accoglienza delle persone che arrivano dall’Ucraina.

Quali sono le condizioni delle persone che accogliete?

Le persone arrivano stanchissime e spaventate. Non capiscono cosa realmente stia accadendo, non sanno come saranno trattate nel campo e cosa aspettarsi da un campo di accoglienza, vogliono solo dormire, fare una doccia e dormire.

Non esagero se dico che alcune persone che arrivano al campo di accoglienza impiegano almeno 2 ore per mangiare, e non si tratta di quanto mangiano, ma è legato al processo di mangiare e di lasciare andare la tensione accumulata, al rallentare le proprie azioni. Dormono anche per 12 ore di seguito o di più.

Noi siamo lì per loro, ci rendiamo disponibili, in attesa che ci chiedano qualcosa, e cerchiamo di fargli capire che siamo lì se avessero bisogno, se volessero parlare. Ma allo stesso tempo vogliamo dargli spazio. Abbiamo visto che dopo i primi due giorni al campo cominciano a farci domande, cercano informazioni, molti sono in transito e vanno altrove all’estero e chiedono informazioni sul trasporto, sui visti per la Germania e altri paesi e poi noi dobbiamo chiamare gli assistenti sociali per lavorare su ogni singolo caso, per poterli aiutare.

Purtroppo ogni persona è un caso diverso, e ha bisogno di assistenza specifica relativa al transito, e alla documentazione necessaria; abbiamo accolto anche persone molto giovani. Ci sono situazioni molto diverse e bisogna capire quali sono le opzioni che hanno a disposizione in base ai loro documenti di provenienza ma anche relativamente alle questioni mediche. Ci sono persone che necessitano di assistenza medica.

Per fortuna adesso il governo rumeno sta allentando le misure riguardanti il Covid-19 ma comunque numerose persone che abbiamo accolto nel campo necessitano del vaccino per il Covid-19 e quindi ne dobbiamo parlare con loro, in particolare per coloro che vanno verso paesi che necessitano il test o il vaccino per l’accesso. Per cui dobbiamo cercare di organizzare per loro anche questo aspetto medico.

Dove vanno quando lasciano Bucarest?

Alcuni vanno verso la Germania, altri verso la Georgia, dipende dalle loro origini o dai collegamenti familiari e amicali che hanno.

Alcuni stanno aspettando i parenti, e chiedono indicazioni da fornire ai parenti per farsi raggiungere al campo e per ricongiungersi. Non possiamo dire che ci sia uno schema che si ripete, o un paese verso cui si dirigono maggiormente per il momento.

E poi ci sono persone completamente bloccate.

Persone che non sono in grado di prendere una decisione, perché non sanno dove andare, perché non hanno parenti all’estero o altri da cui recarsi. O persone che aspettano, che dicono: “Aspetterò per qualche giorno qui nel campo e poi finirà tutto e tornerò in Ucraina”, perché pensano che la guerra finirà presto. E non hanno un posto dove andare fuori dall’Ucraina.

Ci sono bambini?

Sì, i bambini arrivano completamente intorpiditi, dormono molto appena arrivati al campo, e poi quando gli ritorna un po’ di energia noi facciamo in modo che abbiano spazio per giocare, e che i genitori si rilassino un po’ assieme ai figli. C’è una gran baraonda quando i bambini giocano nel campo e le persone ci dicono che di solito sarebbero infastidite da tutto il caos che fanno i piccoli, ma che in questa situazione le urla dei giochi dei bambini danno gioia, perché li vedono di nuovo sorridere e giocare. E dicono che questo suono è meglio che sentire il fragore delle bombe.

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Un’area giochi interna agli shelter

Immagino, e forse non riesco fino in fondo, che debba essere una situazione traumatica.

Tutti loro stanno vivendo un trauma, arrivano da noi adrenalinici. Stanno correndo via dalle loro case. Penso che ci vorrà del tempo per elaborare tutto questo, per tornare a rilassarsi e per pensare al prossimo passo da fare nella loro vita.

Noi qui al campo cerchiamo di dargli spazio ma allo stesso tempo vogliamo che si sfoghino con noi e ci raccontino la loro storia, che si sentano accuditi e ascoltati. E spesso accade che quando fanno le videochiamate con i loro parenti c’invitano a partecipare alla chiamata, desiderano presentarci per dire: “Ecco chi mi sta aiutando, ecco la persona che si sta prendendo cura di me”. Alcuni quando si rimettono in viaggio e raggiungono la loro destinazione ci inviano sms per dirci: “Siamo arrivati”.

Quanto è cambiato il vostro lavoro a Carusel?

Non appena è iniziata l’invasione abbiamo deciso che ce ne saremo occupati. È stato lo stesso con lo scoppio della pandemia da Covid-19, quando abbiamo deciso che saremmo scesi in strada per l’emergenza oltre a quello che facevamo già. Abbiamo scelto di lavorare in prima linea anche per questa emergenza, e allo stesso tempo ci siamo detti che avremmo dovuto mantenere inalterata la qualità dei servizi quotidiani di Carusel. È un po’ tanto lavoro per noi ma abbiamo le spalle larghe. Siamo 18 dipendenti a Carusel ma abbiamo moltissimi volontari.

Stiamo cercando di fare del nostro meglio e le reazioni delle persone che aiutiamo ci confermano che andiamo nella direzione giusta. Al campo le persone che accogliamo talvolta ci aiutano. Per esempio quando bisogna pulire il campo alcuni si offrono volontari dicendo: “Voi fate tutto questo per noi”.

Si respira un’atmosfera costruttiva e una buona energia.

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Volontaria di Carusel

Come pensi possa evolvere il conflitto e la situazione con i Paesi limitrofi?

Purtroppo, Stefania, non ho neanche tempo di guardare le news, e non sto neanche a pensare a come evolverà il conflitto. Però non credo che sia normale che in Europa nel 2022 ci sia una guerra, ma non ho tempo di fare pronostici su come andrà a finire. Uso tutte le energie che ho per metterle nel servizio.

Abbiamo un detto qui: noi non facciamo filosofia.

Zero ipotesi sulle strategie militari o sul perché dei costi della benzina o dell’energia. Per esser onesti, a me in questo momento questi aspetti non interessano proprio. Ci stiamo sobbarcando turni di lavoro intensi: o siamo a casa a dormire o siamo a lavoro, nelle strade o nel campo, a fare del nostro meglio. Ma siamo molto consapevoli che la situazione non cambierà tanto presto.

Come ha reagito la popolazione rumena a questa guerra?

La reazione è stata di incredulità, ma tuttavia questa invasione non era inaspettata per noi. Adesso molti rumeni stanno aiutando i profughi, mostrando solidarietà nei loro confronti. Ma non so dire adesso se i rumeni si mobiliteranno in qualche altro modo per aiutare la popolazione ucraina.

C’è qualcosa che vuoi dire agli italiani che leggeranno questo articolo?

Ho imparato molto dagli italiani, in passato e da giovane, in particolare sulla solidarietà. Se chiudo i miei occhi e penso a quello che accade ora qui e in Ucraina mi viene in mente la forza della solidarietà italiana. Per me l’Italia è un esempio di solidarietà: io ho iniziato a 16 anni a coinvolgermi come volontario e le prime persone che ho ammirato in questo ambito del non profit erano italiani, italiani che vennero qui ad aiutare i rumeni.

Se ho un messaggio per gli italiani? Se io posso essere nella posizione di dare un messaggio agli italiani, è proprio questo:

“Io ho imparato cosa sia la solidarietà da voi italiani”.

C’è un modo in cui possiamo aiutarvi da qui? Cosa pensi del fatto che molti italiani si stanno organizzando per raccolte di vestiti o cibo, beni di prima necessità?

Ogni aiuto è il benvenuto. Potete supportare il lavoro di qualsiasi organizzazione in Ucraina, in Polonia, in Romania o in Moldova, che sta operando direttamente con i profughi ucraini.

Ci sono modi migliori della raccolta diretta di beni di prima necessità, che comunque è un’azione utile. Le donazioni di denaro sono importanti: consentono alle organizzazioni di intervenire immediatamente potendo coprire i costi di assistenza e accoglienza. Talvolta si deve riconoscere che le persone al confine non hanno proprio bisogno di cibo ma di altro… Forse hanno sì bisogno di una tazza di tè, ma soprattutto di una via per andare avanti. È importante guidare le persone che vogliono dare una mano verso l’aiuto giusto, per ottenere il massimo risultato con le poche risorse a disposizione.

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Marian Ursan, direttore di Carusel, in attività in uno scatto antecedente la guerra in Ucraina

In Italia inoltre ci sono persone che hanno bisogno del vostro supporto, possono essere i vostri stessi vicini: è importante anche non dimenticarsi dei bisognosi nel proprio paese.

Grazie Marian.

Non ci è stato richiesto dallo staff di Carusel, ma è possibile supportarne il lavoro con una donazione qua.

Le immagini adottate sono state gentilmente concesse da Carusel.

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Antropologa e progettista, per Le Nius è project manager, content manager e formatrice. Nella vita studia e comunica progetti di cooperazione, in particolare progetti di sviluppo che fanno leva sui patrimoni culturali. Si interessa di antropologia dei media, è consulente per il terzo settore. info@lenius.it

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