Gospel, non solo a Natale2 min read
Reading Time: 2 minutesCori di neri agitati avvolti in grande maniche. Solisti dall’immensa estensione vocalica. Tranquille chiese pervase da un’energia di solito preclusa. è il gospel (God spells, Dio parla letteralmente, cioè Vangelo).
Blues (di cui abbiamo già parlato), jazz, spiritual, soul… che confusione! Sembra di parlare della stessa musica. Invece, non è proprio così.
Il punto di partenza è sempre lo stesso. Stati Uniti (invero non ancora nati), secolo diciassettesimo: milioni di schiavi neri africani deportati per lavorare nelle piantagioni. Addio alla famiglia, alla terra, a tutto. Addio alla musica.
Passano un paio di secoli. Dimenticate le antiche canzoni, ma non le musiche, i ritmi, il dialogo domanda/risposta dei canti ancestrali. I nipoti degli schiavi intanto conoscono gli strumenti europei. Nasce il blues. Ma la tensione al sacro resta forte, vitale. Ecco gli spiritual, l’antenato del gospel.
La vita degli schiavi infatti è sempre durissima. Ma loro non demordono. Alcuni padroni vietano loro ogni tipo di rito, anche se ormai cristianizzato. E allora loro pregano in segreto. Anche quando la religiosità è permessa, i bianchi non ci mettono piede. In chiesa, solo in chiesa, i neri sono liberi.
E in chiesa si scatenano. Molti temi nascondono, in linguaggio cifrato, l’anelito alla libertà. Così il biblico fiume Giordano diventa l’Ohio, oltre il quale si distendeva l’America non schiavista; e ampi riferimenti vengono fatti a Mosè, liberatore degli ebrei in Egitto.
Arriva il ‘900. La musica nera sacra piace, anche ai bianchi. Tournée, festival, i primi dischi. Piacciono soprattutto i cori, con la loro energia indiavolata. Ma prosperano anche i quartetti, magari ”a cappella” (cioè con le voci a sostituire gli strumenti, tipo Neri per Caso). Si impone qualche grande solista. Ma il gospel, e quel che gli gira attorno, resta musica religiosa.
E continua ad esserci una babelica confusione di nomi. Finché non giunge il Reverendo Thomas Dorsey, che a partire dagli anni ’30 si afferma per separare il termine gospel dal resto della musica nera sacra. Ora gospel è una musica moderna, gioiosa, che vuole scordare gli orrori della schiavitù e mescolarsi col mondo moderno.
Così Sam Cooke, cresciuto tra le sue armonie, diventa la prima grande star nera. Il gospel diventa importante, e si associa alle battaglie per i diritti civili: la grande Mahalia Jackson canta ai funerali di Martin Luther King. Più tardi, negli anni ’90, i Take 6 realizzano dischi di enorme successo.
Tra l’altro molti cantanti ”profani” – Aretha Franklin, Ray Charles, James Brown ad esempio – sfondano nel pop dopo essersi fatti le ossa in cori gospel, di cui mantengono la straordinaria passionalità e libertà espressiva.
Quando abbiamo voglia di un reale, fisico, coinvolgente ottimismo, il gospel è per noi. Viene da gente che ha sofferto. Molto. Ma che non ha mai perso la speranza in un meglio. Anche se lontano, remoto.
Il gospel canta quel meglio.