Dissonorata e La Borto di La Ruina al Teatro Elfo4 min read

2 Febbraio 2015 Cultura -

Dissonorata e La Borto di La Ruina al Teatro Elfo4 min read

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Dissonorata-e-LaBorto-Saverio-La-RuinaChi è il narratore? Qual è il suo ruolo? All’uscita dal Teatro Elfo, dopo aver visto prima Dissonorata e poi La borto di Saverio La Ruina (di cui avevo già recensito Polvere), sono stata invitata a riflettere su questo tema. Ho provato a darmi molte risposte facendomi prima altrettante domande: quando una storia mi colpisce davvero? è necessario che chi mi racconta una storia debba parlare della sua vita per essere davvero credibile?

In un’epoca in cui sta spopolando, in letteratura come al cinema, il fenomeno dell’autofiction, la conclusione alla quale sono giunta è la seguente: il narratore perfetto è colui che, pur attingendo alla propria esperienza, più o meno diretta, è in grado di raccontare una storia che sia di tutti, una storia in cui ognuno di noi riesca a trovare elementi in comune con la propria vita, la propria epoca, la propria civiltà.

Ecco, secondo questa teoria, Saverio La Ruina è il narratore perfetto: Dissonorata e La borto sono infatti due monologhi interpretati da un uomo che parla in prima persona, da donna, di problemi prettamente femminili, eppure sono tremendamente credibili.

Nel primo La Ruina dà voce a donne del sud vittime delle leggi degli uomini, che desiderano sposarsi per trovare il proprio posto nella società, per poter camminare in paese a testa alta senza essere definite “puttane” (perché, se non sei sposata, o sei una poco di buono o sei una zitellaccia). Donne ingenue che, credendo di aver trovato l’amore, cedono al fascino di giovani uomini in cerca del proprio piacere – che non hanno alcuna intenzione di prendersi le conseguenti responsabilità – per restarne “dissonorate” e rappresentare quindi motivo di vergogna per la propria famiglia.

Allo stesso modo le donne che rivivono in La borto, schiave di padri-padroni in grado di decidere del loro futuro vendendole – ancora bambine – al miglior offerente intenzionato a sposarle, sperano di emanciparsi dalla propria famiglia di origine. Finiscono invece costrette a procreare come animali perché il loro ruolo, anche da sposate, è essenzialmente quello di soddisfare l’uomo, ora il proprio marito, ed è sottinteso che, in quanto alle conseguenze, debbano semplicemente arrangiarsi.

E così, non più padrone nemmeno del proprio corpo, abituate a vedere i propri piedi solo pochi mesi all’anno (un anno la cui durata è sempre scandita dal tempo di una gravidanza), si affidano prima alla Madonna del Pollino poi ai Santi tutti sperando nel miracolo. Ma nulla può contro la forza brutale dei loro mariti, e allora l’unica soluzione possibile è quella di “arrangiarsi” appunto, a proprio modo, di abortire abusivamente mettendo a rischio la propria stessa vita, trasformate anche rispetto a uno dei diritti più naturali per una donna, quello di diventare madre.

Donne dell’inizio del secolo scorso. O anche della fine del secolo scorso. O di oggi. Donne che tanto ricordano le storie drammatiche e purtroppo attuali di quelle di alcuni paesi mediorientali, e non solo, offrendoci uno spunto per riflettere sulla condizione della donna in generale. Come quando Vittoria, la protagonista di uno di quegli aborti, conclude il suo monologo raccontandoci di quella volta in cui, ormai adulta, ha accompagnato la propria nipote appena quindicenne in una clinica del nord ad abortire ed improvvisamente ci fa capire che, generazione dopo generazione, la questione relativa all’interruzione della gravidanza è ancora quanto mai attuale.

Ed ecco che La Ruina, seduto al centro del palco, con indosso una veste che avrebbe potuto portare mia nonna, con quel calore e quella determinazione che lo rendono l’acclamato attore e regista che il mondo teatrale italiano conosce, è in grado di parlarmi di meridione, dell’Italia e del mondo, di ignoranza, di arretratezza, di inciviltà, di violenza sulla donna e non solo, di diritto alla vita, alla maternità, alla felicità, tutte questioni purtroppo ancora calde ai giorni nostri.Dissonorata-e-La-Borto-Saverio-La-Ruina

Un’ultima riflessione sul linguaggio che l’attore sceglie di adottare per questi suoi spettacoli: come mi era capitato con Le sorelle Macaluso di Emma Dante recitato in siciliano stretto, assistendo a questi due monologhi recitati invece in calabrese ho potuto apprezzare ancora una volta la forza espressiva, il colore e l’intensità del dialetto. Quella cantilena, quelle buffe e colorite forme espressive non solo hanno una musicalità che rende piacevole anche una lingua che non riusciamo completamente a capire ma “fanno emergere qui una Calabria che, anche quando fa i conti con la tragedia, combina elementi grotteschi e surreali, spesso anche comici, sempre sul filo di un’amara ironia”.

[quote align=”center” color=”#999999″]DISSONORATA: Premio UBU 2007 Migliore attore italiano, Migliore testo italiano, Premio Hystrio alla Drammaturgia 2010, Premio ETI – Gli Olimpici del Teatro 2007 Nomination Migliore interprete di monologo, Premio Ugo Betti per la drammaturgia 2008 Segnalazione speciale
LA BORTO: Premio UBU 2010 Migliore testo italiano, Nomination Premio UBU 2010 Migliore attore, Premio Hystrio alla Drammaturgia 2010, Testo selezionato per il progetto Face à Face 2010[/quote]

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A 10 anni ripetevo le formule magiche delle mie eroine dei cartoni animati credendo che mi sarei trasformata in qualcuno. Ma non è mai successo. Poi ho iniziato col teatro: mi commuovevo per gli attori. Ho creduto che avrei fatto quel mestiere. Ma non è mai successo. Dopo una laurea in Beni culturali e una specializzazione alla Paolo Grassi, vedo tutti gli spettacoli teatrali e dopo fatico a tornare in me. E questo succede sempre.
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