La lezione di Jules Bianchi4 min read

20 Luglio 2015 Uncategorized -

La lezione di Jules Bianchi4 min read

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chi era jules bianchi
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Sabato notte la Formula 1 è tornata ad aggiornare il conto con la nera signora, dopo 21 anni dall’ultima volta: Jules Bianchi è deceduto all’ospedale di Nizza dopo più di 9 mesi di degenza, in seguito alle gravi ferite riportate dopo il tremendo incidente nello scorso gran premio del Giappone di ottobre. Un esito, questo, che dopo un primo periodo di speranza aveva fatto sempre più capolino nella ragione di tutti quelli che hanno seguito la vicenda con costanza, fino a sfociare nelle parole del padre del pilota francese: era appena una settimana fa quando papà Philippe raccontavo lo strazio di una situazione sempre più senza via di uscita, senza alcun miglioramento.

Bisogna avere il coraggio di dire che in fondo è meglio che sia finita così, perché per quanto la vita sia un bene prezioso e da rispettare, un’esistenza destinata allo stato vegetativo – nella migliore delle ipotesi – pone sempre dei dubbi circa la possibilità di essere vissuta, sia per la persona stessa e sia per chi, come i familiari, resta vicino quotidianamente ad essa, logorandosi poco alla volta.

Chi era Jules Bianchi, morto sul lavoro

La scomparsa di Bianchi è stata commentata da molte persone del cosiddetto “ambiente” con quella retorica spicciola che non manca mai di ricordare quanto gli sport motoristici siano pericolosi e quindi impossibili da mettere in sicurezza al 100%, nonostante i vari progressi fatti nell’epoca recente. Affermazione indubbiamente condivisibile, ma che nel caso concreto è fin troppo superficiale e semplicistica. Perché l’incidente che è costato la vita al francese della Marussia non è qualcosa di catalogabile come “fisiologico”, ma è invece figlio di una situazione in pista che avrebbe dovuto essere gestita con maggiore risolutezza, sotto diversi punti di vista. A partire dalla scelta di far correre ugualmente la gara nel tardo pomeriggio giapponese, nonostante le previsioni di forti piogge preannunciate dai meteorologi, fino ad arrivare alla decisione di non far entrare la safety-car per rimuovere in sicurezza la vettura di Sutil, uscita nel giro precedente e nel medesimo punto dell’incidente di Bianchi. Proprio lì dove invece è stata fatta entrare una gru, in piena via di fuga, in un tratto di pista molto critico sia da un punto di vista della difficoltà tecnica, sia per le scarse condizioni di visibilità.

Il fastidioso quadro va poi a completarsi con l’inchiesta dal sapore di farsa, che ha portato poco tempo dopo l’accaduto di Suzuka ad una sorta di auto-assoluzione da parte della direzione gara, con la dichiarazione di colpa a carico dello stesso Bianchi, reo di non aver rallentato a sufficienza nonostante il regime di bandiere gialle presente nel momento dell’incidente del pilota francese. Un’uscita di classe bassissima, se consideriamo che venne mossa nei confronti di una persona che, in stato di coma, non aveva modo di potersi “difendere” esponendo la propria posizione.

Chi era Jules Bianchi, pilota di talento

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Ma non è giusto salutare Jules Bianchi con questa coda polemica, perché la sua esperienza nel campionato lascia anche tanti ricordi positivi, nonostante la sua brevità. La parabola del pilota francese è stata caratterizzata da una crescita costante, passata attraverso le varie categorie propedeutiche alla F1, fino ad arrivare al massimo campionato. Una strada in salita, senza la classica “pappa pronta” a disposizione, ma con il dovere di sgomitare tra gli ultimi per farsi notare, cercando di togliersi soddisfazioni relative e parziali pur di mettersi in evidenza ed attirare l’attenzione di team più importanti, prima tra tutti quella Ferrari che lo aveva messo sotto la sua “ala protettrice” nel 2009, nell’ambito della “Ferrari Drivers Academy” dedicata ai giovani talenti delle quattro ruote. E Bianchi stava riuscendo alla grande in questo obiettivo: sempre agevolmente davanti al suo compagno di team, è stato in grado di portare i primi ed al momento unici punti mondiali alla Marussia (attuale Manor), con l’ottimo 9° posto colto nella gara di Monaco della scorsa stagione, dove grazie ad una difesa strenua ed arcigna è stato in grado di tenersi alle spalle piloti con mezzi ben più quotati del suo, come Raikkonen e Magnussen.

Insomma, Jules Bianchi era pronto: se non per fare il grande salto in un top team, quantomeno per provare una esperienza in una scuderia di medio livello, in grado di testare in maniera più chiara le sue capacità con un mezzo di livello migliore.

Resteremo sempre, purtroppo, con il dubbio su dove sarebbe potuto arrivare questo pilota. Ma certamente non sarà dimenticato quanto di buono è stato in grado di fare nonostante un mezzo mediocre a disposizione, nonché il suo modo di essere poco appariscente ed estremamente garbato che ne avevano fatto uno dei piloti più apprezzati nel paddock e da tutto il seguito della F1.

Salut, Jules.

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Studente di giurisprudenza come "occupazione" ufficiale e appassionato di sport in generale, più come spettatore che come atleta, ahimè. Seguo con particolare interesse gli sport motoristici e da qualche anno a questa parte il motomondiale (ma pure la superbike), pur essendomi avvicinato ad essi con le 4 ruote e la F1.
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