I Beni Comuni e il cinema da non abbandonare7 min read

3 Gennaio 2014 Politica Politica interna -

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I Beni Comuni e il cinema da non abbandonare7 min read

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beni comuni cinema
@frammenti di nuvole

Andare al cinema nel periodo delle feste è tradizione. Eppure per l’italiano medio, negli ultimi anni, sembra sia un evento più unico che raro. Dicono le statistiche che nel 2013 gli italiani sono andati al cinema in media 2,3 volte, mentre a teatro la cifra si fa disperante: 0,4 volte l’anno.

Il biglietto costa caro, si sa, e l’offerta, tolte le produzioni americane, è sempre più bassa. Meno si offre, meno si ricava e il trend negativo, in questo come negli altri settori della cultura italiana, si configura come un drammatico avvitamento senza apparente via d’uscita.

Gestire una sala cinematografica, dichiarano gli imprenditori del cinema, attualmente comporta un esborso pressoché impraticabile, a fronte peraltro degli sforzi economici che comporta l’adeguamento degli esercizi alle nuove imprescindibili tecnologie digitali. Così le sale italiane perlopiù chiudono, in media 148 in meno negli ultimi 6 anni (su un totale di 1210), e chi soffre di più sono gli storici monosala sparsi nei centri delle città, che difficilmente arrancano dietro alle produzioni mainstream o alle iniziative di marketing ospitate invece nei nuovi scintillanti multisala, e che, come in una lenta e costante emorragia, calano di numero: in assoluto 182 unità in meno dal 2006.

Un cinema è un edificio concepito architettonicamente per una specifica funzione e, se smette di funzionare, o lo demolisci e lo trasformi, o risulta arduo riconvertirlo ad altro uso. Ecco come nascono i cinema abbandonati, fantasmi urbani destinati al degrado e, cosa ben peggiore, all’oblio.

Ci passi davanti e nemmeno li vedi. Perché i cinema in città sono così, sono incastrati nel tessuto urbano dei quartieri. Crollate le pensiline, ridotte a brandelli le insegne luminose e sbarrate le porte da saracinesche colorate di graffiti, i cinema abbandonati si mimetizzano, scompaiono, sprofondano nel buco nero della memoria della comunità del quartiere, che si abitua a rinunciare ad essi.

La recente inchiesta di un gruppo di ricerca della facoltà di Architettura della Sapienza, Università di Roma, ha censito una quarantina di cinema romani tristemente abbandonati. L’intenzione del progetto è duplice. Da un lato sottolineare concretamente gli esiti di un fenomeno, dilagante nelle città italiane, di perdita e degrado dei presìdi socio-culturali a servizio della collettività, tra cui cinema, teatri, sale per la musica, spazi comuni, etc. Dall’altro gettare luce su un altrettanto dilagante fenomeno su cui si interrogano le nuove generazioni di architetti e urbanisti: il generale abbandono di edifici nel cuore delle città che, sebbene spesso testimonianze di grande valore storico e architettonico, soccombono sotto il peso delle nuove logiche edilizie, spesso essenzialmente speculative e privatistiche.

La tendenza è abbandonare i vecchi edifici per costruire nuove immense cubature, i cinema multisala, situati in non-luoghi fuori dalla città, scollegati dai centri di vita effettivi della popolazione e ben lontani nel progetto e nell’esito dall’idea di una città a misura dell’uomo che la abita, partecipata e sostenibile.

Per anni tale tendenza si è sviluppata parallela e conseguente all’abbandono dei monosala cittadini. Tuttavia da qualche anno questi ultimi sono tornati al centro dell’attenzione di diversi soggetti. I proprietari guardano oggi ai vecchi esercizi come scrigni di migliaia di metri quadri nel cuore dei centri storici, trasformabili in attività commerciali ben più remunerative di un cinema.

Le amministrazioni locali di fatto avallano tali intenzioni, come emerge dal convegno sui cinema chiusi ospitato dal Festival del Cinema di Roma 2013, che ha visto come principali relatori esperti la ConfCommercio e l’Associazione Romana Costruttori. L’unica strada ad oggi tentata dal pubblico per rianimare i cinema abbandonati sembra sia attrarre investimenti privati e favorire la trasformazione dei cinema in strutture dal sempre più prevalente carattere commerciale.

A Roma la normativa vigente, chiamata “Nuovo Cinema Paradiso”, consente già di destinare ad uso commerciale il 50% dei cinema abbandonati, ma il recente convegno mostra la volontà di dare ulteriore peso alla commercializzazione di questi esercizi.

Anche i movimenti per i beni comuni hanno posto al centro dell’attenzione il fenomeno dei cinema abbandonati. Le sempre più frequenti occupazioni di spazi culturali urbani lasciati all’incuria e all’oblio mostrano che esiste una forte relazione tra le comunità locali e questi spazi della cultura di prossimità, quella che costruisce la qualità della vita quotidiana urbana.

I cinema abbandonati vengono reclamati dalle comunità di quartiere in quanto “beni comuni”, da recuperare, salvaguardare e mantenere all’uso collettivo per cui sono nati, molto più sentito dell’esigenza di disporre in quegli stessi spazi di ristoranti, appartamenti o negozi. A muoversi in questo senso non sono solo sparuti gruppi di occupanti, ma molti semplici cittadini.

cinema impero-beni comuni

L’esperienza del Cinema Impero, a Roma, lo dimostra. L’edificio fu costruito intorno al 1935 con la tipica architettura razionalista dell’epoca fascista. Frequentatissimo fino agli anni ’70 è scolpito nella memoria del quartiere: ci proiettarono “Pinocchio” nel 1936, la signora che ci abita accanto ricorda di averci visto Celentano per la prima volta, mentre il signore che viene a fare la spesa di fronte ci andava la sera con la moglie, appena sposati. Allora era l’unico intrattenimento nel quartiere periferico di Torpignattara.

Ora, invece, non c’è più nemmeno questo, e se vuoi andare al cinema devi prendere la macchina e andare nel multisala fuori dal raccordo anulare, ovvero fuori dalla città. Il cinema Impero è in drammatico decadimento, ed è un curioso paradosso che di cinema Impero ce ne sia un secondo, esattamente gemello, ma ad Asmara, in Eritrea, dove Mussolini fece costruire una piccola Roma. Quello di Asmara è ancora in uso, perfettamente conservato, quello di Roma è abbandonato al più triste degrado.

Il quartiere, tuttavia, recentemente si è mosso, avviando un laboratorio di gestione partecipata. Quattromila cittadini, interrogati su cosa avrebbero desiderato al posto di quel cinema in rovina, non hanno risposto un centro commerciale o un ospedale, ma un luogo polifunzionale di cultura incentrato sulla riapertura del vecchio cinema.

Il “cantiere Impero” oggi è aperto e ha prodotto una bozza di progetto esecutivo per la restituzione dell’edificio, cui le amministrazioni locali, purtroppo solo ora, si sono affiancate. L’investimento speculativo dei privati, del resto, non è l’unica via al recupero dei cinema abbandonati. è forse la più facile, ma non è condivisa. Esistono altre strade che varrebbe la pena tentare: in un ideale piano regolatore della cultura di ogni quartiere, a costo di mantenere in vita i cinema storici si potrebbero favorire i gestori con affitti agevolati o con sconti sulle spese SIAE, oppure stabilire “affitti sociali” calmierati per associazioni o enti locali che vogliano rilevare vecchi esercizi, e infine si dovrebbe sanzionare chi abbandona un cinema come chi abbandona un cane.

ri-make milano
@mtmsphoto

E invece avviene il contrario. Il progetto Ri-Make, ideato da Macao, ha restituito per un breve periodo alla città di Milano il cinema Maestoso di Piazzale Lodi, storico esercizio nato nel 1912, definito all’epoca del suo splendore “il più bel ritrovo di Porta Romana”, ma chiuso nel 2007 per essere trasformato dai proprietari in una multisala e poi abbandonato ad un destino di degrado. Altrove esperimenti di questo tipo hanno avuto successo: a Roma, ad esempio, Cinema America, Cinema Palazzo e Cinema Volturno sono aperti e funzionanti da anni, ma in questo caso chi, senza chiedere nulla in cambio, intendeva riconsegnare questo spazio all’uso collettivo, per cui era nato ed era vissuto per quasi un secolo, è stato sgombrato il 23 luglio del 2013 e il cinema Maestoso è tornato ad essere un rudere inutilizzato nel cuore di Milano.

I cinema abbandonati sono alcuni degli spazi comuni “indecisi” delle nostre città. Sono luoghi disabitati, dismessi, dimenticati dalla società per incuranza e incultura. Sono luoghi indecisi perché, a dispetto del loro passato, il loro presente è indeciso, ambiguo. Sono trasformati da anni di abbandono e oggi sono parti necrotiche dell’organismo urbano. Chi ne detiene la proprietà può non avere alcuna urgenza di decidere della loro sorte, ma la città ha bisogno di tutte le sue parti e le comunità locali sono obbligate ad interrogarsi sulla natura, oggi indecisa, di questi spazi dalla primaria vocazione comune: perderli, recuperarli o trasformarli?

La risposta non è una, né scontata. Il fenomeno dei cinema abbandonati, tuttavia, spinge ancora una volta a riflettere sulla necessità crescente di coinvolgere le comunità locali nella gestione del territorio. Le esperienze di autogestione partecipata o di occupazione di sempre più numerosi edifici come questi mostrano chiaramente come la città che pulsa dietro alle saracinesche abbassate dei cinema abbandonati reclami il diritto di sottrarre questi beni di uso comune all’indecisione del loro destino, ovvero reclami il diritto di decidere del loro destino.

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Archeologa, con mani e piedi nella terra per deformazione professionale. Tragicamente ottimista, un po’ troppo razionale e cinica, ma perennemente sorridente. Mi piacerebbe che la mia vita fosse (più) facile, sperimentale e progressiva, ma soprattutto etica, empatica, cooperativa. Due cose riempiono il mio animo di commozione: il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me...ma evidentemente non sono parole mie. Scrivo per caso, ma mi sa che mi piace.
1 Commenti
  1. Pier

    Il presente/futuro dell'Italia non è nè nel cenro storico autarchico, comunitaristico e chiuso al mondo (ormai impossibile), nè nella città 'diffusa' o 'liquida', tutta uguale e spersonalizzante, che piace solo agli interessi economici. Nè local nostalgico, nè ingannevole global Ma risiede nel tornare nei centri, rivitalizzarli dove/quando possibile -per ora isole,cioè singole strutture, edifici, plessi; ma tante isole fanno un arcipelago - e connetterli col mondo, ché la scena ormai è globale. Ci sono decine di minifestival di cinema in Italia, a respiro più o meno internazionale. Il futuro/presente è glocal. Anche nel cinema. Anche nei cinema. Il cinema, arte che in Italia è stata somma solo pochi decenni fa, si fa anche restituendo sangue ai luoghi in cui fisicamente si vede, si gusta, si dibatte. Il cinema si nutre di capilarità

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