Violenza economica | Cos’è, quanto è diffusa e come contrastarla6 min read

8 Marzo 2021 Genere -

Violenza economica | Cos’è, quanto è diffusa e come contrastarla6 min read

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L’uomo aggressivo non è solo quello che alza le mani. Ci sono forme di violenza che feriscono quanto quella fisica: sono le offese, lo svilimento, il mettere in dubbio le capacità della compagna, impedirle di lavorare o di frequentare altre persone al di fuori della famiglia. Tra le più nascoste e talvolta inconsapevoli tipologie di violenza, c’è la violenza economica.

Si tratta di un fenomeno poco conosciuto e difficile da quantificare, che però coinvolge numerose donne con conseguenze gravi per tutta la comunità.

A parlarcene è Manuela Ulivi, avvocata civilista esperta in diritto di famiglia e minori e presidente della Casa di Accoglienza delle donne maltrattate di Milano (CADMI). Dal 1986 ad oggi CADMI ha seguito oltre trentamila donne nei suoi servizi di accoglienza, ascolto, supporto psicologico, legale e di accesso al lavoro e alla formazione.

Che cosa si intende per violenza economica

“La violenza economica comincia con il voler condizionare e guidare la vita dell’altro”, esordisce Manuela Ulivi.

La violenza economica ha luogo quando un uomo soggioga psicologicamente una donna con l’intenzione di controllare ed esercitare il suo potere anche nell’ambito economico e finanziario per legarla a sé.

Più nello specifico, prosegue Ulivi, la violenza economica comprende “atti di controllo e monitoraggio del comportamento di una donna in termini di uso e distribuzione del denaro, con la costante minaccia di negare risorse economiche, ovvero attraverso un’esposizione debitoria, o ancora impedendole di avere un lavoro e un’entrata finanziaria personale e di utilizzare le proprie risorse secondo la sua volontà”.

Consulenti, operatrici e operatori di CADMI conoscono bene questo fenomeno e gli esempi seguono a fiume. Dagli uomini che non vogliono che la donna lavori perché “è meglio si dedichi alla famiglia” a quelli che decidono di disporre da soli delle questioni economiche perché “la donna non le capisce”, giungendo a degenerazioni quali costringerla a sostenersi con solo venti euro a settimana.

 I tre livelli della violenza economica

Nell’esperienza di Ulivi, la violenza economica si sviluppa in diverse fasi e, spesso, accompagna episodi di stalking e di violenza fisica. Il primo livello riguarda il controllo e l’esclusione della donna nella gestione delle risorse finanziarie; il secondo vede l’uomo negare con più forza i soldi e, quindi, le libertà di scelta della donna, per esempio nelle spese; al terzo livello la donna viene costretta a erodere il proprio patrimonio o a firmare inconsapevolmente documenti finanziari.

I soldi diventano un mezzo per affermare legami di subordinazione che possono degenerare in forme di ricatto coniugale o atti di vendetta contro le donne che denunciano l’uomo o se ne vogliono separare. Tra i casi documentati ci sono infatti quelli di partner che, in vista di una separazione, hanno tagliato ogni accesso della donna al budget familiare o ne hanno prosciugato il conto corrente comune.

I dati sulla violenza economica

Non esistono statistiche ufficiali sulla violenza economica in Italia e la difficoltà dell’emersione del fenomeno è un ostacolo per tutti i progetti e le realtà che si pongono l’obiettivo di prevenirlo e contrastarlo.

Sono quindi preziosi i dati, relativi al 2019, presentati al Festival dello Sviluppo Sostenibile dal Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL), secono i quali in Italia tre donne su dieci non hanno un conto corrente e non possono gestire da sole i propri guadagni. Al sud la situazione è ancora peggiore: a non essere autonomo nelle spese è il 46% delle donne. Se quasi l’80% delle laureate ha un proprio conto corrente, nessuna lo possiede tra chi si è fermata alla licenza media.

D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza), associazione che raccoglie oltre 80 centri antiviolenza in tutta Italia, fornisce al riguardo altri importanti dati. Il 79% delle donne che vengono accolte nelle strutture denuncia episodi di violenza psicologica, il 61% di violenza fisica e il 34% di violenza economica. Quest’ultima percentuale, bassa rispetto alle altre, non indica una minore diffusione del fenomeno, ma piuttosto una minore consapevolezza al riguardo.

Anche se non abbiamo ancora dati elaborati sul 2020, ci si aspetta che la pandemia abbia un impatto molto negativo sulla violenza economica, contribuendo alla sua diffusione, in linea con quanto sta accadendo per il fenomeno della violenza sulle donne in generale e con la perdita di lavoro e autonomia economica che sta riguardando molte donne.

violenza economica
Photo by Melissa Walker Horn on Unsplash

Le leggi per contrastare la violenza economica

La violenza economica è riconosciuta dalla Convenzione di Istanbul, approvata dal Consiglio d’Europa nel 2011. Si tratta del primo trattato internazionale che affronta il tema della violenza di genere nei suoi numerosi aspetti, e l’articolo 3 cita la violenza economica come componente della violenza domestica, che comprende “tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia (…) indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima».

In Italia la prima legge sulla violenza è arrivata solo nel 2001. “Da allora è iniziata una fase di approfondimento delle varie forme di violenza che è ancora in corso” afferma Manuela Ulivi.

Un importante strumento per garantire l’indipendenza di donne che hanno subito violenze è oggi il Fondo per il reddito di libertà, che è stato istituito dal decreto Rilancio (art. 105 bis del decreto n. 34 del 19 maggio 2020) come una delle risposte agli effetti economici della pandemia, in particolare per le donne in condizione di maggiore vulnerabilità e con lo scopo di “favorire, attraverso l’indipendenza economica, percorsi di autonomia e di emancipazione delle donne vittime di violenza in condizione di povertà”.

Il decreto Rilancio ha così rifinanziato con tre milioni di euro un fondo che in realtà già esisteva da diversi anni e che si chiamava “Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità” (art. 19, co. 3 del decreto legge n. 223 del 4 luglio 2006). Il 20 dicembre dello scorso anno, inoltre, è stato approvato un emendamento alla legge di Bilancio per il 2021, a prima firma di Lucia Annibali, per destinare al “Fondo per il reddito di libertà” 10 milioni di euro, metà nel 2021 e l’altra metà nel 2022.

Nel testo del decreto si rimandava ad un ulteriore decreto del Presidente del Consiglio che avrebbe stabilito i criteri di ripartizione delle risorse, ma questo nuovo decreto non è ancora stato pubblicato e non si conoscono quindi ancora i criteri con i quali il reddito verrà assegnato. Tuttavia al momento il reddito di libertà esiste già in Sardegna dal 2018 (finanziato quest’anno con 300 mila euro) e in Lazio dal 2019 (finanziato con 750 mila euro).

Serve un cambio di mentalità

Al di là delle misure di legge, la violenza economica, su cui come abbiamo visto c’è ancora poca consapevolezza, rende necessari ulteriori e specifici interventi a tutela dell’indipendenza della donna e, soprattutto, richiede un radicale cambio di mentalità da parte di tutti gli attori in campo.

I percorsi di uscita da queste situazioni infatti non sono facili. Raccontare le violenze subite significa ammetterle e riviverle, provare dolore, ma anche vergogna e timore di essere giudicate. Per questo, fa capire Manuela Ulivi, è fondamentale rispettare sempre le volontà della donna e condividere con lei ogni iniziativa. “Separarsi da un violento significa metterlo in discussione e non bisogna dimenticare che è una persona alla quale all’inizio la donna si è comunque legata e che magari al di fuori della famiglia appare come una persona brillante. Quando ti condiziona per anni, è difficile organizzarsi con la propria testa. Bisogna riprendere una propria prospettiva”.

Si tratta di un percorso molto difficile, che riguarda anche la violenza economica. E riguarda anche gli uomini, che devono rieducarsi, imparare a guardarsi dentro e cambiare: “è un’educazione che deve essere diffusa fin dall’età infantile, una riflessione che serve per evitare comportamenti di controllo, dominio, vendetta contro le donne”.

Estirpare questi comportamenti è un obiettivo di lungo periodo, ma è anche il più efficace per ridurre la violenza economica, e non solo, contro le donne.

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Nordico con le radici nel Sud, studia critica letteraria a Trento, insegna tedesco e italiano in Alto Adige e scrive per alcuni giornali locali. Ha lavorato per alcuni anni con persone di strada e migranti e vorrebbe scrivere di professione, perché pensa che siano le storie a dare senso al mondo. Il sogno? L'Africa.
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