Femminismo in Senegal, contro la violenza e la società patriarcale8 min read
Reading Time: 6 minutesLa società senegalese è patriarcale e patrilineare, ovvero basata sul potere paterno. Questo significa che le proprietà, l’eredità e il nome passano da padre in figlio. Vige anche la regola del matrimonio patrilocale dove la residenza della coppia è determinata dalla residenza del padre del marito.
Il principio guida della società è che gli uomini sono la fonte di ricchezza della famiglia e quindi i detentori di autorità. Idealmente, nella società senegalese, gli uomini devono avere una buona situazione economica e finanziaria e sostenere tutta la loro famiglia allargata e le donne devono prendersi cura della famiglia, fare figli e occuparsi della sfera privata.
I ruoli di genere attribuiti a donne e uomini si basano su questi principi. Per esempio, la responsabilità per la pulizia della casa è considerata come una disposizione naturale che ricade principalmente sulle donne, quindi, fare i lavori domestici è ritenuta un’abilità gratificante e un dominio specificamente femminile. Gli uomini coinvolti nelle faccende domestiche sono percepiti come “effeminati” o “toubab” (bianche) e, nella maggior parte dei casi, se un uomo contribuisce ai compiti domestici è perché sta facendo “un favore” alla propria moglie e/o madre.
Nonostante questo tessuto sociale conservatore e tradizionalista, in Senegal i movimenti femministi – da sempre attivi – stanno prendendo sempre più spazio grazie anche all’utilizzo dei social network e delle piattaforme online.
Le protagoniste del femminismo in Senegal
Il femminismo in Senegal è una storia complessa e longeva di movimenti, personalità, attiviste che in varie epoche e in modi diversi si sono battute e si battono per i diritti di tutte e tutte.
Per raccontare il lavoro quotidiano di alcuni attivisti e attiviste, la sede dell’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo sviluppo (AICS) di Dakar ha lanciato la rubrica Adelphité: dialoghi di attivismo raccogliendo una serie di interviste a femministe che lavorano in diversi settori.
Oggi il femminismo non è più riservato ad un élite. Ci sono le femministe nelle zone rurali che si occupano di agricoltura, le domestiche, le venditrici di arachidi e di incenso, queste donne possono essere femministe, perché si battono attraverso i loro commerci, la propria autonomia, mostrano che anche loro possono superare i limiti che la società vuole imporre per sbarrare loro la strada.
È quanto riporta Fatou Warkha Sambe nell’intervista alla rubrica Adelphité. Fatou Warkha Sambe è una giornalista di formazione, ha fatto della lotta contro la violenza sulle donne e lo stupro la sua battaglia quotidiana e in Senegal fa parte delle femministe e attiviste di spicco della nuova generazione. Attraverso il suo canale on line Warkha Tv, denuncia la violenza verso le donne, gli stupri impuniti, il divieto dell’aborto, fatti di cui nella società senegalese si parla sempre di più. Combatte questa battaglia da diversi anni, da sola e a volte in gruppo attraverso il collettivo Dafa Doy (in francese “ça suffit” in italiano “ora basta”), di cui è vicepresidente.
Daf doy è un collettivo di più di 40 associazioni che si battono contro la violenza sulle donne, ragazze e bambini/e. Il collettivo è nato a maggio del 2019 quando in una settimana si sono susseguiti tre femminicidi che hanno scosso l’opinione pubblica senegalese: Bineta Camara, 23 anni, strangolata dopo un tentativo di stupro da un amico di famiglia; Coumba Yade, 26 anni, violentata e assassinata dal suo ex compagno e una donna di circa 30 anni trovata morta con segni di violenza tra i rifiuti di un mercato di Dakar.
Per dire basta alla violenza contro le donne ed esigere la criminalizzazione dello stupro e della pedofilia, il 25 maggio 2019 il collettivo Dafa Doy ha organizzato il suo primo sit in. Come risultato, il 10 gennaio 2020 è stata poi approvata la legge che ha innalzato la pena per questi reati dai 5 anni previsti da una legge del 1999 fino a 10 o massimo 20 anni di reclusione.
Dopo questa prima esperienza, il collettivo continua a organizzare manifestazioni e campagne sui social network a sostegno delle vittime di violenza incoraggiando la denuncia e per portare l’attenzione sull’impunità. Degli esempi in questo senso sono i casi di Adji Sarr, che ha accusato di stupro il principale oppositore politico Sonko; Louise, una ragazza 15enne che ha accusato di stupro e di diffusione di un video dello stesso un diciannovenne figlio di un celebre giornalista senegalese che a sua volta fu condannato per violenza sessuale; Fatima Dione, ex miss Senegal che ha denunciato dei casi di presunte violenze ai danni delle miss. Per tutti e tre i casi le indagini sono al momento in corso.
Fatou Sambe ha dichiarato in un’intervista: “Personalmente, come attivista femminista, ogni volta che qualcuno dice di essere vittima di stupro o di violenza, la sostengo fino a prova contraria. È una questione di principio. Come femministe, siamo tra coloro che credono che dobbiamo dare credito alle parole delle sopravvissute, a coloro che dicono di essere vittime. Dobbiamo accompagnarle, sapendo che l’ultima parola è ora nelle mani della giustizia, della legge. Siamo in una società patriarcale, il che significa che ogni volta che una sopravvissuta alla violenza o allo stupro parla, la domanda che spesso viene fatta è: “Cosa ci facevi lì? Perché ci sei andata?”
Il femminismo radicale non vuol dire escludere gli uomini ma vuol dire avere un confronto diretto con loro.
Così racconta Khaira Thiam, specialista in patologia psichiatrica e criminologia clinica, attivista femminista radicale. La società patriarcale e patrilineare senegalese mette gli uomini al centro della sfera pubblica e famigliare: sono loro la fonte di ricchezza della famiglia e quindi detentori di autorità mentre le donne devono prendersi cura della famiglia, fare figli e occuparsi della sfera privata.
Le femministe senegalesi sono in prima linea per sradicare il sistema patriarcale e la cultura del silenzio attorno alle violenze sulle donne. “Le giovani donne oggi hanno gli strumenti intellettuali, finanziari, tecnologici , creativi che le nostre madri non avevano all’epoca in cui hanno iniziato a militare e che ci permettono oggi di essere ad armi pari con gli uomini anzi, di essere meglio armate degli uomini” sottolinea Khaira Thiam. “Gli uomini sono meno armati delle donne per subire gli assalti di un gruppo contro un altro perché le donne è dalla notte dei tempi che subiscono gli insulti, le molestie quindi ora è il momento di riequilibrare la bilancia!”.
I collettivi femministi sono anche alla base delle campagne di pressione politica per la promuovere la revisione dei testi di legge discriminatori per le donne. “Quando, oggi, si parla della podestà genitoriale, a causa della quale le donne non hanno il diritto di far viaggiare i propri figli senza l’autorizzazione del papà; quando, oggi, si parla dell’impossibilità di autorizzazione dell’aborto medicalizzato in caso di stupro e di incesto; quando parliamo di tutto questo, dei casi di stupro impuniti, ecco queste sono delle cose concrete !” dichiara Fatou Sambe. “Quindi, noi che siamo femministe, sono queste le cose che dobbiamo combattere. È questo tipo di lotta di cui dobbiamo farci portatrici in modo concreto”.
Tra le più grandi vittorie dei collettivi femministi degli ultimi anni, oltre la legge del 2020 che criminalizza lo stupro, abbiamo la legge del maggio 2010 sulla parità assoluta in tutte le istituzioni totalmente o parzialmente elettive. Questo significa che le liste che non presentano un numero uguale di candidati uomini e donne saranno invalidate.
L’attivismo femminista e la mobilitazione delle donne non sono tuttavia una novità in Senegal. Già in epoca coloniale ci sono stati eventi che hanno segnato la storia del Senegal.
Ndaté Yalla Mbodj è stata l’ultima grande regina dei Waalo, un regno situato nel nord-ovest dell’attuale Senegal, nonché un’eroina della resistenza alla colonizzazione francese nell’Africa occidentale del XIX secolo. Sempre nel Walo, un altro episodio storico è la resistenza delle donne di Nder che, per non soccombere ai mercanti di schiavi arabi, prima combatterono travestite da uomini per respingere l’aggressione e poi, per non farsi imprigionare, sotto la leadership di Mbarka Dia il 7 marzo 1820 organizzarono un suicidio collettivo. Nel sud del paese invece è ricordata la storia di Aline Sitoe Diatta, altre figura femminile emblematica della resistenza della Casamance all’amministrazione coloniale nei primi anni del 1900.
Oltre alle attiviste di oggi e le eroine di ieri, l’attivismo passa anche attraverso la letteratura. Fra le scrittrici Mariama Ba con il famoso il suo libro Una così lunga lettera in cui tratta il tema della poligamia, o anche Ken Bugul che con il suo libro Riwan ou le Chemin de Sable racconto delle pressioni che la cultura ha sulle donne.
Le priorità che i movimenti femministi stanno portando oggi in Senegal avanti riguardano le modifiche dei codici di legge discriminatori, in linea con il protocollo di Maputo ratificato dal Senegal, la legalizzazione dell’aborto medicalizzato e l’applicazione concreta ed effettiva delle leggi sulla parità e la criminalizzazione delle violenze sessuali. “Dunque, è davvero necessario rendere effettive queste cose che vengono definite acquisite ma bisogna metterle in pratica. Una pratica concreta!” conclude Fatou Warkha Sambe.
Le interviste complete a Fatou Warkha Sambe e Khaire Thiam sono disponibili sul sito dell’AICS Dakar e fanno parte della serie di racconti Adelphité: dialoghi di attivismo. Per più di info sui femminismi africani, Rama Salla Dieng, Féminismes africains: Une histoire décoloniale.