Mostri e Bravi ragazzi8 min read

21 Novembre 2023 Genere -

Mostri e Bravi ragazzi8 min read

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articolo scritto da Raya Ferrantini

Il report del Servizio analisi criminale della polizia conta 105 donne uccise nel 2023. Un numero, questo famoso cento e qualcosa, che ormai tutti conosciamo, grazie alle testate dei più importanti giornali italiani. Capire ciò che veramente si cela dietro ai conti è ben altra cosa.

Chi era Giulia Cecchettin? Una ragazza normale, con una famiglia che le voleva bene, che studiava per la laurea. Che faceva, di così diverso da noi? Noi vivi. Faceva la spesa forse, andava alle lezioni in università, si presentava agli esami, usciva con gli amici e via dicendo. 105 Giulia quest’anno, che conducevano una vita come la nostra, camminavano sulla stessa strada nostra, nella medesima città, conoscevano forse persino quell’amica di un’amica che qualche volta ci capita di rammentare.

105 figlie, madri, sorelle, amiche, conoscenti. O amiche di un’amica. 105 donne, persone come noi.

Ma la questione del cento e qualcosa non è finita qua, perché non dobbiamo capire questo numero solo in termini umani, dobbiamo sentirne l’emozione, analizzarne i modi, i tempi, le coniugazioni. Quante donne non sono fra quelle 105, ma saranno parte dei dati dell’anno prossimo? Quante, ad oggi, convivono con quello che sarà il loro assassino? Quante sono anche sposate con lui, quante dipendono economicamente dall’uomo che hanno in casa? Quante donne incontreranno un uomo domani, che le ucciderà fra due, tre, quattro anni, o forse fra un mese? 105 sono le donne uccise quest’anno. Quante quelle vive che oggi hanno paura, sono inseguite, sminuite, abusate dall’uomo che tutti conoscono perché studia o lavora tanto, perché frequenta la chiesa, l’università, la palestra, perché è figlio, padre, fratello, amico, conoscente. O amico di un amico.

Noi li conosciamo tutti, questi bravi ragazzi, che sono diventati per magia dei mostri. Il bravo ragazzo è tale anche a prima vista: in prima pagina, parlando di molti femminicidi, ecco che spunta la foto della coppia innamorata: è il caso di Ada Rotini, uccisa dal marito nel 2021, che tiene nelle varie foto pubblicate dai giornali la mano sulla spalla di lui, mentre stanno vicini.

Come una coppia normale, come tante, con lui che è un così bravo marito. Foto della coppia sorridente anche per Stefania Pivetta, uccisa insieme alla figlia nel 2022. Lui “un vulcano di idee, un professionista del suo settore”. Selfie di vittima e assassino buttati in prima pagina anche dopo la morte di Anna Borsa, uccisa nel 2022 dall’ex fidanzato, che “voleva una famiglia”. Il loro un “cammino insieme fin dall’adolescenza”.

@Sydney Sims

Uomini bravi, bravissimi, amorevoli, grandi lavoratori. Le morti di queste donne, che fanno parte delle statistiche dei femminicidi degli anni scorsi, sono dipinte come le tragedie della loro storia romantica. L’indagine che si apre, fin dai primi articoli giornalistici, mira a soddisfare il lettore con un apparente motivo per cui il bravo ragazzo è diventato un assassino.

Si scava nella vita privata della coppia per scoprire tutte le possibili cause per cui “qualcosa è andato storto”. Si passano in rassegna i desideri- “volevo una famiglia”- la vita lavorativa- “un vulcano di idee”- e tutti gli aspetti più umani del femminicida. Si va a cercare, in alcuni casi, la prova che la vittima fosse felice- così viene trovato un post di Stefania Pivetta, che nel 2015 affermava che era fortunata ad avere il marito.

L’indagine, talvolta mossa da un certo gusto per ciò che è terrificante, finisce spesso per trovare, anche se indirettamente, la causa del gesto in un determinato comportamento della vittima. L’averlo lasciato, tradito, snobbato e così via. Come diceva Michela Murgia in una sua intervista, nella mente del lettore si crea una certa consequenzialità, un nesso di causa ed effetto, per cui se lei non avesse voluto lasciarlo, lui non avrebbe fatto niente.

Una logica guidata dal linguaggio che ci porta a pensare che la colpa possa essere condivisa e quindi risiedere nell’azione della vittima stessa. La retorica del bravo ragazzo in sostanza ci porta a congetture varie sulla responsabilità della vittima, che diviene comparsa, e non più protagonista, nella storia della sua stessa morte. Si discute quindi del fantomatico ultimo appuntamento a cui Giulia Cecchettin e molte altre non avrebbero dovuto presentarsi. Qualcuno ci dice di stare più in guardia, come se questo bastasse a risparmiarci la morte.

Le donne uccise diventano parte attiva della sua tragica fine, spartendo con l’assassino la colpevolezza del delitto commesso, lasciando poi l’uomo- quel bravo ragazzo- ripulito dal suo crudele gesto, ricorrendo spesso alla scusa del “raptus”, della “pazzia”, de’ “l’amava troppo”. Il bravo ragazzo che ha ucciso Giulia Cecchettin viene in questo modo compreso, compatito, ed esce da questa storia (quasi) illeso, salvo dallo schiacciante giudizio dell’opinione pubblica,  perché una parte di quel peso lo porta Giulia stessa, anche da morta, anche se la vittima, qui, è solo lei.

Quando non è possibile operare una narrazione che comporti una storia d’amore, o che abbia tratti comprensibili per il lettore, si sceglie di far diventare l’uomo in questione- l’assassino, lo stupratore e via dicendo- un mostro. È il caso di Chiara Ugolini, uccisa nel 2021 dal vicino, “una scimmia cattiva”; ma anche il caso dello stupro di Palermo, in cui i ragazzi venivano continuamente etichettati come “branco”. Saremmo portati a pensare che questa, la retorica del mostro, salvi la vittima dall’opinione che alla fine sia un po’ anche colpa sua. Ma invece Ugolini veniva definita “alta, bionda, impossibile” nelle prime righe di un articolo come se la sua bellezza avesse spinto il suo carnefice ad introdursi in casa sua. Si è discusso tanto, poi- e senza alcun rispetto per la vittima- sull’attività sessuale della ragazza dello stupro di Palermo.

Per quanto riguarda la ricerca della causa- l’indagine per i cui i media si arrabattano- i mostri, i branchi e le bestie sono tutte etichette che già di per sé raccontano il motivo del reato: non sanno far altro che uccidere e stuprare. Così la violenza dell’uomo in questione è spiegata dalla sua natura di mostro. E apparentemente non ci serve sapere altro. Quando al telegiornale ci dicono che è stata una belva a togliere la vita ad una donna, noi tiriamo un sospiro di sollievo, perché i mostri non fanno parte del mondo reale. Gli orchi abitano le fiabe, le bestie rimangono nelle foreste: il momento in cui questi nuovi mostri si avvicinano di più a noi sono i minuti che dedichiamo al telegiornale, mentre siamo protetti da uno schermo. Qualcosa, dentro di noi, ci dice che queste storie non sono reali o, quanto meno, che sono molto lontane.

Ci dicono poi che quella determinata storia d’amore è finita in tragedia per un susseguirsi di cause ed effetti particolari, unici, irripetibili. Anche in questo caso, questa narrazione ci fa sentire più al sicuro: noi non stiamo vivendo quella specifica situazione che quella donna ha vissuto, non abbiamo fatto niente di sbagliato che porti qualcun altro a cambiare così rapidamente nei nostri confronti, niente che lo faccia passare dal giurarci amore eterno al volerci uccidere.

Le storie di femminicidio da parte di fidanzati o ex non ci fanno così paura, perché stanno anche loro in una dimensione sospesa, quella del caso a parte, unico nel suo genere, dato da innumerevoli sfortune, coincidenze e colpe che non ci riguardano. È rassicurante pensare che la causa della violenza di genere sia una sola, che dipenda dalla situazione, che si fermi lì. Molto più faticoso è accettare che 105 donne sono morte tutte per lo stesso motivo: una cultura del possesso patriarcale, che va molto al di là del caso singolo, e che trova le sue radici nella nostra storia, nelle nostre abitudini, nel nostro linguaggio.

E, sì, nel nostro modo di raccontare di quelle donne che quest’anno, e gli anni prima, sono morte. Non esiste nessun parere medico che confermi l’esistenza del “raptus momentaneo”, niente poi che si avvicini alla “pazzia” data dal troppo amore. Non c’è traccia di alcuna magia, di nulla che possa far scattare un bravo ragazzo al punto dal fargli compiere un gesto come lo stupro o il femminicidio. Non esistono i mostri, le bestie, i branchi. Solo gli uomini che, nei termini della violenza di genere, sono i responsabili di tutti i reati commessi contro le donne. In noi scalpita l’esigenza di mettere una certa distanza fra i vivi e i morti, fra gli illesi e le vittime, fra gli uomini e i carnefici. Questo è comprensibile ed è umano.

Ma ai morti e alle vittime dobbiamo almeno il rispetto di raccontare le loro storie per come davvero sono andate, senza addossare colpe che non esistono, dare strane spiegazioni, mettere la loro foto in prima pagina mano per la mano con il proprio abusante. Anche se tutto questo ci porterebbe a realizzare che le donne vengono uccise solo in quanto donne. Che non si dica che è stato un bravo ragazzo o un mostro ad uccidere Giulia. Ad ammazzarla è stato l’ex fidanzato che pensava a Giulia come ad un oggetto suo, roba sua, di cui poteva disporre a suo piacimento. Fino a toglierle la vita. Fino a farla diventare un numero su di un report della polizia criminale.

105 le donne uccise nel 2023.

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