Essere hikikomori | La storia di Giorgio4 min read
Reading Time: 3 minutesChiusi in casa, in alcuni casi solo nella propria stanza, eliminando quasi completamente i rapporti con gli altri. Spesso un unico aggancio: internet. Sono gli hikikomori, giovani che si chiudono in casa rifiutando i contatti sociali. Abbiamo raccolto le storie di alcuni di loro; le storie sono vere, i nomi di fantasia.
Giorgio si lavava frequentemente e voleva che lo facessimo anche io e suo padre, perché ci teneva che ci togliessimo di dosso quello che veniva da fuori. Dovevamo strofinarci soprattutto le mani ogni volta che tornavamo a casa.
Così inizia il racconto di Carla, madre di Giorgio, che insieme al marito, Claudio, frequenta un gruppo di auto aiuto per genitori di hikikomori.
Anche Giorgio, come tanti altri ragazzi che hanno scelto il ritiro sociale, ha cominciato a ritirarsi e a chiudersi in casa dopo una serie di difficoltà scolastiche e relazionali. Figlio unico, timido, riservato, con un disturbo di apprendimento legato alla lettura e con gusti ben definiti.
“È amante dei film hollywoodiani e della musica jazz, colleziona vinili e adora i documentari di storia e arte. Una persona con delle passioni così, fa fatica con i suoi coetanei. Giorgio si trova meglio, infatti, con gli adulti. Ancora adesso quando qualcuno ci viene a trovare esce dalla sua stanza e, perlomeno, si mette ad ascoltare. Gira per casa, ci passa vicino, ma si vede che è interessato”.
Ma queste caratteristiche non bastano a stilare un profilo di hikikomori. “Alcuni di questi ragazzi sono figli unici, come il nostro; altri provengono da famiglie numerose. La maggior parte di loro ha pochissimi amici ed è chiusa al rapporto sociale, solo alcuni riescono con grande fatica a frequentare regolarmente la scuola. La motivazione non va ricercata in loro ma, in maniera più ampia, nei contesti in cui vivono. Questa è una società votata alla competizione, che segue la legge dell’aggressività, dove la sensibilità e la riflessione vengono viste come elementi di debolezza”.
Il crollo, Giorgio lo vive in terza superiore, dopo una carriera scolastica portata avanti con difficoltà. “È sempre stato un bambino ben educato, buono e responsabile, che a scuola tendeva a subire. Iniziato il Liceo ha tentato di omologarsi, si vestiva come gli altri. Voleva assolutamente avere degli amici, ma poi la situazione è degenerata. La sua era una classe complicata, composta da bulli ripetenti e da femmine competitive”. A un certo punto Giorgio non ha più retto la pressione.
Non riesco a esistere dentro la classe.
Così diceva a casa. I suoi compagni lo aggredivano verbalmente e lo schernivano anche con la complicità dell’insegnante di educazione fisica, perché non era come gli altri. A volte, davano pugni sul muro accanto a lui.
“‘Mi fanno sentire una merda’ ci ripeteva spesso. Lui si voleva togliere dal mondo, far perdere le sue tracce. Credo che il suo dolore mentale fosse insostenibile. É stato un incubo per tutti noi”.
Minato nell’autostima e con un gran senso di solitudine, Giorgio sviluppa crisi di ansia e cade in una chiusura che dura cinque anni. “Nessuno capiva veramente che cosa stava accadendo. Ogni specialista trovava una patologia legata alla propria specializzazione. Gli hanno persino dato degli psicofarmaci e diagnosticato un disturbo ossessivo compulsivo. Aveva invertito il ritmo sonno-veglia. Rimaneva sempre in tuta e non faceva più nulla. Smesso la terapia e grazie alla nostra messa in pratica delle buone prassi indicate dall’associazione, ha cominciato a riprendersi”.
Carla e Claudio entrano in contatto con il gruppo dei genitori dopo un convegno sull’argomento. “Nel gruppo si crea una notevole identificazione. Si piange e si gioisce insieme. Siamo noi i primi a essere cambiati. Abbiamo smesso di fargli pressione e nutriamo meno aspettative”.
Oggi Giorgio ha 22 anni e ha appena scritto un libro di ambientazione storica, in cui le missioni segrete del protagonista si mescolano con parti della sua storia personale. “Sta molto meglio: mangia, dorme e non prende più psicofarmaci. Si sta esercitando con i quiz per prendere la patente”.
“Ogni tanto saliamo in macchina tutti e tre e facciamo un giro fuoriporta. Solo quando superiamo i cartelli che riportano il nome della nostra città, Giorgio si sente meglio. Si rilassa e riprende a respirare. Chissà se trasferendosi lontano comincerebbe a vivere nuovamente. Intanto ci godiamo un po’ la ripresa e facciamo tesoro di quanto è stato. Attraverso la sua sofferenza, Giorgio ci ha insegnato a vedere il mondo in un altro modo, ad apprezzare le piccole cose e a non dare niente per scontato. Lui ci ha mostrato la maniera per uscire fuori dagli schemi”.