Perché un terrone ama lo sci alpino4 min read

28 Ottobre 2014 Uncategorized -

Perché un terrone ama lo sci alpino4 min read

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Perché un terrone ama lo sci alpinoLa storia autobiografica di come un uomo nato e cresciuto in provincia di Brindisi si sia appassionato allo sci alpino.

Premessa: non ho mai messo ai piedi un paio di sci, sono stato solo una volta in montagna – ma era aprile – e ho avuto un’unica esperienza con gli sport invernali la volta in cui mi costrinsero ad andare a pattinare sul ghiaccio. Finì quasi in tragedia: ho imparato almeno venti modi diversi per rialzarmi dopo una caduta e credo di avere ancora le vesciche ai piedi da allora.

C’è qualcos’altro quindi, dietro alla passione per slalom, gigante e discesa libera. Si dirà: Tomba. Grandissimo, icona dello sport italiano a cavallo degli ’80 e ’90, ma, non fosse altro che per ragioni anagrafiche, la gara che ricordo più di Tomba è quella del suo addio allo sci. Quando vinse l’ultimo slalom della sua carriera e rimase in lacrime disteso sulla neve.

Perché un terrone ama lo sci alpino

C’è dell’altro, quindi. Tipo le vittorie di due persone dai nomi poco italiani e le pagine Wikipedia scarne come la lista dei loro successi. In quelle stagioni, siamo sul finire degli anni ’90, noi italiani eravamo semplicemente scarsi, soprattutto negli slalom. Ed io, che ero appena decenne, ricordo chiaramente le due vittorie di Patrick Holzer e Angelo Weiss. Il secondo, vado a braccio, recuperò dopo il settimo posto della prima manche e vinse (in slalom speciale) quello che fu poi l’unico podio della carriera. L’altro è rimasto a lungo un mio idolo, vuoi perché era l’unico italiano vagamente competitivo nel gigante dell’epoca, vuoi perché una volta era il nome da indovinare con la lettera “h” a Passaparola e mi permise di fare un figurone.

Credo abbia anche influito la mia passione per le chiome bionde femminili – nata all’incirca a metà degli anni novanta grazie a Kelly Taylor di Beverly Hills ed Emma Bunton delle Spice Girls. Ammetto di aver subito il fascino delle code bionde che svolazzavano dal casco delle sciatrici. Così per un periodo (breve) della mia vita mi è piaciuta anche Anja Paerson – credo perché non l’avevo mai ancora vista senza la maschera. Ed è lo stesso motivo per cui adesso preferisco Lara Gut ad Anna Fenninger (ma in ogni caso si casca sempre in piedi).

C’è molto altro, comunque, in questo anomalo amore per lo sci alpino. Ad esempio un grande nemico da combattere, elemento fondamentale per accrescere l’animosa passione per uno sport. Qui il nemico è una nazione intera, l’Austria, che per certi versi ho sempre considerato la Juventus dello sci, non fosse altro perché, in pratica, vince sempre. Da qui nasce l’avversione a tutti i grandi nomi dello sci austriaco recente, da Hermann Maier (poverino, è stato un gigante), a Eberharter, a Benni Raich fino a Marcel Hirscher.

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E poi c’è stato Giorgio Rocca, l’unico campione italiano dei miei tempi. Rocca è stato il mio piccolo Tomba: no, non è paragonabile al fenomeno bolognese, ma è stato un grande e vincente talento, svanito sotto il peso delle Olimpiadi di Torino. (Sì, lo so che erano solo passati venti secondi ma nessuno fece un intermedio migliore di Giorgione).

Sarà perché ho sempre amato le gare contro il tempo – motivo per cui quando in passato guardavo ancora la Formula 1 preferivo le qualifiche alla gara – ma ricordo chiaramente quando, da bambino, creavo una sorta di slalom tra il soggiorno e la cucina di casa e cronometravo i miei tempi fingendo di essere ogni volta uno sciatore diverso. E facevo sempre vincere Matteo Nana.

Non è facile l’infanzia di un bambino pugliese appassionato di sci. Sono cresciuto sentendomi ripetere che la gara che stavo guardando (fosse anche il gigante di Adelboden) interessava solo a me e ai genitori degli sciatori in pista.

Sarà per questo che una volta ho pensato alla mia vendetta. Avevo scoperto un metodo infallibile per saltare la scuola (ciao Mamma, confesso): il termometro di casa era difettato, nel senso che se si sbatteva manualmente fino a farlo segnare 38°, lui poi si bloccava lì. Restava a 38°. Che vuol dire febbre assicurata. Grazie a questa mossa strategica (scusa ancora, Mamma) ho saltato un paio di settimane da scuola in occasione dei mondiali del 2005. Furono i campionati di Janica Kostelic e Bode Miller. Due che da soli rispondono alla domanda da cui è nato questo pezzo.

Poi c’è che il karma è maledetto, e durante le ultime Olimpiadi invernali ero a letto con la febbre (vera) a 40°. Ho visto le gare, ma in sostanza non ricordo nulla. Eppure sono pronto, anche quest’anno, a godermi la nuova stagione, appena iniziata i soliti austriaci a dominare. C’è ancora un nemico da battere, magari ai mondiali di St. Moritz del prossimo febbraio.

Immagini| japantimes.co.jp| formulapassion.it

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Statistico atipico, ha curato la sezione Sport e amministrato i profili social di Le Nius. Formatore nei corsi di scrittura per il web e comunicazione social, ha fondato e conduce il podcast sul calcio Vox2Box e fa SEO a Storeis. Una volta ha intervistato Ruud Gullit, ma forse lui non si ricorda.
2 Commenti
  1. Fabio Colombo

    Strepitoso. Anch'io, a distanza di un migliaio di chilometri a passa, coprivo in slalom la distanza camera da letto-soggiorno. Vinceva spesso Girardelli.

    • Beppe Ruggiero

      E' un piacere scoprire che non è stata solo una mia pratica. Matteno nana non avrà mai vinto una gara di Coppa del Mondo, ma in Puglia vanta un sacco di successi.

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