Pantani, vi ricordate come scendeva?3 min read

13 Febbraio 2014 Uncategorized -

Pantani, vi ricordate come scendeva?3 min read

Reading Time: 3 minutes
pantani
Ricordiamo tutti le scalate di Pantani. Ma le discese? Vi ricordate come scendeva? Ho ben chiaro in mente quel pomeriggio di giugno del 1994, al Giro. Quattordicesima tappa: Lienz-Merano. Il ciclismo italiano coincideva con due nomi: Bugno e Chiappucci che a causa della mia solita indolenza io confondevo, un po’ come mi capitò anni dopo con Paola e Chiara.

A casa, in quegli anni, il ciclismo era lo sport più seguito dopo il calcio e le scalate di montagna, imperdibili: si rinunciava persino alla pennichella pomeridiana per vivere l’emozione di un De Zan (padre o figlio) che spezzava all’improvviso la telecronaca posata per annunciare lo scatto eroico di qualcuno. Che spesso però si risolveva in un nulla di fatto e il corridore veniva presto ripreso, ingoiato dal gruppo per sparire definitivamente.

Ma quel pomeriggio De Zan urlò: “Ecco che scatta Marco Pantani!” e nessuno lo riprese più. Pantani vinse la sua prima gara da professionista in discesa, viaggiando a 90 km orari su strade strette e tortuose, praticamente steso sulla bici per diminuire al massimo l’attrito del suo corpo, in una posizione che sembrava quasi buffa se non fosse stata spaventosa.

A dimostrare che non era una meteora, il giorno successivo umiliò l’imbattibile Indurain, vincendo la tappa del Mortirolo. C’è un solo sport che ho seguito veramente con passione e senza supponenza, ed è il ciclismo. Ci sono stati degli anni in cui la mia volontà, del tutto autonomamente, mi spingeva ad accendere la tv per seguire le interminabili tappe del Tour o del Giro. Di ciclisti biondi o mechati mi sono innamorata, ho provato una forte emozione davanti a una Maglia Rosa, ho tutt’ora un debole per la professionalità di Davide Cassani.

È buffo, perché io non so neanche andarci in bicicletta, eppure ho amato di questo sport la sua imprevedibilità, l’essere per sua natura bersaglio del caso che si nasconde dietro una caduta, un’alimentazione sbagliata, un cielo troppo piovoso. È tra tutti gli sport, la metafora più amara della vita.

Da quel giorno a Merano inizia per il Pirata una lunga serie di salite aggredite con leggerezza rabbiosa: come in un rito sacro, Pantani si toglieva occhiali, bandana e orecchini, si alzava sui pedali e faceva il vuoto dietro di sé. Troppo presa dall’entusiasmo notavo più tardi, nell’immagine centrata dell’arrivo, la fatica che gli aveva scavato il volto, quell’espressione spesso cupa che Pantani aveva quando tagliava il traguardo.

Gianni Mura una volta gli ha chiesto come mai andasse così forte in salita. Lui ha risposto “Per abbreviare la mia agonia”. Era sempre un po’ inquieto Pantani, nonostante gli occhi liquidi e il sorriso birichino, portava sempre con sé un’ombra, come una crepa. Come una premonizione.

Sempre, a far da controcanto a quelle salite divorate con avidità, le discese erano ripide e improvvise: l’incidente terribile del ’95, fino al grande capitombolo, la squalifica dal Giro del 1999 a Madonna di Campiglio. Una prima umiliazione, presto diventata barbarie, che porterà il Pirata a precipitare in un voragine di coca e solitudine, fino alla morte in un residence di Rimini. Da quel giorno di giugno a Merano erano passati soli dieci anni. Poco, troppo poco per contenere così tanto. D’altronde ricordiamo tutti le scalate di Pantani. Ma vi ricordate come scendeva?

Immagine| gqitalia

CONDIVIDI

I momenti più significativi della mia vita sono stati: quando, a dieci anni, ho interpretato Mary Poppins nel musical Mary Poppins e quando ho indovinato la definizione di integrale agli orali della maturità. Sono insegnante (non di matematica, of course) e ho una particolare predisposizione per i casi umani. Temo che le due cose siano collegate.
4 Commenti
  1. ASMG

    come un Girardengo appena appena più basso e rock..

  2. ema

    Eccome se me lo ricordo. Mi ricordo tutto. Diventavo matto quando si alzava sui pedali e quando scendeva. Si aspettava tutti il suo scatto. Nessuno aveva mai sentito prima d'ora la voce rotta dei telecronisti. Si emozionavano come bambini increduli quando lui scattava e poi scattava e poi scattava ancora. Così come quando si buttava come un pazzo giù per le discese. Le corse diventavano un'altra cosa. Come quando Ronaldo prendeva palla a San Siro. La partita finiva, iniziava un poema epico. Dove dentro c'era un uomo e nulla più. C'era un salto, cambiava tutto, ti svegliava dal torpore, ti faceva balzare sul divano. Ricordo una salita del tour. Ero a casa di mio zio altoatesino, un uomo che dice una parola ogni due ore. Algido, freddo e chiuso. Scettico verso tutto, uno che prende la vita di spalle. Ma amante del ciclismo. Pantani sotto la bufera si è tolto la bandana ed è partito una, due, tre, quattro volte fino a che non si è scrollato di dosso gli inseguitori, e poi giù come una saetta in discesa sui tornanti con la strada bagnata e il culo sulla ruota dietro il sellino. Mio zio aveva il groppo in gola e gli occhi lucidi. Non ci capiva più niente. Non diceva nulla, ma stava da un'altra parte. Stava lì dove ti portano non i campioni in quanto tali, ma gli uomini che sublimano quella cosa chiamata umanità, che è sofferenza e voglia di superasi, attraverso il sacrificio. Non te la inventi. Ce l'hai oppure no. Assistere a una salita di Pantani voleva dire assistere alla sofferenza, e allo stesso tempo, all'ambizione di superarla. Per quello ti faceva emozionare. Era lo sport nella sua quintessenza, che è sempre molto più di sport, è vita umana tra il fango e le stelle. Amo Pantani e lo amerò sempre, perchè in quegli sguardi cupi, con le pupille nerissime e dilatate, in quella maschera di buio che lui aveva quando tagliava il traguardo c'era un uomo che attraversava su quella bici mondi dentro di se. Per questo nessuno riusciva a stargli dietro. Come avrebbero potuto? Grazie Cinzia, articolo magnifico.

  3. Cinzia Ruggiero

    Grazie a te Ema, il tuo commento era ancora meglio. Cuore.

  4. Davide

    L'unico che mi abbia fatto interessare al ciclismo. Un grande.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

TORNA
SU