Napoli-Fiorentina, le cose semplici e intraducibili5 min read

19 Ottobre 2015 Uncategorized -

Napoli-Fiorentina, le cose semplici e intraducibili5 min read

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I Viola coprono bene. L’undici è omogeneo, disposto ottimamente, ha il terreno fermo sotto i tacchetti. A centrocampo sembrano il doppio, loro, e grazie ma del resto questi sono primi in classifica. Stanno larghi e poi si stringono. Rifiatano e poi s’affollano. Abbondano. Chiudono. Strappano. Mordono. Insomma ci stanno, e io dopo 45 minuti faccio il punto: una squadra quadrata e logica dalle teorie pulite. Però chissà dove sta, come sta, persino chi è, adesso, Gabriel Omar Batistuta, se ha ancora i capelli lunghi in testa e la mitraglietta tra le braccia. Di sicuro non è qui con loro, e allora a noi – che per ora non sembriamo tanto sapere dove siamo, come stiamo e persino chi siamo – va bene così: due fischi dell’arbitro, zero a zero, loro negli spogliatoi e noi fuori la curva.

A mia madre hanno detto buon compleanno in 57 giorni diversi. Come tutte le madri, succede che mentre pieghi il bucato all’improvviso invecchi un po’. Un tratto, un tono, un accento. Una mano. Prima pensavo una cosa, ma’. Cosa. Che Fuorigrotta è l’unico posto che mi vede invecchiare e resta, ché uno quando passa da vecchio a molto vecchio non invecchia meno di uno che da giovane si fa meno giovane. In che senso. Che io sto lì, tutto cambia e passa – anche io: cambio e passo – che insomma le cose si spostano in ogni caso e però uno sta allo stesso, diversissimo posto, nei vestiti della stessa, diversissima persona; non è semplice da spiegare, Fuorigrotta sta ferma eppure mi segue: se andassi in chiesa potrei dire qualcosa di simile. È la tua chiesa, si potrebbe dire. Ciao e forza Napoli. Forza Napoli.

Un giorno all’improvviso
mi innamorai di te
il cuore mi batteva
non chiedermi il perché…

La Fiorentina aveva pareggiato, il settore ospiti era esploso, le cose quasi sempre dipendono. Dipende se sei povero, per dirne una. Se vai di fretta, dalle prospettive. Se stai sotto o se stai sopra, a volte anche sottosopra. Dipendono da chi sì e chi vuò, che fa’ e che vuò. Quindici minuti possono essere striminziti, ma anche soffiare verso l’eterno. Si crea una vita umana in quindici minuti, del resto anche in meno. Si scoprono tradimenti, tengono discorsi, ci si spiega e poi non ci si intende, e allora ne servirebbero altri quindici di minuti, a volte un’altra vita e forse neanche basterebbe. Quando i tuoi sono in vantaggio sei nella resina fresca, tutto è colla. Vinci, ma è un momento bello che procede al contrario: di solito passano in fretta, quello non passa mai. Mi giro e osservo, le facce si stanno squagliando come meravigliosi e fottuti orologi appesi in un quadro dai baffi aguzzi. Eh ma accussì je mor a 40 ann’, però. Lo dico con l’80’ del tabellone negli occhi, con la palla che balla tra i piedi viola e noi giù a ringhiare, cinque minuti dopo il 2-1 di Gonzalo (61 reti in Azzurro, a segno negli ultimi cinque incontri al San Paolo) e 34 dopo l’1-0 di Insigne (sempre gol nelle ultime tre partite, già più concreto ora anche più continuo).

…di tempo ne è passato
ma sono ancora qua
e oggi come allora
difendo la città

Fì-fìì-fìììì. Liberi. Due a uno. Liberi. Quelli hanno ragione, comunque: ventidue uomini in mutande che corrono dietro a un pallone. Hanno ragione che le cose importanti sono altre, e quando le capirò non sarà troppo tardi ma subito meno bello. Ventidue uomini, un pallone, la nostra curva, la città. Ché se entri in campo e t’avvicini è così: corrono dietro a una palla, ‘na cosa semplice. E allor’? Allora come succede con certe cose semplici sa essere intraducibile, anche superflua, mica muori di sete. E però guarda qua, apri qua, leggi qua: romanzo collettivo, spasmo di grazia e disgrazia che scriviamo anche noi, ogni volta, da lassù. Oi ma’, e lascia stare il cassetto e il bucato mò, ci sono i giocatori sotto la curva, Hamsik e Reina, che noi non pronunciamo quasi mai i loro cognomi, che cantano con noi, il tamburo scuote la curva e tutta Napoli fino a Bagnoli, con la partita finita da dieci minuti, due giorni, tre anni, chi se lo ricorda, le braccia aperte e le sciarpe, i bandieroni avvitati, gli studenti e i lavoratori, gente valida e mediocre, onesti e figli di puttana, Scusa Cucchi ma da Napoli la linea torna a chi stava parlando perché io oggi lascio la tribuna stampa, cambio settore, vale la pena viverla ‘sta cosa mica solo commentarla.

Poi rientri a casa. Le chiavi nel cassetto, l’acqua che scorre, le mani sotto l’acqua, le mani in faccia. Ripensi, elabori, decanti. In quei momenti vorrei portarle tutte lì le persone alle quali voglio bene. Anche se non tifano Napoli, non seguono il calcio, persino se sono di altre squadre. Vorrei far salire loro quei quattro, cinque scalini, entrare in curva e donare come quando si donano le cose belle e non si sa, di preciso, cosa dire: cu l’uocchie, con gli occhi. Non è sempre così, sappilo, non dimenticarlo mai. Però oggi sì: guarda, ascolta, respira, tocca, godi, fatti fare del male. Lo senti? Ti bussa dentro, bussa a tutte le porte della città, scomoda cento ricordi con un giro di campo. Te l’ho detto, era una cosa semplice. Io non te la sapevo raccontare: ti ho portato qui perché è intraducibile.

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Napoli, luglio '87. Due mesi prima gli Azzurri vincono lo scudetto, lui arriva in ritardo. Una laurea in Storia contemporanea, ma scopre che la Storia non si ripete. Poi redazioni, blog, libri, ciclismo, molti aerei, il tifo, la senape, la vecchia Albione, un viaggio di 10mila km in camper in capo al mondo. Per dimenticare quel ritardo sta provando di tutto.
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