Migrazioni nell’Unione Europea: il caso dei cittadini comunitari espulsi4 min read

6 Maggio 2015 Politiche migratorie -

Migrazioni nell’Unione Europea: il caso dei cittadini comunitari espulsi4 min read

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Migrazioni nell'Unione Europea: il caso dei cittadini comunitari espulsi

(di Marta Mateos Revuelta e LaBisonte)

Quali vite meritano di essere salvate? Qual è il valore, oggi, di una vita umana? La politica migratoria dell’Unione Europea e dei suoi stati membri assomiglia sempre più a quello che la filosofa Judith Butler chiama piano di guerra, piuttosto che una strutturata gestione dei flussi migratori. Una situazione che divide tra vite umane che devono essere considerate tali e vite da cui si può prescindere, anzi che danno fastidio.

Le basi sulle quali è costruita l’Unione Europea sono libertà di circolazione e nazionalità europea, il che dovrebbe garantire il diritto di ogni persona comunitaria ad essere trattata come tale alle frontiere. Invece non è così: per tutti l’Unione Europea si sta trasformando in una fortezza, che stabilisce quale vita ha dignità e quale no in base al reddito e alla nazionalità, vite usa e getta a cui voltare le spalle a seconda della categoria.

Con il passare del tempo cambiano metodi e modi di classificazione, ma sempre più avviene una distinzione tra persone di prima e di seconda classe. E non più solo quando si parla cittadini extracomunitari.

Le migrazioni nell’Unione Europea: vite di prima e di seconda classe

Lucio, cittadino italiano residente a Bruxelles, nel 2014 riceve dal governo belga un ordine di espulsione. Nel documento, Lucio viene definito come “persona senza nessuna possibilità di trovare lavoro”. Questa pratica del governo di Bruxelles di espellere cittadini italiani, bulgari, spagnoli, rumeni viola la Carta dei diritti fondamentali dell’Ue e la Direttiva Europea 2004/38 sulla Libera Circolazione. L’espulsione prevede il divieto di tornare nel dato paese, discrimina per nazionalità e avviene spesso in seguito ad una richiesta di aiuto all’assistenza sociale.

Il caso belga non è purtroppo isolato: Inghilterra, Francia e Germania stanno seguendo la stessa logica, applicando provvedimenti restrittivi alla libertà di circolazione in Europa anche per cittadini comunitari. In Germania nel 2014 è stata approvata una legge che prevede la perdita del diritto di residenza nel caso in cui non si trovi lavoro in sei mesi. Per reagire a questo restrizione della libertà di circolazione nell’Unione Europea sono nati movimenti come People in Movement in Germania e Europe4People in Belgio, che si vanno ad aggiungere a soggetti come 15M Bruxelles e Marea Granata che hanno iniziato a trattare queste problematiche.

Nell’aprile del 2014 15M Bruxelles ha presentato una petizione al Parlamento Europeo denunciando la violazione della Direttiva Europea 2004/38 da parte della legge belga e il 30 marzo 2015 il movimento si è riunito insieme a Marea Granate e vari europarlamentari per far conoscere loro questa tematica. Il Parlamento Europeo ha recepito la petizione dei movimenti, vedremo quali saranno i risultati.

Cosa accade quando una persona viene espulsa?

In anni di crisi economica così pesante molti cittadini che hanno ricevuto l’espulsione non hanno neanche preso in considerazione l’ipotesi di tornare nel proprio paese, piuttosto sono andati avanti vivendo in clandestinità. Ma come vive una persona che non esiste per lo Stato? Lavora in nero, senza previdenza sociale, senza strumenti legali per difendersi dagli abusi di chi lo sfrutta e con una paga da fame, determinata dal suo essere persona invisibile e senza diritti. I soldi appunto: chi ha interesse a tenere una massa di persone in questa condizione di invisibilità, esseri umani disposti a qualunque lavoro e a qualunque paga. Chi ha interesse a esternalizzare la povertà? Qui dovremmo guardare per capire alcune scelte politiche…

Qual è la radice del problema? Sono i singoli stati o è l’Unione Europea che impone una logica economica alla libertà di movimento delle persone? È una violazione della Direttiva oppure no una logica che apre e chiude le frontiere a seconda degli interessi economici dei singoli stati, come fossero soggetti altri dalle persone? La libertà di circolazione è un pilastro dell’UE oppure no?

Extracomunitari e comunitari: le cose che abbiamo in comune

La risposta la possiamo trovare nell’analisi di quello che sta accadendo nel Mediterraneo. Il 19 aprile 2015 novecento persone sono affogate a pochi km dalle coste di Lampedusa. Sono trascorsi anni di indifferenza nei quali abbiamo ignorato una semplice verità, ossia che un controllo maggiore porta a tragedie più grandi, le cui vittime sono coloro che cercano di sfuggire alla fortezza. L’Europa è responsabile di queste immani tragedie e lo dimostra l’ esistenza di Frontex, che tratta la migrazione come un problema di sicurezza con un disprezzo per la vita assoluto. L’Europa non dà risposte e continua ad avere un atteggiamento ipocrita, tragedia dopo tragedia.

All’ennesima catastrofe nel Mediterraneo l’Unione Europea ha risposto con l’aumento dei controlli in mare, senza fermarsi a riflettere e farsi delle domande sulle proprie politiche di respingimento, che portano migliaia di persone a mettersi in mano agli scafisti e a rischiare la vita in viaggi mortali. Rispettare la dignità della vita umana dovrebbe portare l’Unione a creare dei canali sicuri per chi cerca rifugio in Europa.

L’Europa non solo è parte del problema, ma è tra i principali responsabili di queste morti. Colpevole di imporre una politica migratoria classista (lo sappiamo, ci piacciono gli stranieri coi soldi), creando un circuito in cui xenofobia e neoliberismo si alimentano a vicenda con lavoro nero sottopagato e schiavitù. Se c’è qualcosa che accomuna i cittadini comunitari espulsi come Lucio, le persone abbandonate in mezzo al Mediterraneo e tutti coloro che vivono oggi in clandestinità è l’essere tutti vittime di un sistema neoliberista, che ribalta la gestione dei flussi migratori e trasforma le persone in strumenti di ingranaggio del capitalismo.

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