Marò, la giustizia e la retorica all’italiana4 min read

10 Settembre 2014 Mondo Politica Politica interna -

Marò, la giustizia e la retorica all’italiana4 min read

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marò

Ci sono argomenti che in Italia sarebbe meglio non trattare, avvenimenti che affrontati su un blog, un social network o un quotidiano on line finiscono per innescare cruente flame wars trasformando anche chi di solito si limita a postare teneri gattini e citazioni cristiane in un fanatico partigiano ai limiti del jihadismo.

Uno di questi è la vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due fucilieri di marina del secondo reggimento San Marco (Marò) attualmente trattenuti in territorio indiano con obbligo di firma settimanale presso un commissariato di polizia (obbligo recentemente sospeso per Latorre, a causa delle sue condizioni di salute) in attesa delle decisioni del tribunale speciale a loro dedicato e dei pronunciamenti della Corte Suprema sull’effettiva giurisdizione del caso che ha scosso i rapporti diplomatici fra l’Italia e la potenza del subcontinente.

La sempre “morigerata opinione pubblica italiana”, fomentata da alcuni fra i principali leader di partito e dalle solite testate giornalistiche e blog online ad essi collegati, si è subito schierata su due fronti opposti. Da un lato quelli che “i marò sono degli eroi, ingiustamente detenuti dagli “indiani incivili”, con tanto di raccolte firme, amene canzoncine, proposte per dichiarare una guerra suicida ad una potenza nucleare.

Dall’altro quelli che “bisogna rispettare il diritto internazionale”, “e allora il Cermis”, “i soliti assassini in divisa”.

Chi dovesse invece scegliere di approfondire la questione scoprirebbe che la vicenda ha risvolti ben più ampi che esulano dal ristretto campo delle polemiche caserecce. Ad esempio basterebbe dare un’occhiata alla pagina wiki dedicata alla controversia, o, ancora meglio alla sua omologa inglese (meno viziata da seppur lievi partigianerie) per rendersi conto che siamo di fronte ad un caso che verrà discusso dai giuristi di tutto il mondo nei decenni a venire, dove si affrontano concetti complessi come quello delle acque territoriali, zone contigue e zone economiche esclusive, l’immunità funzionali, norme internazionali antipirateria come la convenzione di Montego Bay, che sembrerebbero dare, in modi e luoghi diversi, ragione ad entrambe le parti in causa.

È perfino uno scontro fra due opposti e antichissimi modi di concepire la giustizia, con l’India che, seguendo la tradizione consuetudinaria dei suoi ex colonizzatori, richiama addirittura il caso della nave turca Lotus, affondata da un imbarcazione francese nel 1926, e l’Italia patria del diritto positivo che giustifica la presenza dei sei fucilieri sulla Enrica Leixe in virtù della (per certi versi controversa) legge antipirateria approvata nel 2011 e fortemente voluta dall’ex ministro alla difesa Ignazio Larussa.

È anche, in definitiva, uno scontro tra i due modi otto-novecenteschi (ma i cui echi si possono rintracciare sino al dialogo tucidideo fra Melii e Ateniesi) di intendere il diritto internazionale e le relazioni fra gli stati. Ovvero da una parte l’interpretazione nazionalista, cinica ma realista, che vede le relazioni internazionali come una palestra nella quale misurare la forza degli Stati, e per la quale non è una contraddizione chiedere che si giudichino in Italia sia i piloti del Cermis che i fucilieri del Kerala.

Dall’altra l’internazionalismo utopico nelle sue varie declinazioni (socialista, wilsoniana, liberale) che crede fortemente nell’esistenza di una giustizia al di sopra delle declinazioni spaziali e temporali, applicabile alle controversie internazionali. Queste due posizioni sono ben rappresentate dagli articoli dedicati alla vicenda dai Wu Ming, e da alcuni dei tanti commenti ad essi.

Sulla via della fiducia per la giustizia hanno deciso, per il momento e nonostante le giravolte di governo e opposizioni, di schierarsi, tramite i loro legali, i due Marò, combattendo una agguerrita (e finora abbastanza vincente) battaglia legale a suon di ricorsi presso la Corte Suprema indiana rifiutando al contempo la sovraesposizione mediatica e i sotterfugi come quello proposto dal sempre fantasioso La Russa che insisteva per candidarli nelle liste di Fratelli d’Italia in occasione delle recenti europee.

La stessa fiducia, nonostante l’evidente e drammatica assenza di norme di diritto internazionale condivise e univoche, vogliamo nutrire noi, con la speranza che questa vicenda possa servire quantomeno a manifestare agli occhi del mondo l’urgenza di norme di convivenza comuni, capaci di evitare in futuro il ripetersi di conflitti come questo o come quelli, ben più gravi, a quali ci troviamo ad assistere ormai quotidianamente.

Resta il fatto che tutte queste dispute legali, questi fiumi di inchiostro, questi esercizi di retorica sono fatti sulla pelle di Ajesh Binky, pescatore venticinquenne, e Valentine Jelastine, suo collega quarantacinquenne, la cui unica colpa è stata probabilmente quella di essersi assopiti nel momento sbagliato, prostrati dalla fatica e dall’abbraccio forte del loro mare.

Immagine| ilmegafonoquotidiano.it

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Quest'anno ho fatto il blogger, il copywriter, il cameriere, l'indoratore, il web designer, il dottorando in storia, il carpentiere, il bibliotecario. L'anno prossimo vorrei fare l'astronauta, il rapinatore, il cardiochirurgo, l'apicoltore, il ballerino e il giocatore di poker prof.
1 Commenti
  1. Pier

    Il diritto internazionale già era in crisi negli anni '80, poi la globalizzazione (inclusa quella degli illeciti) gli ha dato il colpo di grazia. Occorre trovare strumenti agili, rapidi, di ''soft law'', che possano abbattere il pericoloso bipolarismo tra tensione nazionalistica e composizione sovranazionalistica.

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