Marina bellezza o della ritrovata fierezza2 min read

27 Dicembre 2013 Cultura -

Marina bellezza o della ritrovata fierezza2 min read

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Marina bellezza o della ritrovata fierezza
@rosei83

Sono andato a sentire Silvia Avallone un paio di settimane fa, subito dopo aver letto Marina Bellezza. Volevo capire quanto c’era in lei del furore che attraversa i suoi giovani protagonisti. Già accostare la parola furore a giovani, oggi, sembra bizzarro: un po’ come mettere un motore Ferrari su una Smart.

Invece, Avallone ha confermato la sua furia. Gentile, ma ferma. Anzi, ha rincarato la dose. Ha evocato “lo spirito barbarico e ferino” dei suoi personaggi. E la cosa avrebbe meno interesse, se questi non fossero stati ispirati da persone vere.

Marina è antipatica, egoista, eccessiva. Ma bellissima, di feroce determinazione, talentuosa. Andrea è assoluto, integro, puro. Lei vuole quello che tutti già desiderano: il successo, i lustrini, la tv. Lui si fabbrica un sogno nuovo ma profumato d’antico: fare il malgaro, come il nonno. Un lavoro totalizzante, di selvatica dedizione. Si amano, si lasciano, si ritrovano. Crescono. Sempre con una furia cieca, totale, biblica.

Attorno a loro il Biellese, una terra desolata uscita malconcia dall’ubriacatura di un benessere rapido quanto evanescente – ricordate Aiazzone? – ora abbandonata ai crudi morsi della crisi. Due coppie di genitori inetti nel loro compito fondamentale di rendere i figli felici e adulti. E lontano, in America, il fratello di Andrea impersona quel mito infantile, durissimo e fragile come cristallo, che ognuno di noi deve infrangere per crescere.

Diventare adulti, veramente e duramente adulti, fa di loro degli eroi, dei sopravvissuti, dei Robinson Crusoe a casa loro che prendono su di sé il carico enorme di riconquistarsi un pezzo d’Italia, di salvarla, di ri-colonizzarla.

Un “romanzo civile” si diceva fino a poco tempo fa, ma scevro di qualsiasi strascico ideologico, denso di selvaggia e passionale determinazione, che urla la necessità, ribadita dalla scrittrice durante la presentazione, di prendere un’altra strada – non importa se è sterrata, fangosa, abbandonata o vergine – quando la principale, quella che sembrava la nostra, risulta sbarrata.

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Aspirante antropologo, vive da sempre in habitat lagunar-fluviale veneto, per la precisione svolazza tra Laguna di Venezia, Sile e Piave. Decisamente glocal, ama lo stivale tutto (calzini fetidi inclusi), e prova a starci dietro, spesso in bici. Così dopo frivole escursioni nella giurisprudenza e nel non profit, ha deciso che è giunta seriamente l'ora di mettere la testa a posto e scrivere su tutto quello che gli piace.
6 Commenti
  1. Ilaria

    Mi è piaciuta molto la descrizione di Marina e Andrea, gli interpreti di questo libro, del quale caldeggio la lettura. Il loro modo di essere esprime le difficoltà e le reazioni di molti giovani d'oggi, costretti a vivere in questa nostra società priva di valori. Ma i 'nostri eroi' sanno salvarsi prendendo 'un'altra strada... quando la principale... risulta sbarrata'.

  2. Pier

    Già, e questa ''altra'' strada può essere tanto italiana quanto straniera, purché realizzi quanto di meglio c'è nei giovani oggi. Molte persone sopra i 50, 60 anni faticano a capire come oggi, a differenza di una ventina d'anni fa, il ''fare sacrifici'' per ''costruire'' possa risultare anche sterile in una società cmq velocissima, in continuo cambiamento, mondializzata, spesso inafferrabile. Per non parlare di pensioni verosimilmente basse, mutui impossibili, welfare insufficiente ecc ecc.

  3. Chiara

    La furia cieca di cui si parla ha però al contempo due facce: una costruttiva (arrivare a costruire una propria strada) e una distruttiva, che in parte distrugge la serenità e la vita affettiva dei personaggi, che forse, come molti giovani di oggi, pagano un prezzo troppo alto per non chinare la testa, per non rassegnarsi alla pervasiva mediocrità del pantano immobile dell'Italia attuale. I due protagonisti escono sì dal coro, con grinta e tenacia, ma l'inseguire la propria strada (che poi a ben guardare proprio solo loro o nuova non è) li rende assoluti e non necessariamente felici.

  4. Pier

    Difatti la felicità-almeno presente- sembra la grande assente dalla vita dei due protagonisti. A meno che non la si intenda come felicità posticipata, come premio finale, al traguardo (quale? Andrea sembra aver già raggiunto un suo equilibrio, Marina resta sospesa alla fine del libro). In ogni caso, entrambi appaiono soli, priglionieri del loro assoluto. E' la strada scelta -cmq giusta, intatta, integrale - che pare condannarli a questa solitudine.

  5. lorenzo

    Avallone aveva già affrontato in "Acciaio" il tema della Bellezza, che sembra avere un peso notevole nella sua vita di donna. Qui vi associa il desiderio di infrangere ogni barriera e di autoaffermarsi. Un atteggiamento molto "giovane", che suscita simpatia. Ma si sa il coraggio ha sempre un prezzo. Che può essere la solitudine tipica dell'eroe, ma che può essere declinato per ciascuno di noi anche diversamente. Quel che conta è che ciascuno deve alla fine fare un bilancio della sua vita...

  6. Pier

    Già i due personaggi sembrano alieni, per caratteristiche anagrafiche, a fare qualsivoglia bilancio. Sono ancora tutti imemersi nella costruzione di sè, e nel (cercare di) azzerare l'umanità sbagliata da cui provengono. E la solitudine dell'eroe può essere uno stadio, ineliminabile sì, ma transitorio, di un percorso vitale che porti cmq alla condivisione, all'essere insieme

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