Leggete questo post anche se parla di malattia e morte3 min read

13 Ottobre 2014 Società -

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Sociologo

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malattia e morteIl mercato del sabato mattina è disincantato come al solito e sembra che così debba essere per sempre. Ci sono delle meccaniche che si ripetono, e delle variazioni che le oliano. Ci sono dei pensieri che salgono dagli ultimi latrati dei sogni notturni e ti fanno ribaltare la visione delle cose. Il mercato del sabato mattina è solo una possibilità della Storia?

Penso, come immagino molti, a cosa succederebbe se un virus come l’ebola si diffondesse nella regione in cui vivo. Penso anche, come immagino molti, a cosa succederebbe se i venti di guerra che spirano in molte parti del mondo arrivassero anche qui. A come sarebbe, vivere in tempo di guerra.

Sono paure. Paure obiettivamente poco significative e sicuramente mediaticamente indotte. È molto più probabile che io mi sloghi una caviglia giocando a badminton e venga poi colpito da una pericolosa infezione. Però ci penso. E poi penso: ma perché abbiamo così paura di queste cose?

Perché abbiamo dimenticato come si vive, nella morte e nella malattia. Ho studiato sui libri di storia, e sembra che fino a poco tempo fa epidemie e guerre fossero all’ordine del giorno. Sembra poi che a un certo punto della storia dell’umanità siano state abolite.

La mia generazione è cresciuta senza neanche sapere cosa vuol dire, stare in un contesto dove la morte è un elemento presente, quasi uno fra tanti, che sia per guerra o per malattia. È certamente un bene, un passo avanti nella storia dell’uomo. Ma ha un risvolto. Che la malattia e la morte non si accettano più. Che non siamo pronti, non sappiamo come si fa.

Il nostro immaginario è sedotto dall’immagine di corpi in salute, che conducono la loro vita serena dove non succederà mai niente di pericoloso, se non, forse chissà magari, in una lontana quanto inimmaginabile vecchiaia.

La peste, un tempo protagonista di epiche epidemie in grado di spazzare via città quando non intere popolazioni, è oggi ridotta a ruoli da comprimaria in innocui modi di dire “sei una peste!”, “è come la peste”.

Certo, non che malattia e morte non esistano, tutt’altro. Ma prendiamo il tumore, probabilmente la malattia mortale che segna il nostro tempo. È vissuto come un’esperienza personale, e non ha nulla di collettivo. Il riserbo addirittura assurge a valore, in questi casi. Comprensibilmente, peraltro. Insomma, siamo ben lontani dall’idea di epidemia, della malattia e della morte come vissuto collettivo.

Il solo pensiero della nostra pacifica vita squassata da un’epidemia di ebola o da una guerra mondiale ci sembra davvero inconcepibile. Le nostre abitudini ci appaiono più forti, quasi inattaccabili. La fiducia in “una soluzione” in fondo ce l’abbiamo sempre, che arrivi dalla politica, dalla scienza o dalla religione poco importa. Qualcuno agirà, “le cose si aggiusteranno” prima di degenerare e scalfire la tranquillità delle nostre vite.

Non che qualcosa debba succedere. Il mondo sembra spesso, a seguire i media, sull’orlo di qualcosa di grosso. Certo, la storia ci insegna che guerre, epidemie e rivoluzioni ambientali sono parte della storia della Terra e dell’Uomo. Non credo quindi che a un certo punto siano state abolite.

Le ere glaciali, le implacabili eruzioni vulcaniche, l’estinzione dei dinosauri, le tremende epidemie di peste, i lazzaretti, le invasioni barbariche, la guerra dei trent’anni, le guerre mondiali, le cinque giornate di Milano, la resistenza.

Quando le studi a scuola ti sembra tutto parte di una grande favola che concilia il sonno nostro e del nostro tempo. E in fondo è inevitabile, siamo fatti delle esperienze che viviamo. Siamo costituiti dal mercato del sabato mattina, e nulla ci può far sospettare che sia solo una possibilità della storia.

Tuttavia anche la morte e la malattia lo sono, e come il mercato possono diventare una meccanica della vita collettiva. Lottare perché non succeda e al tempo stesso stare al mondo sapendo che sono elementi fondanti l’esistenza non solo personale, ma anche sociale, dell’uomo sulla Terra, è l’equilibrio sostanziale che dovremmo ricercare.

Immagine | Christine Zenino

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Sociologo, lavora come progettista e project manager per Sineglossa. Per Le Nius è responsabile editoriale, autore e formatore. Crede nell'amore e ha una vera passione per i treni. fabio@lenius.it
2 Commenti
  1. Pier

    Vivere stando su un sottile crinale, una sorta di spartiacque che divide la vita diurna, fatta di progetti sogni e slanci, e quella oscura, che comprende anche le possibilità di malattia guerre e catastrofi. E' ciò che succede anche dentro di noi, non dovrebbe essere così impraticabile trasporlo anche nella vita socia

  2. Pier

    ...nella vita sociale.

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