Gli errori non sono orrori: erro ergo sum3 min read

11 Febbraio 2014 Cultura -

Gli errori non sono orrori: erro ergo sum3 min read

Reading Time: 3 minutes
Gli errori-non-sono orrori-erro ergo sum
@strange little woman on stream

[quote align=”center” color=”#999999″]Errore. Hai sbagliato. Page not found. La transazione non è stata accettata. Carta Sim non inserita correttamente. Numero inesistente. Chi sbaglia paga. System error. Un cruscotto che brilla improvviso di spie…[/quote]

La nostra vita è costellata di frasi così, che ci dicono che stiamo sbagliando. Soprattutto la tecnologia, con la sua pretesa di una razionalità controllabile e prevedibile, finisce col farci sentire spesso in colpa.

Ma che c’entra la colpa, che è un attributo psichico e morale, con lo sbagliare la 17° password creata nel mese, digitata nella posta elettronica invece della banca online? Non c’entrerebbe un bel niente, se la nostra cultura degli errori fosse un po’ più sana.

A me sembra che funzioni così: procediamo più o meno fiduciosi, poi ecco l’inevitabile errore, un po’ di smarrimento, e rimediamo in qualche modo. Reset mentale e siamo daccapo. D’altra parte l’errore è sempre grave se seguiamo l’etimologia: ci rimanda nientemeno alla “deviazione” da quella “diritta via” che abbiamo “smarrita”. Erro, ergo mi perdo.

Da bambini possiamo essere stati più o meno fortunati nel nostro imparare (o non imparare) a sbagliare. Non so quanti di noi abbiano fatto la conoscenza col ”Signor Errore” di ascendenza montessoriana. Per la pedagogista, medico di formazione e più avvezza alla commistione anima/corpo dei suoi illustri predecessori e contemporanei tendenti a isolare l’errore nel campo delle azioni umane (e a tingerlo, ahimè, di sfumature morali!), l’errore era importantissimo. Tanto da personificarlo, da dargli nome e cognome. Utopico o realistico?

Spostiamoci nel campo in cui siamo chiamati ogni giorno a prendere decisioni, piccole o grandi, rilevanti per la nostra vita: quello economico. Per un sacco di tempo si è fatto finta che esistesse questo ”Homo oeconomicus”, cui tutti dovevamo uniformarci, perfettamente razionale e in grado di massimizzare il suo utile individuale. Naturalmente, non era previsto l’errore!

Il modello è stato poi giustamente criticato (ma molti lo credono ancora valido ) per la sua assenza di realismo, da varie teorie, tra cui alcune che si ispirano al pensiero sociale cristiano. Una voce originale in questo caso, perché parte dal presupposto della fallibilità umana anche in campo economico, per cui l’errore è reso, realisticamente, intrinseco alle decisioni economiche, e d’altra parte già Agostino distingueva l’errore dall’errante.

Insomma, abbiamo un obiettivo, ci impegniamo tenacemente nel perseguirlo, e poi va come va: le variabili sono infinite! Abbiamo sbagliato? Forse. Soprattutto, abbiamo sbagliato nel non considerare che le conseguenze inintenzionali del nostro agire sono tantissime (vedi la scuola austriaca in tema), siamo sì artefici e demiurghi ma anche umanissimi animali emotivi. Possiamo fare bellissimi piani sulla nostra giornata, poi arriva la vita reale e vince lei.

Quindi, un modesto e sorridente fatalismo verso gli errori. Certo, se prendo male una curva in macchina, o il chirurgo che mi opera mi dimentica i suoi occhiali nel pancreas, non va certo bene. Ma spesso sono errori emotivi, in cui l’emozionalità entra a gamba tesa nell’asettica freddezza procedurale che, proprio per iperazionalismo o iperpianificazione, non ne ha tenuto conto.

E cerchiamo di abbandonare i moralismi. Se diciamo a Tizio ”sei un fallito!”, facciamo un’indebita equiparazione tra un complesso percorso di vita e una specifica situazione economica. In Europa il fallimento dell’impresa è visto come una tragedia e uno stigma, negli Stati Uniti (peraltro non da imitare in molti altri aspetti della vita economica) invece è normale che l’imprenditore passi per molti fallimenti, è il pragmatico” provando e riprovando” di galileiana memoria in salsa made in USA.

Gli errori non sono orrori erro ergo sum

Insomma, se errare è umano, non accettare di errare è diabolico.

CONDIVIDI

Aspirante antropologo, vive da sempre in habitat lagunar-fluviale veneto, per la precisione svolazza tra Laguna di Venezia, Sile e Piave. Decisamente glocal, ama lo stivale tutto (calzini fetidi inclusi), e prova a starci dietro, spesso in bici. Così dopo frivole escursioni nella giurisprudenza e nel non profit, ha deciso che è giunta seriamente l'ora di mettere la testa a posto e scrivere su tutto quello che gli piace.
3 Commenti
  1. Lorenzo

    Il problema non è l'errore in sè, ma lo sono le conseguenze che genera. L'inflazione che di questa parola si è avuta in campo informatico ne ha diluito l'importanza, che in altri campi, come in quello medico, rimane rilevante. Un punto fondamentale è se l'errore ha prodotto danno o no e se l'errore è nato da imperizia o da trascuratezza. Un medico sa bene che se l'errore era facilmente evitabile se solo ci avesse messo il giusto impegno, il giudice lo condannerà. Sa altrettanto bene che se sarà in grado di dimostrare che ha fatto tutto ciò che era in suo potere per giovare al paziente, ma non ci è riuscito perchè ancora un po' inesperto la condanna sarà più lieve. Quando l'errore non produce danno però non va ignorato: è un near miss. Deve essere usato per correre ai ripari prima che un'altra volta il danno lo produca per davvero. è un cardine del sistema della Qualità in ogni campo.

  2. Piergiorgio Rossetto

    Proprio la tecnica ha un rapporto particolare con gli errori. L'uomo che vi entra diviene parte di un dispositivo teso a raggiungere un dato risultato, per cui gli viene concesso un margine esiguo di errore. La psicologia è stata per lo più lasciata fuori quando è stato disegnato, a partire dal sec. XIX, il mondo sociale diviso per ruoli e funzioni. E ce lo ha fatto pagare amaramente, col guadagno soprattutto delle compagnie di assicurazione (guarda caso, un altro ingranaggio della realtà sociale col compito preciso di monetizzare a valle -e non di evitare o gestire a monte - gli errori. Il concetto è tristemente che, fatta la frittata, non si possono ricostruire le uova. E insegnare a maneggiarli delicatamente no?

  3. Piergiorgio Rossetto

    Non ho citato una branca recente dell'economia che si preoccupa meritoriamente, invece, di inserire la dimensione emotiva (errori inclusi) nel processo decisionale: l'economia cognitiva e sperimentale

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Iscriviti alla niusletter e resta aggiornato

Lascia la tua email qui sotto e rimani aggiornato con le ultime novità dal Blog di Le Nius
Puoi annullare l’iscrizione in qualsiasi momento facendo clic sul collegamento nel footer delle nostre e-mail. Per informazioni sulle nostre pratiche sulla privacy, trovi il link qui sotto.

Su cosa Vuoi Rimanere Aggiornat*?

Scegli lo scopo per cui vuoi ricevere le nostre Niusletter. Scegli almeno un’opzione per permetterci di comunicare con te

TORNA
SU