Giorgio Falco: La riviera al confine dell’inverno6 min read

25 Novembre 2015 Viaggi -

Giorgio Falco: La riviera al confine dell’inverno6 min read

Reading Time: 5 minutes
giorgio-falco
@corto.maltese

La riviera tra Romagna e Veneto evoca nell’immaginario collettivo l’idea di lunghe file di ombrelloni, di spiagge affollate, di adulti con bambini in una mano e piscine gonfiabili nell’altra. Una striscia di terra viva, vivissima anzi, per un periodo equivalente alle ferie, modellata e costruita tra gli anni Sessanta e Settanta per le ferie stesse, in una logica di cementificazione delle coste in nome del progresso. È una natura artificiale la sua, che proprio al di fuori dello spazio estivo sembra venire prepotentemente alla luce. Di questo spazio, partendo proprio dalle contraddizioni che contiene, lo scrittore Giorgio Falco e la fotografa Sabrina Ragucci fanno una rappresentazione intimista, quasi lirica, in Condominio Oltremare (L’Orma editore, 2014), dove letteratura e fotografia dialogano restituendo immagini forti al lettore. Svelandoci inverni difficili da attraversare o anche solo da mettere a fuoco. Ne abbiamo parlato con l’autore Giorgio Falco.

“Condominio Oltremare” si apre con una dichiarazione di assenza: nel luogo in cui lei ambienta la storia manca il cimitero. Eppure ogni cosa contiene un senso di stasi che rimanda in maniera decisa alla morte, tramite una forma di stallo prima della nuova stagione estiva. Ma è sul serio solo uno stallo? E che corrispondenza c’è tra la dimensione spaziale e lo stato d’animo di colui che narra? Tra paesaggio e narratore?

“Condominio Oltremare” è la storia di un uomo solo, un quarantacinquenne senza legami lavorativi, affettivi. Alla morte dei genitori decide di lasciare Milano per trasferirsi sulla riviera adriatica, ai Lidi Ferraresi, in un piccolo appartamento – la seconda casa, acquistata dai genitori ormai molti decenni prima – all’ottavo piano di un palazzo disabitato: il Condominio Oltremare, appunto, costruito sulla sabbia, a pochi metri dalla riva. L’uomo non va in quei luoghi da ventisette anni, vi giunge dopo il duplice lutto e si rende conto di un fatto esplicitato dall’incipit: “Qui non c’è il cimitero”.
Il protagonista si trova in una delle tante località marine edificate e abitate solo per poche settimane all’anno. Luoghi nei quali è assente l’idea di comunità, se non quella posticcia del breve consumo vacanziero. È quindi normale che manchi il cimitero, poiché l’idea stessa di morte è scacciata dall’industria dell’intrattenimento, del divertimento.
Arrivare in un lunedì di gennaio, pochi istanti prima del tramonto, in una località disabitata, all’ultimo piano di un palazzo disabitato, accentua questa necessità di sospensione e distacco, di attraversamento a ritroso di quei luoghi tramite la memoria. Il palazzo in cui abita l’uomo è una specie di fossile, di conchiglia, isola il protagonista in un presente allucinato, che racchiude il passato, l’infanzia balneare. Il libro narra l’esistenza non solo dell’uomo e della sua famiglia, ma anche degli oggetti, dell’Italia intera. L’uomo aderisce ai luoghi, nell’oscillazione tra la pienezza dell’assenza – Barthes direbbe “presenza dell’assenza” – e il vuoto del presente in cui vive; ma la memoria non l’aiuta, anzi, gli restituisce un presente enigmatico, in cui, tuttavia, qualcosa accade.

giorgio-falco
@Antonio Trogu

La riviera romagnola a gennaio. Mi sembra di vedere almeno tre rovesciamenti rispetto all’idea ormai consolidata della riviera come meta balneare: il primo, quello più ovvio, è dovuto al fatto che lei sceglie un periodo non turistico; il secondo dipende dal mutamento delle condizioni socio-economiche che ne hanno permesso la creazione; il terzo dalla presa di coscienza dei meccanismi stessi che hanno portato alla configurazione attuale del territorio. Che cos’è, quindi, questo luogo oggi?

La riviera adriatica del libro è quella che risale da Cervia, oltrepassa il petrolchimico di Ravenna e giunge fino ai Lidi Ferraresi, che è una terra di confine: dopo il Delta del Po inizia il Veneto. L’ho definita “Romagna d’adozione”, non è ancora Veneto ma neppure è più geograficamente Romagna, lo è sotto l’aspetto turistico, commerciale. Le condizioni economiche che negli anni Sessanta e Settanta hanno stravolto quei luoghi non esistono più. Come in molte altre zone d’Italia, ci sono case invendute da anni. Oppure nuovi lotti di villette iniziate e mai finite.
In realtà, fuori dalla finzione letteraria, durante l’inverno è possibile incontrare alcuni anziani, pensionati che hanno venduto la casa a Milano, e con quei soldi possono vivacchiano al mare. Uno stile di vita simile a quello di molti americani. Ma sono pochissimi. Non è facile vivere in un posto disabitato, in cui sei circondato da migliaia di case vuote. Non so prevedere cosa accadrà tra vent’anni. Potrebbero essere luoghi abitati da persone che cercheranno di fare la stessa scelta dei pensionati odierni. Ammesso che riescano a vendere la casa in città. Oppure vi risiederanno soprattutto stranieri, dell’est europeo, africani. O forse saranno ancora più deserti, e molte case, senza manutenzione, cadranno a pezzi. In ogni caso, mi pare significativo che luoghi posticci svelino l’Italia così nel profondo.

Qual è, secondo lei, il contributo specifico che uno scrittore può dare in una lettura partecipata del territorio? Quali sono le responsabilità, ammesso che ci siano, di rappresentazione del territorio che ha la letteratura?

Condominio Oltremare è un’opera composta dal mio romanzo e da 59 fotografie di Sabrina Ragucci. Il lavoro visivo è stato fatto tra il 2006 e il 2014. È una selezione di centinaia e centinaia di immagini (tutte analogiche e non digitali). Letteratura e fotografia – e qui sta la novità del libro – sono sullo stesso piano, l’una non è una didascalia dell’altra o, al contrario, un’illustrazione del testo. I due linguaggi hanno una loro autonomia, anche se qua e là vi sono alcuni rimandi interni, e così letteratura e fotografia si parlano a distanza. È come se i luoghi raccontassero se stessi. Il compito della letteratura è svelare ciò che sta appena sotto “il potere delle superficie”, come avevo scritto in un romanzo precedente, La gemella H, uscito per Einaudi. L’artista fotografo Lewis Baltz sosteneva che “il nostro estraniamento è ormai al di là di ogni possibile riconciliazione”. Il paesaggio è un processo in movimento tra il luogo e la psiche dell’uomo. Per esempio, il mare nel romanzo non è evocativo di libertà, è una sorta di gabbia, nelle fotografie appare solo una volta, come piccola striscia grigiastra che preannuncia, forse, il cielo.
Il protagonista, immerso in un contesto allucinato, mantiene al tempo stesso grande lucidità. Cerca la necropoli etrusca di Spina, edificata alcuni secoli prima di Cristo, a cinque chilometri chilometri dalla spiaggia, nell’entroterra. Riuscirà a trovarla? Non è così importante sapere l’esito dei suoi sforzi. In fondo lui si trova già all’interno di una necropoli, è già nell’oltretomba, nell’Oltremare: solo che non è una necropoli etrusca, è quella che, giorno dopo giorno, abbiamo costruito intorno a noi, e nella quale viviamo.

giorgio-falco
@Hotel Pinetina Mare

CONDIVIDI

La narrazione del territorio e il senso del confine costituiscono il suo campo di esplorazione. È laureata in Tradizione ed Interpretazione dei Testi e ha un master nell’ambito dell’informazione culturale. Scrive per il quotidiano La Sicilia. Porta immancabilmente con sé libri arminiani di paesologia.
Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

TORNA
SU