Site icon Le Nius

10 donne che hanno rivoluzionato la scienza

rita levi montalcini
Reading Time: 17 minutes

Escluse per secoli dall’istruzione formale, dalle carriere accademiche e dalle professioni scientifiche, le donne hanno comunque dato un contributo enorme alla scienza. Lo hanno fatto per passione, per curiosità intellettuale, guidate da una strenua determinazione a non sottostare alle imposizioni dettate dalla società. Spesso i loro meriti sono stati riconosciuti solo tardivamente. Le 10 donne nella scienza di cui raccontiamo qui la vita sono accomunate, oltre che dal loro talento e dalla loro applicazione, dalle lotte che hanno dovuto combattere per poter studiare e fare ricerca in un contesto sociale dove il ruolo di scienziata non era previsto.

Donne come Rosalind Franklin, che nell’ambiente misogino del King’s College di Londra scopre la struttura ad elica del DNA e ne scatta la prima foto, e come Lise Meitner, che per prima scopre il processo di fissione nucleare, entrambe misconosciute da una giuria del premio Nobel che premia solo il lavoro dei loro colleghi maschi.

10 donne nella scienza che, di fronte a mille ostacoli – dalla guerra, alla povertà e alle discriminazioni in quanto donne e a volte anche in quanto ebree – sono andate avanti nella direzione ostinata e contraria ai loro tempi, contribuendo a fare la storia e a sfondare un muro, quello del sessismo nella scienza, che sembra spesso infrangibile.

1. Ada Lovelace

Ada Lovelace (1815-1852) è stata una matematica inglese, la prima programmatrice della storia. Nata nel 1815 a Londra, Augusta Ada Byron è figlia del celebre poeta Lord Byron e della matematica Anne Isabelle Millbanke. Il padre abbandona la famiglia quando la bambina è ancora neonata, e la madre indirizza Ada verso lo studio delle materie scientifiche.

All’età di 19 anni, ad un incontro mondano tra figure del mondo scientifico, Ada entra in contatto con il matematico Charles Babbage che mostra agli invitati la macchina differenziale, un’apparecchiatura meccanica alla quale stava lavorando, sviluppata per tabulare funzioni polinomiali. Inizia qui la collaborazione tra i due, che negli anni si occuperanno poi della macchina analitica, il primo prototipo di un computer meccanico ideato da Babbage e sviluppato per eseguire compiti generici.

Nel 1835 Ada si sposa con il conte di Lovelace, dal quale prende il cognome e il titolo di Onorevole Contessa. Nel 1840, dopo vari anni di studi e perfezionamenti, Babbage viene invitato a tenere un seminario sulla macchina analitica al secondo Congresso degli scienziati italiani, a Torino. L’ingegnere italiano e futuro primo ministro del Regno d’Italia Luigi Federico Menabrea si appassiona del progetto di Babbage e pubblica uno scritto al riguardo nel 1842.

Babbage chiede allora ad Ada Lovelace di tradurre il saggio di Menabrea in inglese e di aggiungere eventuali note. È qui che la scienziata fornisce il suo più importante contributo, relativo alla possibilità della macchina di elaborare informazioni anche non numeriche. La traduzione e le note di Ada vengono pubblicate l’anno seguente. Nella nota G di questo importante articolo, Lovelace inserisce un algoritmo che avrebbe permesso alla macchina di calcolare un elemento della serie dei numeri di Bernoulli senza dover calcolare i precedenti. L’algoritmo elaborato da Lovelace rappresenta il primo programma mai creato per un calcolatore: si tratta del primo esempio di software nella storia.

Ada Lovelace muore a 36 anni per un cancro uterino. Tra le donne nella scienza, viene spesso ricordata come la prima programmatrice di computer al mondo, avendo gettato le basi della moderna informatica.

2. Amalie Emmy Noether

Amalie Emmy Noether (1882-1935) è stata una matematica tedesca, che ha elaborato l’omonimo teorema nel 1915.

Nata a Erlangen in Bavaria nel 1882, Noether è figlia di un matematico di origini ebraiche. Fin da piccola mostra spiccate doti per la disciplina e si iscrive alla Facoltà di matematica all’Università di Erlangen, la stessa in cui insegna il padre.

Per sette anni, in seguito alla laurea, lavora all’Isitituto di Matematica conducendo ricerche senza essere retribuita. All’età di 33 anni viene finalmente invitata dai due matematici Alex Hilbert e David Klein a far parte del Dipartimento di matematica a Gottinga. Alcuni membri dell’accademia tuttavia si oppongono all’idea che si possa concedere l’abitazione all’insegnamento universitario ad una donna. Per quattro anni Noether è quindi costretta a insegnare a nome di un altro professore e senza essere retribuita.

I numerosi anni di lavoro non pagato le procurano tuttavia la stima a livello mondiale per i suoi innovativi studi matematici. Il più celebre di tutti è l’elaborazione del Teorema di Noether, che Emmy pubblica nel 1918, imponendosi all’attenzione della comunità scientifica. In questo lavoro, riesce a dimostrare il legame tra le simmetrie di un sistema fisico e le leggi di conservazione. Il Teorema di Noether, detto anche teorema di simmetria, è uno strumento fondamentale della fisica e viene insegnato regolarmente nella teoria quantistica dei campi e in fisica delle particelle.

Dopo la pubblicazione del teorema, la sua fama internazionale cresce, tanto che nel 1932 viene anche invitata a tenere una sessione plenaria del Congresso Internazionale dei Matematici di Zurigo. In quanto ebrea, nel 1933 è però costretta a fuggire dalla Germania nazista negli Stati Uniti, dove ottiene un posto al Bryn Mawr College in Pennsylvania. La sua carriera accademica non riuscirà però mai a decollare a causa delle discriminazioni di genere diffuse nell’ambito accademico scientifico e dell’esclusione delle donne a queste discipline.

Emmy Noether muore nel 1935, all’età di 53 anni, in seguito a un intervento per una cisti ovarica. Dopo la sua morte, Albert Einstein la definirà:

Il genio matematico più importante da quando le donne hanno avuto accesso all’istruzione superiore.

3. Donne nella scienza: Elizabeth Garrett Anderson

Elizabeth Garrett Anderson (1836-1917) è stata la prima chirurga inglese e prima sindaca d’Inghilterra. Nata nel 1836 a Londra, è seconda di 11 fratelli, figli di un banchiere di successo di aperte vedute. Elizabeth fin da ragazza viene incoraggiata a interessarsi della politica locale e a esplorare i luoghi della città liberamente.

Dopo un periodo di studio in casa con la madre e poi con un’istitutrice, a Elizabeth viene concesso di iscriversi a un collegio femminile privato per proseguire la sua istruzione. La ragazza ha un’indole attiva e curiosa, e non si attiene alla vita domestica. Sempre alla ricerca di nuovi stimoli intellettuali, nel 1854 conosce Emily Davison, la prima attivista inglese per i diritti delle donne: l’incontro è determinante, visto che le due fonderanno insieme il Girton College, università riservata alle donne, a Cambridge.

Nel 1859 conosce Elizabeth Blackwell, la prima donna divenuta medica negli Stati Uniti, e l’incontro sarà un’altra fonte di ispirazione. Garrett Anderson è interessata alla questione lavorativa femminile e vuole capire come ottenere una maggiore inclusione delle donne nell’istruzione e nelle carriere professionali. In quegli anni, comincia a fare l’infermiera al Middlesex Hospital e si applica negli studi e nella ricerca, nonostante non vi sia posto per le donne in questo campo. Tenta di essere ammessa in una delle varie scuole di medicina britanniche, da Oxford a Cambridge e Edimburgo, ma invano.

Elizabeth continua però a studiare privatamente, e nel 1865 può finalmente sostenere l’esame per esercitare l’attività di medica presso la Società dei Farmacisti. Ottiene la licenza con il massimo dei voti, diventando così la prima donna medica d’Inghilterra.

All’età di 29 anni, non potendo assumere ruoli all’interno degli ospedali in quanto donna, Garrett Anderson apre uno studio privato a Londra. Con la grave epidemia di colera che si verifica nel 1855, lo studio riceve migliaia di nuovi pazienti. L’attività cresce sempre di più, finché decide di aprire una clinica privata dedicata alle donne povere.

Appena viene concesso alle donne di iscriversi alla Facoltà di Medicina a Parigi, Garrett Anderson si reca in Francia e nel 1870 è la prima ottenere la laurea. Negli anni successivi si ristabilisce in Inghilterra, si sposa – in tarda età per l’epoca – a 35 anni, con l’imprenditore James Anderson con il quale avrà tre figli.

Nel 1874 contribuisce a fondare la London School of Medicine per sole donne e ne diventa ben presto un’insegnante. Negli anni continuerà a battersi per un maggiore ingresso delle donne nel settore della medicina. Il costante impegno sociale la conduce presto anche a sbarcare in politica: nel 1908 Garrett Anderson viene eletta sindaca di Aldeburgh, diventando la prima donna inglese a ricoprire tale carica.

Elizabeth Garrett Anderson si unisce insieme alla sorella Millicent – membro attivo del Central Committee of the National Society for Women’s Suffrage – nel movimento per il diritto di voto alle donne. Muore nel 1917 a 81 anni.

4. Françoise Barré-Sinoussi

Foto | Michael Fleshman

Françoise Barré-Sinoussi (1947) è una virologa francese che ha scoperto il virus dell’HIV con Luc Antoine Montaigner ed è stata con lui insignita del Premio Nobel per la medicina nel 2008.

Nata a Parigi, è da sempre appassionata di ambiente e natura, tanto che nel 1966 si iscrive alla Facoltà di Biologia. Gradualmente, il suo interesse di ricerca si sposta verso la biochimica e nel 1971, durante la specializzazione, diventa volontaria presso il centro di immunologia dell’Istituto Pasteur di Parigi, guidato dal virologo Jean-Claude Chermann.

Non ha ancora concluso gli studi universitari, ma Barré-Sinoussi è talmente devota alla ricerca in laboratorio che vi impiega tutto il suo tempo. La sua ricerca presso l’istituto si concentra sull’analisi di una molecola sintetica (l’HPA23), che è in grado di bloccare l’attività della DNA polimerasi, enzima caratteristico dei retrovirus capace di sintetizzare il DNA delle cellule ospiti anche a partire dall’RNA.

In seguito alla specializzazione, nel 1974 consegue il dottorato per poi trasferirsi negli Stati Uniti, dove lavora presso il National Cancer Institute del National Institutes of Health. Quattro anni dopo torna in Francia e accetta un nuovo incarico all’Istituto Pasteur, dove occuperà poi un posto di professoressa e dirigente di ricerca.

Nel 1981 si verificano i primi casi accertati di HIV, già presente in diverse zone del mondo. L’anno dopo, la malattia legata a questo virus assume il nome di AIDS (Acquired Immune Deficiency Syndrome) ma non se ne conoscono ancora le cause. Il team di ricerca del Pasteur inizia subito a lavorarci, partendo dall’ipotesi che nella malattia possa essere implicato il retrovirus che causa la leucemia a cellule T (HTLV).

Il gruppo guidato da Luc Montagnier con Françoise Barré-Sinoussi nel 1983 scopre che la malattia è effettivamente provocata da un retrovirus. Ma non è l’HTLV: poco dopo il retrovirus viene osservato per la prima volta al microscopio elettronico e il 20 maggio dello stesso anno Barré-Sinoussi e colleghi pubblicano su Science l’articolo in cui annunciano la scoperta; il retrovirus sarà rinominato HIV (Human Immunodeficiency Virus) nel 1986.

Nel 1984 Francoise si reca in Africa per toccare con mano la realtà dell’AIDS, ormai diventata piaga dagli effetti distruttivi. Nel corso di questi anni cambierà la percezione dell’opinione pubblica, che si renderà conto che non si tratta di una malattia limitata agli omosessuali e ai tossicodipendenti ma di una vera e propria epidemia.

La scienziata negli anni novanta prosegue la ricerca sull’AIDS e si spende anche nella divulgazione scientifica. Dal 2005 è direttrice dell’unità sulle infezioni retrovirali all’Istituto Pasteur. Solo decenni dopo la loro scoperta, nel 2008, Françoise Barré-Sinoussi e Luc Montagnier riceveranno il premio Nobel per la medicina.

5. Lise Meitner

Foto: IAEA

Lise Meitner (1878-1968) è stata una fisica austriaca, la prima a fornire l’esatta interpretazione del processo di fissione nucleare. Terza di otto figli, Meitner nasce a Vienna nel 1878 in una famiglia ebrea. I voti eccezionali della ragazza spingono la famiglia a pagarle studi privati.

Nel 1906 è una delle primissime donne a ottenere un dottorato in fisica, e ben presto diventa l’assistente di Max Planck, iniziatore della fisica quantistica, all’Università di Berlino. In quanto donna, per molti anni Meitner non ha una posizione ufficiale, né è pagata per il suo lavoro. Insieme al chimico Otto Hahn, con il quale collaborerà per diversi anni, Meitner è dedita agli studi pioneristici sulla radioattività.

Nel 1912 Planck le offre una posizione retribuita, ma pochi mesi dopo è costretta a interrompere il lavoro per la Prima Guerra Mondiale: lei da un lato del fronte e Marie Curie da quello opposto prestano aiuto ai soldati feriti utilizzando le loro competenze in materia di raggi X. Conclusa la guerra, Meitner rientra a Berlino e prosegue le sue ricerche con Otto Hahn, e nel 1918 diventa direttrice del Dipartimento di Fisica delle Radiazioni del Kaiser Wilhelm Institute, seppur con una paga inferiore a quella del suo collega (il gender pay gap con cui facciamo i conti ancora oggi).

La ricerca di isotopi radioattivi frutta un gran numero di pubblicazioni sulle riviste scientifiche internazionali ai colleghi Meitner e Hahn, e la loro reputazione cresce tanto che negli anni seguenti ottengono diverse candidature al Nobel. Nel 1926 Lise diventa la prima professoressa donna di fisica in Germania.

Nel 1938, in seguito all’annessione dell’Austria da parte della Germania e all’aggravarsi delle discriminazioni nei confronti degli ebrei, Meitner decide di fuggire a Stoccolma, dove inizia a lavorare per l’Istituto Nobel di Fisica. Dalla Svezia continua il rapporto di corrispondenza sulla ricerca con Otto Hahn, ancora a Berlino. I due proseguono le ricerche sul bombardamento degli atomi di uranio, all’epoca tema principale di studio anche per Enrico Fermi e i ragazzi di via Panisperna, e il gruppo parigino guidato da Marie Curie: nessuno riusciva però a interpretare correttamente i risultati sperimentali.

Tra i prodotti del bombardamento dell’uranio, Otto Hahn trova il bario e, non sapendo come spiegare il fenomeno, si rivolge a Meitner. La scienziata sarà la prima a comprendere il processo di fissione nucleare, che vede l’atomo di uranio dividersi in due nuclei più leggeri liberando energia.

È grazie alla sua scoperta che prenderà avvio il progetto Manhattan per lo studio della fissione nucleare oltreoceano, ma a Meitner non saranno riconosciuti i meriti della sua scoperta, per il quale riceverà invece il Premio Nobel il collega Otto Hahn nel 1944. Il Nobel mancato verrà in parte compensato dal premio Enrico Fermi nel 1966, condiviso con Hahn e Strassmann.

Nel Dopoguerra, Meitner si spende soprattutto per l’inclusione delle donne nella ricerca scientifica e per impiego pacifista delle ricerche scientifiche. Muore nel 1968 a Cambridge, pochi giorni prima del suo novantesimo compleanno.

6. Donne nella scienza: Margherita Hack

Foto: Festival della Scienza

Margherita Hack (1922–2013) è stata un’astrofisica italiana, prima donna a vincere una cattedra in università in questa disciplina e a dirigere un Osservatorio astronomico. Nata a Firenze nel 1922, è figlia unica di un contabile e di una miniaturista alla Galleria degli Uffizi. Il padre è protestante e la madre cattolica, ma Margherita resterà atea per tutta la vita.

Vegetariana convinta, coltiva una forte spiritualità connessa alla natura, all’universo e agli animali. Durante gli anni del fascismo, si diploma al liceo classico, è un’ottima atleta e partecipa alle adunate e agli eventi del regime. La sua vicinanza al fascismo si interrompe nel 1938, con l’introduzione delle leggi razziali.

Due anni dopo si iscrive alla Facoltà di Fisica a Firenze, una delle pochissime donne all’epoca a seguire un percorso scientifico. Nel gennaio 1945, durante la liberazione di Firenze dai tedeschi, Hack si laurea con una tesi sulle stelle di tipo Delta Cephei. La spettroscopia stellare diventerà il suo principale campo di ricerca: il trattato Stellar Spectroscopy, scritto insieme all’astronomo russo-statunitense Otto Struve, è considerato un testo fondamentale in questo campo.

Comincia quindi la sua carriera accademica girando diverse università nel mondo: Milano, Parigi, Utrecht, Berkeley. Negli anni cinquanta inizia a scrivere di scienza per quotidiani e riviste, inaugurando la sua attività di divulgatrice che la porterà poi a fondare nel 1979 la rivista L’Astronomia e successivamente a dirigere Le Stelle.

Dopo il rientro in Italia, nel 1964 Hack vince la cattedra di professoressa ordinaria all’Università di Trieste, prima donna in Italia a ricoprire quel ruolo nel campo dell’astronomia, e ottiene, di diritto, l’incarico di direttrice dell’Osservatorio astronomico di Trieste. All’epoca l’osservatorio triestino era ultimo in Italia per attività di ricerca e strumentazioni, ma nei 20 anni sotto la guida di Hack diventerà un punto di riferimento internazionale.

Oltre a centinaia di pubblicazioni scientifiche, scrive testi universitari e libri di divulgazione di grande successo. Come ricorda l’astrofisico Gianluca Ranzini, che con Hack ha scritto due libri, “Negli anni ha raggiunto una popolarità presso il grande pubblico che non ha uguali per un ricercatore italiano; ha portato la scienza nelle case di tutti. La cosa forse più bella è che è accaduto in modo naturale, per la sua verve innata e la sua capacità di comunicare, non certo perché fosse in cerca di popolarità”.

Si impegnerà anche in politica e sarà in prima linea per difendere con passione le sue opinioni in molte battaglie civili, come quella a favore dell’eutanasia, che lei appoggia perché, dice, “la vita e la morte appartengono all’uomo e non a Dio”. Muore nel 2013, a 91 anni.

7. Marie Sklodowska Curie

Marie Sklodowska Curie (1867-1934) è stata una fisica e chimica polacca, unica donna ad aver vinto due premi Nobel (per la Fisica nel 1903 e per la Chimica nel 1911).

Nata a Varsavia da una famiglia cattolica, è ultima di cinque fratelli. Finiti gli studi superiori, inizia a lavorare come precettrice e istitutrice per mettere da parte i soldi necessari per andare all’università. Nel 1891, all’età di 24 anni, si trasferisce con la sorella a Parigi per iscriversi alla Sorbona. Vive nel quartiere latino in condizioni di precarietà economica e di malnutrizione, ma è determinata a portare avanti gli studi in fisica e matematica, che conclude in tre anni.

Inizia poi a lavorare in un laboratorio, dove è incaricata di tracciare le proprietà magnetiche dei vari acciai. È qui che conosce Pierre Curie, scienziato di fama internazionale, capo di laboratorio della Scuola di Fisica e Chimica industriale di Parigi. I due si innamorano e si sposano nel 1895, e conducono una vita dedita allo studio e alla ricerca.

Negli anni successivi, Marie Curie farà la sua prima grande scoperta scientifica. Analizzando l’uranio in diversi composti e condizioni scopre che l’emissione di radiazioni è una proprietà atomica dell’elemento, che non può essere modificata da alcuna procedura chimica. Si tratta di uno dei contributi più importanti della storia, al quale la scienziata dà il nome di “radioattività”, che smentiscono dopo secoli di convinzione l’indivisibilità dell’atomo.

Nel 1898 Marie e Pierre Curie scoprono due nuovi metalli che chiamano “Polonio”, dal paese di origine di Marie, e “Radio”. Per vari anni si dedicano allo studio del pachblenda, un minerale fonte di uranio, senza ancora essere consapevoli dei danni che l’esposizione alla radioattività causa sugli esseri umani. I manoscritti sui quali prendevano note si trovano attualmente alla Bibliothèque Nationale di Parigi e sono conservati in scatole piombate in quanto ancora oggi radioattivi.

Nel 1903 i coniugi Curie vengono insigniti del Premio Nobel per la Fisica, per le loro ricerche sui fenomeni di radioattività. La coppia decide di non brevettare la scoperta del Radio, convinta del valore che avrebbe potuto avere per la società in ambito medico e industriale.

Dopo la morte tragica di Pierre Curie, che nel 1906 viene investito da un carro, Marie rimane sola con le due figlie Irène e Ève, e a 38 anni diventa la prima donna a insegnare alla Sorbona, ereditando il posto del marito. Si dedicherà intensamente anche all’istruzione delle figlie. Irène, la più grande, sarà la seconda donna della storia a vincere il Premio Nobel per la Chimica. La prima è ancora una volta Marie Curie, che nel 1911 riceve il secondo Nobel per essere riuscita ad isolare il Polonio e il Radio.

Durante la Prima Guerra Mondiale si reca al fronte con la figlia Irène per assistere i feriti e inventa le famose Petit Curie, delle automobili attrezzate con apparecchiature a raggi X. Nel 1912 fonda l’Institut du Radium, oggi chiamato Institut Curie, tuttora importante istituzione per la ricerca sul cancro.

Muore nel 1934 di anemia perniciosa, in conseguenza della lunga esposizione alle sostanze radioattive.

8. Donne nella scienza: Rachel Carson

Rachel Carson (1907-1964) è stata una biologa statunitense, che ha ispirato la nascita del movimento ambientalista negli Stati Uniti e nel mondo.

Nata nel 1907 in Pennsylvania, da ragazza è appassionata di storie di esplorazioni e di viaggi per mare, e legge i romanzi di Conrad, Melville e Stevenson. Si iscrive al corso di letteratura inglese ma presto passa a biologia, proseguendo poi la ricerca in biologia marina, che diventa la sua vera passione.

La sua famiglia però non è benestante e nel 1935 Carson è costretta ad abbandonare la carriera universitaria a causa delle ristrettezze economiche, lavorando part time presso il Bureau of Fisheries, il dipartimento del governo che si occupa della fauna ittica. Inizia qui a dedicarsi alla rubrica settimanale di divulgazione scientifica trasmessa dalla radio del dipartimento, che in breve acquisisce molti ascoltatori. L’anno seguente Carson ottiene un posto a tempo pieno che manterrà per vent’anni, assumendo poi la direzione editoriale delle pubblicazioni del dipartimento.

Nel 1941 esce il suo primo saggio Under the Sea Wind – oggi inserito nella collana Pinguin Nature Classics – sugli ecosistemi marini. Il secondo, The Sea Around Us, vince il National Book Award e diventa un bestseller. Dopo questo successo, Carson può dedicarsi interamente alla divulgazione scientifica, e si trasferisce nel 1954 nel Maine. In questo periodo inizia il suo impegno di denuncia per la protezione della natura.

Nel 1955 la pubblicazione di The Edge of the Sea completa la sua trilogia sul mare. Dai tre libri emerge l’idea alla base del suo pensiero, che sarà centrale nella cultura ambientalista: ogni organismo vivente, quale che sia la sua dimensione, è parte di una comunità più ampia, dove tutto è interconnesso secondo regole sconosciute che determinano i rapporti tra l’ecosistema e tutti i suoi abitanti.

Nel 1958 i membri di un’associazione che si batte contro l’uso di pesticidi sui campi avviano una campagna per limitare il crop dusting, la pratica di disinfestazione mediante aerei che irrorano il territorio con insetticidi. Carson decide allora di condurre una rigorosa ricerca – durata quattro anni – sui danni all’ambiente e all’uomo provocati dal DDT, l’insetticida più diffuso all’epoca. Nel 1962 manda il suo lavoro al New Yorker con il titolo Primavera silenziosa, nel quale registra i casi documentati degli effetti tossici del DDT sul fegato, sul sistema riproduttivo e sul sistema nervoso di animali e uomini. Il libro ha un successo immediato anche grazie al suo approccio divulgativo, superando un milione di copie vendute entro soli due anni.

L’industria chimica scatena una campagna di denigrazione contro la scienziata. Ma il governo statunitense non può più ignorare la questione e Carson viene invitata nel 1963 in televisione in uno scontro diretto, e poi davanti al Congresso per esporre la sua ricerca. Pochi giorni dopo il governo raccomanda l’abbandono graduale del DDT, che verrà vietato nel 1972 su tutto il territorio USA dal Presidente Nixon.

Rachel Carson muore poco dopo, nel 1964. Il suo attivismo e le sue ricerche sono ancora oggi di ispirazione per i movimenti ambientalisti di tutto il mondo. Nel 1980 Jimmy Carter le assegna la Presidential Medal of Freedom, il più alto riconoscimento civile degli Stati Uniti.

9. Rita Levi Montalcini

Rita Levi-Montalcini (1909-2012) è stata una neurologa, l’unica scienziata italiana ad essere insignita del Premio Nobel per la Medicina.

Nata a Torino nel 1909 da una famiglia ebrea sefardita, Rita Levi-Montalcini è figlia di un ingegnere e di una pittrice, e cresce in un ambiente in cui la scienza e l’arte hanno un posto di primo piano. Si iscrive nel 1930 alla facoltà di Medicina e Chirurgia all’Università di Torino, dove si laurea con lode nel 1936 e inizia la sua specializzazione in neurologia e psichiatria.

A 21 anni entra nella scuola medica dell’istologo Giuseppe Levi – padre di Natalia Ginzburg – dove comincia gli studi sul sistema nervoso che avrebbe proseguito per tutta la vita.

Dopo l’emanazione delle leggi razziali, Levi-Montalcini fugge in Belgio, dove continua i suoi studi sul differenziamento del sistema nervoso all’istituto di neurologia di Bruxelles. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale torna a Torino, allestisce un laboratorio domestico per proseguire le sue ricerche e viene raggiunta dal suo maestro Giuseppe Levi, che diventerà il suo assistente. L’obiettivo della loro ricerca era quello di comprendere il ruolo dei fattori genetici e di quelli ambientali nella differenziazione dei centri nervosi.

Durante il bombardamento di Torino nel 1941, Rita Levi-Montalcini è costretta a rifugiarsi in una villa di famiglia nelle colline astigiane, dove ricostruisce un piccolo laboratorio. Nel 1943 l’invasione dell’Italia da parte delle forze armate tedesche porta la famiglia della scienziata a rifugiarsi a Firenze. Nascosti e divisi in vari alloggi, i Levi-Montalcini sopravvivono all’Olocausto cambiando spesso abitazione e scampando le deportazioni.

Terminata la guerra, Rita Levi-Montalcini torna con la famiglia a Torino e riprende gli studi accademici con l’aiuto di Giuseppe Levi. Ma solo un anno dopo viene invitata alla Washington University di St Louis presso il Dipartimento di zoologia, dove rimarrà fino al 1977, l’età del suo pensionamento.

È qui che, insieme al suo allievo biochimico Stanley Cohen, nel 1951 scopre il fattore di crescita nervoso, il Nerve Growth Factor (Ngf), una proteina che gioca un ruolo essenziale nella crescita e differenziazione delle cellule nervose sensoriali e simpatiche. La loro ricerca è stata di grande importanza per la comprensione del cancro e di malattie come l’Alzheimer e il Parkinson.

Per i trent’anni successivi continua presso la Washington University di St. Louis gli studi sul fattore di crescita nervoso e sul suo meccanismo d’azione, per i quali nel 1986 riceve il Premio Nobel per la Medicina insieme a Stanley Cohen.

Durante la carriera negli Stati Uniti, lavora assiduamente anche in Italia: dal 1969 al 1979 è Direttrice del Laboratorio di Biologia cellulare del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR); è stata membro delle maggiori accademie scientifiche internazionali e, nel 2001, è nominata senatrice a vita dal Presidente della Repubblica Ciampi e ha fondato l’Istituto Europeo di Ricerca sul Cervello.

Muore nel 2012, dopo aver varcato il secolo all’età di 103 anni.

10. Donne nella scienza: Rosalind Franklin

Rosalind Franklin (1920-1958) è stata una chimica inglese, che ha scoperto la forma del DNA. Nata nel 1920 a Londra, Rosalind è figlia di banchieri. Nonostante i tentativi di dissuaderla dalla sua passione per le materie scientifiche, Rosalind porta avanti i suoi studi in chimica e conduce un dottorato a Cambridge nel 1945.

Nel 1947 si trasferisce a Parigi per specializzarsi nelle tecniche di diffrazione dei raggi X e cristallografia, ottenendo una certa fama. All’epoca la forma e la funzione dell’acido desossiribonucleico (DNA), la molecola che trasmette le informazioni genetiche, erano ancora sconosciute. Nel 1951 il direttore del King’s College di Londra richiama Rosalind Franklin in Inghilterra per farle studiare la struttura del DNA tramite la tecnica di diffrazione dei raggi X.

Rosalind Franklin inizia così a lavorare con il ricercatore Maurice Wilkins, con il quale non scorre buon sangue. Nel King’s College l’ambiente è misogino e chiuso e Rosalind dovendo affrontare un clima ostile si chiude in se stessa, tanto da venire soprannominata la “terribile e bisbetica Rosy”.

La scienziata porta avanti la sua ricerca in solitudine e, tra il 1951 e il 1952, riesce a fotografare il DNA, ottenendo immagini estremamente preziose, una delle quali – la celebre “Foto 51” – svela la struttura a doppia elica della molecola.

La Foto 51 | Foto: Rosenfeld Media

Il merito di questa scoperta lo prenderanno tuttavia solo i tre ricercatori uomini. Il collega Maurice Wilkins infatti tradisce Rosalind fornendo la Foto 51 e alcuni dati sperimentali raccolti dalla scienziata a James Watson e Francis Crick, due studiosi in cerca di prove per suffragare la loro teoria sulla struttura del DNA.

Nel 1953, i due studiosi Watson e Crick pubblicano su Nature un articolo sulla struttura a doppia elica dell’acido. La scienziata, ignara del furto della foto e dei suoi dati, si dedicherà poi allo studio dei virus e nel 1956 si ammalerà di tumore alle ovaie, probabilmente a causa della frequente esposizione ai raggi X. Muore nel 1958 a 37 anni.

Nel 1962 Watson, Crick e Wilkins saranno insigniti del premio Nobel per la scoperta della doppia elica, senza citare minimamente Franklin. Solo nel 1968, dopo alcune ricostruzioni di vari ricercatori, si scoprirono i meriti di Rosalind Franklin, senza il cui lavoro i tre colleghi uomini non ce l’avrebbero mai fatta.

CONDIVIDI
Exit mobile version