Site icon Le Nius

Cosa dicono i dati sulla cittadinanza in Italia

Reading Time: 17 minutes

L’Italia è il paese europeo con il maggior numero di acquisizioni di cittadinanza da parte di cittadini stranieri negli ultimi cinque anni. Oltre un milione di persone ha acquisito la cittadinanza italiana nell’ultimo decennio, di cui quasi 800 mila negli ultimi cinque anni.

Eppure da qualche anno si discute della necessità di riformare la legge sulla cittadinanza, riforma che è stata a un passo dall’essere approvata durante la precedente legislatura, ma che non è nel programma dell’attuale governo.

Puntualmente la questione della cittadinanza torna d’attualità di solito in seguito a episodi di cronaca o a uscite di politici, l’ultima quella del segretario del Partito Democratico Enrico Letta, a cui però poi non seguono fatti.

Un po’ di dati, e di interpretazioni, ci aiuteranno a comprendere meglio la questione, capire come mai così tante persone stanno diventando italiane proprio adesso, cosa sta cambiando nel tempo e che senso avrebbe, nonostante questo, una riforma della legge attuale.

Acquisizioni di cittadinanza in Italia e in Europa: dati a confronto

La crescita delle acquisizioni di cittadinanza in Italia tra il 2010 e il 2016 è evidente, a fronte di un andamento altalenante ma più continuo di paesi come Regno Unito, Francia e Germania. La Spagna fa un po’ storia a sé con l’impennata di acquisizioni tra il 2013 e il 2014.

Nel 2019 i nuovi cittadini in Italia sono 127 mila, contro i 159 mila del Regno Unito, i 132 mila della Germania, i 110 mila della Francia, i 99 mila della Spagna.

Di questi 127 mila nuovi cittadini, ci dice Istat, 45 mila sono minori, il 35%, e 61 mila sono gli under 40: una componente di popolazione quindi molto giovane. La ripartizione di genere favorisce le femmine, al 53%.

Le cittadinanze di origine più rappresentate sono quella albanese (26 mila acquisizioni, 20,5% del totale), marocchina (12,5%), brasiliana (8,4%) e rumena (8%). Crescono nell’ultimo anno i nuovi cittadini italiani con cittadinanza precedente albanese, rumena, macedone. Stabili i nuovi italiani da Marocco, Brasile e Senegal.

Dati sulla cittadinanza in prospettiva storica

Se guardiamo a una prospettiva storica, notiamo una crescita costante di acquisizioni di cittadinanza in Italia dal 2000 al 2016, anno del picco di oltre 200 mila acquisizioni, per poi calare nei due anni successivi e riprendere un trend in crescita nel 2019.

Ciò che cambia nel tempo è il motivo di rilascio della cittadinanza: se infatti ancora nel 2012 la tipologia più numerosa erano le cittadinanze concesse per residenza (37%), seguite da quella per matrimonio (32%) e trasmissione/elezione (31%), nel 2019 la prima tipologia è quella per trasmissione/elezione che sale al 45% delle cittadinanze concesse, poi per residenza (42%) e infine per matrimonio (al 13%), in netto calo.

Questa mutata configurazione ha a che fare con il fatto che sempre più minori acquisiscono la cittadinanza per trasmissione dai genitori o per elezione quando raggiungono il 18esimo anno di età.

A livello europeo (incluso il Regno Unito) 8,5 milioni di persone sono diventate cittadine di un paese dell’UE nell’ultimo decennio. Il Regno Unito comanda la classifica, ma ciò che è in atto è un processo di riequilibrio, e in particolare Italia e Germania sono in crescita e hanno superato il conteggio della Francia.

Stato 2010 – 2019
Regno Unito 1.606.222
Spagna 1.285.656
Italia 1.183.828
Germania 1.138.338
Francia 1.123.639

L’Italia in particolare ha uno dei tassi di crescita di acquisizioni di cittadinanza più elevato d’Europa nell’ultimo decennio (+93%), preceduta solo da Repubblica Ceca (+170%), Slovacchia (+145%), Finlandia (+123%), Malta e Svezia.

I paesi dove le acquisizioni di cittadinanza calano negli ultimi 10 anni sono Danimarca (-56%), Lettonia (-55%), Ungheria (-47%), Lituania (-35%), Estonia (-34%), Francia (-23%), Spagna (-20%), Regno Unito (-18%), Bulgaria (-17%).

Il rapporto nuovi cittadini / stranieri residenti

Un ulteriore dato molto interessante è il rapporto tra nuovi cittadini e popolazione straniera residente, che può essere un indicatore di diverse cose: di quanto interessi agli stranieri diventare cittadini del paese dove risiedono, di quanto sia facile arrivare alla cittadinanza, persino di integrazione se si considera l’acquisizione della cittadinanza un passaggio di integrazione.

L’Italia ha avuto nel 2019 un rapporto di 2,5, ossia il 2,5% degli stranieri residenti in Italia ha acquisito la cittadinanza, un rapporto in crescita rispetto al 2018, quando era al 2,2. In questa classifica svettano Svezia (6,9%) e Romania (4,1%), seguiti a distanza da Finlandia, Portogallo e Paesi Bassi.

Cosa significano questi dati?

I dati appena presentati hanno spiegazioni variegate ma in ultima istanza molto logiche. Ci sono le politiche degli stati, che determinano modi e tempi dell’acquisizione della cittadinanza, e le strategie delle persone, i comportamenti cioè delle persone straniere di fronte a politiche e percorsi di vita.

I dati sono legati ai contesti e alle politiche

La prima questione, molto pragmatica, è che la cittadinanza ha i tempi lunghi. I dati presentati sopra sono l’effetto di flussi di almeno 5-15 anni prima, il tempo che ci vuole, in base alle diverse leggi in vigore, per “trasformare” un immigrato in un cittadino.

L’Italia è un paese con una storia particolare in fatto di flussi migratori, che può essere paragonata solo a quella della Spagna. A differenza di altri paesi europei, che a partire dagli anni settanta hanno cominciato ad avere flussi di immigrazione abbastanza regolari, Spagna e Italia hanno per lungo tempo registrato flussi molto bassi, fino al periodo a cavallo tra fine anni novanta e inizio anni duemila, quando si è registrato un autentico boom.

La risposta politica è stata da una parte un inasprimento delle politiche migratorie del paese (la famosa legge Bossi-Fini del 2002), dall’altra una sanatoria senza precedenti che ha portato alla regolarizzazione di circa 700 mila persone presenti nel paese.

Il boom di richieste di cittadinanza di questi anni è figlio proprio di quel boom di ingressi e regolarizzazioni. Pensateci: il requisito attuale per poter chiedere la cittadinanza italiana è essere residenti stabilmente nel nostro paese da almeno 10 anni. Le persone entrate in Italia a fine anni novanta hanno quindi potuto iniziare a fare domanda di cittadinanza intorno al 2007-2008. Se considerate due o tre anni di procedure burocratiche e lenti e farraginosi processi di valutazione, ecco che la curva delle acquisizioni di cittadinanza inizia ad impennarsi nel 2010. Continua poi a crescere in modo esponenziale negli anni successivi, quando cominciano a chiedere la cittadinanza quei 700 mila regolarizzati tra il 2002 e il 2004.

Che magari avevano dei figli piccoli, o che nel frattempo li hanno fatti, figli che, purché minori al momento dell’acquisizione della cittadinanza del padre o della madre, hanno potuto diventare cittadini italiani anche loro.

Certo, non è un automatismo. Si può ottenere la cittadinanza per matrimonio, oppure per trasmissione. Si può naturalmente fare domanda anche dopo 15, 20, 30 anni di residenza in Italia. Però il numero di ingressi e regolarizzazioni dà un’indicazione credibile del trend delle nuove cittadinanze, che nelle stime resterà simile per i prossimi anni.

In altri paesi invece l’immigrazione è un processo più diluito nel tempo, che ha portato a dei bassi negli ultimi anni, ma che probabilmente riporterà degli alti nei prossimi. Pensiamo ad esempio al milione e passa di richiedenti asilo, di cui una buona parte divenuti rifugiati, accolti dalla Germania tra il 2015 e il 2016. Trascorsi gli anni necessari per la richiesta di cittadinanza (attualmente otto, anche se dipende dai casi), è facile prevedere che ci sarà un boom di richieste di cittadinanza tedesca.

@Indrek Torilo

I dati sono legati alle scelte delle persone

Ma c’è di più. Perché non sono solo le politiche a determinare gli esiti in termini di numeri e comportamenti migratori, ma sono le strategie di vita dei migranti stessi ad anticipare o contraddire le politiche e risultare in dati, più o meno attesi. Cosa stiamo dicendo?

Che l’incremento delle acquisizioni di cittadinanza è dovuto anche a un mutato comportamento degli immigrati stessi, che tendono a chiederla sempre di più rispetto al passato e lo fanno, paradossalmente, proprio per lasciare l’Italia.

Sembra assurdo, e probabilmente lo è. Sono circa 37 mila i cittadini italiani di origine straniera che hanno lasciato l’Italia nel 2019 (il 30% degli emigrati italiani totali), di cui il 40% è rientrata al paese di origine e il 60% si è spostata in altri paesi Ue o extra Ue; è il caso dei molti italiani di origini africane emigrati in Francia, o di quelli nati in Asia emigrati nel Regno Unito.

Persone che non necessariamente si sentono di aderire alla comunità degli italiani, ma che vedono nella cittadinanza il mezzo più semplice per raggiungere i propri obiettivi migratori.

In Spagna, invece, le strategie dei migranti sono state diverse, nonostante una storia migratoria simile al nostro paese, come detto sopra. A determinare la differenza nel trend sulle acquisizioni di cittadinanza dopo il 2010 sono state proprio le diverse decisioni degli immigrati. La crisi economica ha colpito molto più duro in Spagna che in Italia, soprattutto i migranti che si sono trovati letteralmente senza casa, senza lavoro e senza alcuna prospettiva di riottenerli. Così tra il 2007 e il 2012 molti hanno preferito andarsene senza arrivare a chiedere la cittadinanza.

Che senso avrebbe una riforma della legge sulla cittadinanza?

I dati ci dicono quindi che prendere la cittadinanza italiana è possibile, visto che così tante persone la stanno prendendo. Ci dicono anche che i minori riescono a prendere la cittadinanza se nascono dopo che il genitore è diventato italiano. Perché allora ciclicamente si torna a discutere di una nuova legge sulla cittadinanza?

Chi sostiene la necessità di una riforma ritiene che essa debba essere pensata per un preciso gruppo di persone. Non per quel gruppo che, tra molte peripezie, può ottenere la cittadinanza dopo 10 anni, che diventano spesso 15, di residenza stabile sul territorio italiano.

Una riforma è necessaria per chi è nato e cresciuto in Italia ma non è nelle condizioni di poter diventare italiano. Si tratta di un gruppo che una ricerca di Fondazione Leone Moressa ha stimato in 800 mila persone, soprattutto minori i cui genitori non hanno i requisiti per la cittadinanza e che, quando li avranno, sarà troppo tardi, perché nel frattempo i minori saranno diventati maggiorenni e non potranno più “ereditare” la cittadinanza dai genitori.

Per questo gruppo di persone andrebbero introdotti i principi dello ius culturae e dello ius soli temperato, che consentirebbero rispettivamente a chi è entrato in Italia entro il dodicesimo anno di età e ha frequentato per almeno cinque anni la scuola italiana e a chi è nato in Italia da genitori stranieri di cui almeno uno con permesso di soggiorno di lungo periodo, di essere riconosciuto finalmente come cittadino italiano, con pieni diritti e pieni doveri.

Qui i nostri commenti alla legge sulla cittadinanza

Qui le storie di italiani senza cittadinanza

Acquisizioni di cittadinanza in Italia e in Europa: dati a confronto 2018

La crescita delle acquisizioni di cittadinanza in Italia tra il 2010 e il 2016 è evidente, a fronte di un andamento altalenante ma più continuo di paesi come Regno Unito, Francia e Germania. La Spagna fa un po’ storia a sé con l’impennata di acquisizioni tra il 2013 e il 2014.

Nel 2018 i nuovi cittadini in Italia sono 112 mila, contro i 157 mila del Regno Unito, i 117 mila della Germania, i 110 mila della Francia, i 90 mila della Spagna.

Di questi 112 mila nuovi cittadini, ci dice Istat, 40 mila sono minori, il 36%, e 78 mila sono gli under 40: una componente di popolazione quindi molto giovane. La ripartizione di genere favorisce le femmine, al 54,5%.

Le cittadinanze di origine più rappresentate sono quella albanese (22 mila acquisizioni, 19,6% del totale), marocchina (14%), brasiliana (9,5%) e rumena (6%). Calano i paesi di provenienza storici (Albania, Marocco, Romania) e il quadro delle provenienza si fa più sfaccettato, con l’affacciarsi di nuovi cittadini provenienti da paesi come India e, in misura minore, Pakistan, Bangladesh, Senegal.

Dati cittadinanza Italia: 2000-2018

Se guardiamo a una prospettiva storica, notiamo una crescita costante di acquisizioni di cittadinanza in Italia dal 2000 al 2016, anno del picco di oltre 200 mila acquisizioni, per poi riprendere un trend in discesa negli ultimi due anni.

Ciò che cambia nel tempo è il motivo di rilascio della cittadinanza: se infatti ancora nel 2012 la tipologia più numerosa erano le cittadinanze concesse per residenza (37%), seguite da quella per matrimonio (32%) e trasmissione/elezione (31%), nel 2018 la prima tipologia è quella per trasmissione/elezione che sale al 44% delle cittadinanze concesse, poi per residenza (35%) e infine per matrimonio (al 21%).

Questa mutata configurazione ha a che fare con il fatto che sempre più minori acquisiscono la cittadinanza per trasmissione dai genitori o per elezione quando raggiungono il 18esimo anno di età.

A livello europeo 8,5 milioni di persone sono diventate cittadine di un paese dell’UE nell’ultimo decennio. Il Regno Unito comanda la classifica, ma ciò che è in atto è un processo di riequilibrio.

Stato 2009 – 2018
Regno Unito 1.650.502
Spagna 1.266.292
Francia 1.149.670
Italia 1.116.196
Germania 1.102.480

I paesi di immigrazione storica – Regno Unito, Francia, Germania, Spagna – hanno avuto il picco di nuovi cittadini tra gli anni novanta e gli anni duemila, per poi rallentare o invertire la tendenza. Allo stesso modo paesi di immigrazione più tardiva, su tutti l’Italia, hanno cominciato più tardi a vedere i nuovi residenti acquisire la cittadinanza.

L’Italia ha infatti uno dei tassi di crescita di acquisizioni di cittadinanza più elevato d’Europa (+89%), preceduta solo da Slovacchia (+175%), Finlandia (+170%), Svezia (+116%), Polonia e Repubblica Ceca.

I paesi dove le acquisizioni di cittadinanza calano tra negli ultimi 10 anni sono Danimarca (-59%), Ungheria (-40%), Regno Unito (-23%), Francia (-19%).

Il rapporto nuovi cittadini / stranieri residenti, 2018

Un ulteriore dato molto interessante è il rapporto tra nuovi cittadini e popolazione straniera residente, che può essere un indicatore di diverse cose: di quanto interessi agli stranieri diventare cittadini del paese dove risiedono, di quanto sia facile arrivare alla cittadinanza, persino di integrazione se si considera l’acquisizione della cittadinanza un passaggio di integrazione.

L’Italia ha avuto nel 2018 un rapporto di 2,2, ossia il 2,2% degli stranieri residenti in Italia ha acquisito la cittadinanza. In questa classifica svettano Svezia (7,2%) e Romania (5,2%), seguiti a distanza da Finlandia, Portogallo e Grecia.

Dati cittadinanza Italia e Europa: dati a confronto 2017

Il dato più evidente dell’andamento delle acquisizioni di cittadinanza dal 2000 in avanti è l’impennata delle acquisizioni di cittadinanza in Italia, in particolare dopo il 2010, a fronte di un andamento altalenante con tendenza alla decrescita negli altri paesi. Impennata che ha portata l’Italia a diventare dal 2015 e per tre anni consecutivi il paese con il maggior numero di nuovi cittadini in Europa.

Nel 2017 i nuovi cittadini in Italia sono 146 mila, contro i 123 mila del Regno Unito, i 115 mila di Germania e Francia, i 67 mila della Spagna.

Di questi 146 mila nuovi cittadini, 54 mila sono minori, il 37%, e centomila sono gli under 40: una componente di popolazione quindi molto giovane. La ripartizione di genere è molto equilibrata, il 51% di femmine e il 49% di maschi.

Le cittadinanze di origine più rappresentate sono quella albanese (27 mila acquisizioni, 18,5% del totale), marocchina (15%), brasiliana (7%), indiana e rumena (5,5%). Calano i paesi di provenienza storici (Albania, Marocco, Romania) e il quadro delle provenienza si fa più sfaccettato, con l’affacciarsi di nuovi cittadini provenienti da paesi come India e, in misura minore, Pakistan, Bangladesh, Senegal.

Il trend degli ultimi 10 anni

Se guardiamo a una prospettiva storica, il picco di acquisizioni di cittadinanza si è raggiunto nel 2016, e in totale circa un milione di persone sono diventate cittadine italiane negli ultimi dieci anni.

Ciò che cambia nel tempo è il motivo di rilascio della cittadinanza: se infatti ancora nel 2012 la tipologia più numerosa erano le cittadinanze concesse per residenza (37%), seguite da quella per matrimonio (32%) e trasmissione/elezione (31%), nel 2017 infatti la prima tipologia è quella per trasmissione/elezione che sale al 43% delle cittadinanze concesse, poi per residenza (42%) e in vistoso calo per matrimonio (al 15%).

A livello europeo più di otto milioni di persone sono diventate cittadine di un paese dell’UE nell’ultimo decennio.

Stato 2008 – 2017
Regno Unito 1.622.755
Spagna 1.259.688
Francia 1.177.108
Germania 1.080.200
Italia 1.057.369
Unione Europea 8.429.499

L’Italia ha uno dei tassi di crescita di acquisizioni di cittadinanza più elevato d’Europa negli ultimi dieci anni (+ 173%), preceduta solo da Lussemburgo (+310%), Malta (+206%) e Repubblica Ceca (+189%). Superiore al 100% anche la crescita in Irlanda, Polonia, Svezia e Grecia.

I paesi dove le acquisizioni di cittadinanza calano tra il 2008 e il 2017 sono Bulgaria (-87%), Ungheria (-65%), Spagna (-21%), Portogallo (-20%), Francia (-17%).

Il rapporto nuovi cittadini / stranieri residenti

Un ulteriore dato molto interessante è il rapporto tra nuovi cittadini e popolazione straniera residente, che può essere un indicatore di diverse cose: di quanto interessi agli stranieri diventare cittadini del paese dove risiedono, di quanto sia facile arrivare alla cittadinanza, persino di integrazione se si considera l’acquisizione della cittadinanza un passaggio di integrazione.

L’Italia ha avuto nel 2017 un rapporto di 2,8, ossia il 2,8% degli stranieri residenti in Italia ha acquisito la cittadinanza. In questa classifica svettano Svezia (7,8%) e Romania (6,1%), seguiti a distanza da Finlandia (4,9%), Portogallo e Grecia. L’Italia è in una fascia di mezzo con valori simili a Belgio e Olanda e superiori agli altri grandi paesi europei.

L’Italia è il paese europeo con il maggior numero di acquisizioni di cittadinanza. Ohibò. Bella questa. Dopo settimane a dirci che la legge sulla cittadinanza italiana è troppo restrittiva e bisogna cambiarla scopro non solo che molte persone la cittadinanza la stanno acquisendo ma anche che in nessun altro paese europeo così tante persone la stanno acquisendo.

Come è possibile, mi sono chiesto, che il paese con la legge più restrittiva d’Europa sia anche il paese con il maggior numero di nuovi cittadini? Cosa significano questi dati? Davvero è così difficile prendere la cittadinanza in Italia? Perché stiamo discutendo così animatamente di una nuova legge sulla cittadinanza?

Per rispondere a queste domande, ho innanzitutto approfondito i dati a disposizione, confrontando la situazione italiana con quella di altri paesi europei. Per gli step successivi ho chiesto il supporto di un esperto. Eduardo Barberis, docente di Politiche dell’immigrazione all’Università di Urbino, mi ha aiutato a interpretare i dati, attribuendo loro significato rispetto ai contesti, alle politiche, alle scelte di vita dei migranti, e a collocare queste interpretazioni nell’animato dibattito in corso, per rispondere, con più consapevolezza, alla domanda di fondo: perché una nuova legge sulla cittadinanza?

Acquisizioni di cittadinanza in Italia e in Europa: dati 2015

I dati sulle acquisizioni di cittadinanza in Europa sono disponibili in modo comparato fino al 2015, e li presentiamo in questo grafico che riassume l’evoluzione degli ultimi 15 anni in alcuni paesi europei.

Acquisizioni di cittadinanza in alcuni paesi europei

I dati del 2015

Il dato più evidente, graficamente, è l’impennata delle acquisizioni di cittadinanza in Italia, in particolare dopo il 2010, a fronte di un andamento altalenante con tendenza alla decrescita negli altri paesi. Impennata che ha portata l’Italia a diventare nel 2015 il paese con il maggior numero di nuovi cittadini in Europa: 178.035, staccando nettamente Regno Unito, Francia, Spagna, Germania (tutti tra i 110 e i 120 mila).

Di questi 178 mila nuovi cittadini italiani, ben 70 mila sono minori, quasi il 40%, che ha acquisito la cittadinanza per trasmissione, ossia dopo che uno dei due genitori l’ha ottenuta. Il 50%, circa 90 mila persone, l’ha acquisita per residenza, avendo raggiunto il requisito dei dieci anni di residenza stabile in Italia. Il 10% infine l’ha acquisita per matrimonio, sposando quindi un cittadino italiano, un dato quest’ultimo in costante calo negli ultimi anni. La ripartizione di genere è molto equilibrata, circa il 50% di maschi e il 50% di femmine.

159 mila persone sono diventate italiane avendo una cittadinanza di paesi extra Unione Europea, 19 mila sono invece i comunitari divenuti italiani nel 2015. Le cittadinanze di origine più rappresentate sono quella albanese (20% del totale dei nuovi cittadini), marocchina (18%), rumena (7%), che sono anche le tre comunità straniere storicamente più presenti nel nostro paese.

I dati italiani sono disponibili anche per il 2016, ma non abbiamo ancora la comparazione con gli altri paesi europei. Ad ogni modo, il trend continua ad essere crescente (205 mila i nuovi cittadini nel 2016), e continua a riguardare molti minorenni.

Il trend degli ultimi 15 anni

L’Italia ha anche il tasso di crescita di acquisizioni di cittadinanza più elevato d’Europa tra il 2000 e il 2015 (+ 1.700%), avvicinato, anche se con numeri molto minori, solo dagli altri paesi mediterranei: Portogallo, Spagna, Grecia, Cipro, con tassi di crescita tra il +500 e il + 1.000%.

Nei paesi del centro nord Europa invece le acquisizioni di cittadinanza tendono a diminuire, con tassi particolarmente significativi in Austria (-66%), Belgio (-56%), Olanda (-44%), Germania (-41%). Eccezioni sono Regno Unito (+43%) e Svezia (+13%).

Si tratta tuttavia di un’operazione arbitraria: prendendo due anni diversi si otterrebbero risultati differenti. Per questo ha più senso parlare di cicli. Nella maggior parte dei casi si registrano periodi di alto e periodo di basso, dentro tendenze di crescita (Italia), stabilità (Svezia), decrescita (Germania, Francia, Regno Unito).

Il trend degli ultimi 5 anni

Se ci concentriamo sugli ultimi cinque anni, abbiamo un quadro molto più indeterminato. L’unico trend coerente è proprio quello dell’Italia, che è l’unico paese europeo a presentare numeri in chiara e costante crescita negli ultimi cinque anni.

Tutti gli altri paesi registrano una situazione di alti e bassi (Belgio, Francia, Grecia), di relativa stabilità (Austria, Germania, Portogallo), o di diminuzione (Regno Unito, Spagna, Ungheria).

Il rapporto nuovi cittadini / stranieri residenti

Il succo del discorso non cambia se, invece dei numeri assoluti, consideriamo un altro indicatore che viene utilizzato in questo ambito: il rapporto tra i residenti stranieri che acquisiscono la cittadinanza e i residenti stranieri in totale.

L’Italia ha avuto nel 2015 un rapporto di 3,55, ossia il 3,55% degli stranieri residenti in Italia ha acquisito la cittadinanza. In questa classifica svettano Svezia (6,71%) e Portogallo (5,16%), seguiti a distanza da Olanda (3,60%) e, appunto, Italia. Francia, Spagna e Regno Unito sono tra il 2,2 e il 2,6% mentre la Germania è all’1,46%.

Come per i dati assoluti, questo rapporto è quasi raddoppiato in Italia tra il 2010 e il 2015, mentre tende ad essere stabile, decrescente, o tutt’al più in leggera crescita negli altri paesi.

Il totale dei nuovi cittadini dal 2000

L’ultimo esercizio che facciamo sui dati, che ci serve per dare un’interpretazione più completa degli stessi, è una banale somma, che considera tutti i nuovi cittadini in alcuni paesi europei negli ultimi 15 e 5 anni.

Stato 2000 – 2015 2010 – 2015
Regno Unito 2.510.354 1.017.392
Francia 2.368.793 670.378
Germania 2.246.157 661.344
Spagna 1.363.632 878.486
Italia 905.093 596.108
Svezia 710.495 261.991
Unione Europea 13.255.602 5.125.100

13 milioni di (ex) stranieri sono diventati cittadini europei negli ultimi 15 anni, 5 milioni negli ultimi cinque anni. In entrambi i periodi, sono stati soprattutto Regno Unito, Francia, Germania e Spagna i principali paesi di acquisizione di nuova cittadinanza in Europa, seguite da Italia e Svezia.

Perché, quindi, una nuova legge sulla cittadinanza?

Ritorniamo infine al punto di partenza. I dati ci dicono che prendere la cittadinanza italiana è possibile, visto che così tante persone, sempre di più, la stanno prendendo. Ci dicono anche che i minori riescono a prendere la cittadinanza, visto che così tanti la stanno prendendo. Perché allora c’è bisogno di una nuova legge sulla cittadinanza?

Perché il punto non è quante persone prendono la cittadinanza, ma chi la sta prendendo e, soprattutto, chi non la sta prendendo. La stanno prendendo, abbiamo visto, anche molte persone che non necessariamente “si sentono italiane”, ma che la utilizzano come il mezzo più semplice per muoversi liberamente in Europa e nel mondo, visto che le alternative sono ancora più complicate e dispendiose.

Non la sta prendendo invece un gruppo ben definito di persone, che è un gruppo che ci dovrebbe stare molto a cuore. Non la stanno prendendo bambini, ragazzi, giovani, giovani adulti che nascono in Italia, crescono in Italia, studiano nelle scuole e università italiane, spesso fanno da ponte tra la loro famiglia e la società italiana.

È un gruppo numeroso, circa 800 mila persone secondo le stime diffuse dalla Fondazione Leone Moressa, che non ottengono e non otterranno la cittadinanza tramite i loro genitori, perché i loro genitori non sono cittadini italiani e perché, se e quando lo diventeranno, non potranno trasmetterla ai figli, perché i figli saranno diventati maggiorenni.

Facciamo un caso pratico. Un minore nato in Italia che oggi ha 10 anni può in questo momento ottenere la cittadinanza principalmente in tre modi. Per trasmissione, se almeno uno dei due genitori diventa cittadino italiano prima che lui compia 18 anni, cosa in questo caso impossibile perché se anche uno dei due genitori avanzasse richiesta di cittadinanza oggi la otterrebbe, se tutto va più che bene, fra 10-15 anni quando il nostro minore avrà 20-25 anni. Troppo tardi. La cittadinanza non sarà più trasmissibile.

La seconda strada è chiedere la cittadinanza al compimento del 18 esimo anno di età, ma entro il 19 esimo. In questo caso, la cittadinanza viene concessa automaticamente. Questo non elimina i disagi che il minore deve subire fino ai 18 anni (gite all’estero che saltano perché non è arrivato il visto, tornei di scacchi a cui non si può partecipare, e così via), ma gli consente di entrare nella vita adulta da cittadino italiano.

Ci sono tuttavia due problemi. Il primo, una carenza di informazioni. Molti giovani perdono la finestra temporale di un anno semplicemente perché non lo sanno. Oggi capita più raramente, perché un decreto legge del 2013 voluto dall’allora ministro dell’integrazione Cècile Kyenge ha stabilito che i Comuni sono tenuti a inviare al neomaggiorenne una comunicazione apposita.

Il secondo problema è che i neomaggiorenni devono dimostrare di aver avuto residenza legale senza interruzioni fino al raggiungimento della maggiore età. Non sempre questo requisito è facilmente dimostrabile, fosse anche per un breve periodo in cui ad esempio i genitori sono rientrati con il minore nel proprio paese, oppure non hanno comunicato un cambio di residenza, o ancora hanno chiesto in ritardo l’inserimento del minore nel proprio permesso di soggiorno. Oggi questi casi si interpretano con maggiore elasticità, ma per anni hanno rappresentato un ostacolo insormontabile per molti neomaggiorenni.

La terza strada è chiederla da adulto. In questo caso, se è nato in Italia, il requisito di residenza scende da dieci a tre anni, con un iter comunque complicato ma certamente più breve. Se invece il minore non è nato in Italia, ma magari vi è arrivato da bambino, deve sottoporsi allo stesso iter degli stranieri arrivati da adulti. Dovrà quindi ottenere un permesso di lunga durata, risiedere stabilmente in Italia per almeno 10 anni (per dire, se si iscrive all’università, non può fare un anno di Erasmus), e poi inoltrare la domanda, che si completerà dopo un iter di altri 2-5 anni.

A che età siamo arrivati? 30, 35, 40 anni e anche più. Dopo trent’anni di vita stabile nel nostro paese. Dopo aver fatto le scuole in Italia, magari l’università, magari un lavoro di ripiego perché non tutte le professioni sono accessibili ai non cittadini italiani. Dopo aver speso un sacco di soldi per ottenere e rinnovare continuamente i permessi. Dopo aver vissuto decine, centinaia di situazioni in cui si è sentito trattare come uno straniero, uno che non può partecipare a tutti i momenti della vita di una comunità.

È a questo ragazzo che dobbiamo pensare quando immaginiamo una nuova legge sulla cittadinanza. Al suo presente, al suo e al nostro futuro.

CONDIVIDI
Exit mobile version