Site icon Le Nius

Copa América: cent’anni in cinque storie

copa América
Reading Time: 8 minutes

1916 – La prima volta non si scorda mai

L’Uruguay campione nel 1916 | @therealfootball.com

All’epoca non c’è una Copa América in palio, le nazionali partecipanti sono solo quattro e l’evento è concepito come un unicum, tanto da essere denominato Torneo Extraordinario.

Per festeggiare i cento anni dalla Dichiarazione d’Indipendenza, nel luglio del 1916 l’Argentina invita le nazionali di Uruguay, Brasile e Cile. Una federazione sudamericana ancora non esiste, tanto che sarà fondata proprio nei giorni delle gare: nella data fatidica del 9 luglio, a un secolo esatto da quando, nella casa di Francisca Bazán de Laguna a San Miguel de Tucumán, venivano rotti i vincoli con la monarchia spagnola, da un’idea del giornalista uruguaiano Héctor Rivadavia Gómez nasce la Confederación Sudamericana de Fútbol e, con essa, quel torneo che oggi ben conosciamo e per il quale viene acquistata in una gioielleria di Buenos Aires, per la cifra di 3000 franchi svizzeri, una coppa d’argento.

Le quattro nazionali si sfidano in un girone all’italiana e le partite, almeno in teoria, dovrebbero svolgersi tutte nello stesso impianto, lo stadio del Gimnasia y Esgrima di Buenos Aires. Fin dalle prime battute questa proto-Copa América non si fa mancare nulla, dal razzismo alla violenza, con un po’ dell’ingenuità tipica di uno sport ancora giovane. Basta l’incontro inaugurale, un Uruguay-Cile finito 4-0 per i charrua, per scatenare le prime polemiche: la delegazione cilena protesta per la presenza tra gli avversari di due “schiavi africani”, Juan Delgado e Isabelino Gradín, il secondo dei quali ha segnato una doppietta. I due, detti entrambi, inevitabilmente ma con poca creatività, El Negro, sono ovviamente uruguaiani in tutto e per tutto, nonché i primi calciatori di colore a scendere in campo per una nazionale: Gradín chiuderà il torneo da capocannoniere e, tre anni più tardi, vincerà l’oro nei 200 e nei 400 metri ai campionati sudamericani d’atletica.

Un altro Negro, di soprannome ma non di fatto, si ritrova a giocare con l’Argentina per puro caso: poco prima di affrontare il Brasile, infatti, si scopre che l’attaccante Alberto Ohaco, non rientrato in tempo da un viaggio di lavoro, è assente. Ricardo Naón, contattato dai dirigenti, si nega, indispettito per non essere stato convocato per due anni e non resta altra soluzione che cercare sugli spalti e convincere uno spettatore, José Laguna, che era stato prima presidente e poi giocatore dell’Huracán, a vestire per la prima volta la maglia della nazionale: lui ringrazia, va negli spogliatoi e fa addirittura gol davanti ai 16000 spettatori assiepati sulle tribune di legno. Saranno molti di più per l’ultima partita del torneo, che mette di fronte Argentina e Uruguay e, di fatto, assegna la vittoria finale: si dovrebbe giocare alle 14.30 di domenica 16 luglio, ma gli undici poliziotti presenti faticano a contenere una folla che eccede di 20000 unità la capienza dello stadio, prontamente invaso e dato alle fiamme. Partita sospesa dopo cinque minuti e spostata allo stadio del Racing, dove l’indomani finisce a reti inviolate: l’Uruguay è il primo campione del Sud America.

Vai alla seconda storia sulla Copa América: Morte di un poeta

1919 – Morte di un poeta

Roberto Chery | @lared.cl

Roberto Chery è un poeta. Ama leggere e comporre versi tra una partita e l’altra: cresciuto nel Barrio Sur di Montevideo, insieme agli amici Isabelino Gradin e Antonio Campolo entra nel settore giovanile del Peñarol. Nel 1917 fa il suo esordio nel Clásico contro il Nacional, l’anno dopo vince il campionato, nel 1919 viene convocato in nazionale per la Copa América da disputarsi a Rio de Janeiro.

Chery è ancora giovane e dovrebbe agire da riserva del portiere titolare, Cayetano Saporiti, che infatti scende in campo per la prima partita, contro l’Argentina. Il debutto con la maglia della Celeste arriva contro il Cile: è anche l’ultima, perché quella che poteva essere l’inizio di una brillante carriera diventa tragedia nel secondo tempo, quando Chery evita un gol dei cileni con una parata che gli procura gli applausi dell’Estadio das Laranjeiras e al tempo stesso lo lascia con un’ernia inguinale strozzata. Tredici giorni dopo, a soli ventitré anni, Chery muore in un letto d’ospedale a Rio, davanti agli occhi del capitano del Peñarol José Beninicasa.

Il 1° giugno successivo, dopo che i giocatori dell’Uruguay, ancora scossi, hanno declinato l’invito, Brasile e Argentina partecipano a un incontro per raccogliere fondi da donare alla famiglia Chery: i primi vestono la maglia giallonera del Peñarol, i secondi la Celeste dell’Uruguay. Finisce 3-3.

Vai alla terza storia sulla Copa América: El aguatero de Lima

1953 – El aguatero de Lima

Il Paraguay campione nel 1953 | @futbolnostalgia.com

Pablo León non ha mai giocato neanche un minuto con la Albirroja prima della Copa América del 1953. La preparazione al torneo non è stata delle più rilassanti: come nel 1924, quando sarebbe toccato al Paraguay ospitare la competizione, spostata però in Uruguay a causa dei postumi di una guerra civile appena terminata, la federazione deve accontentarsi di ricevere le nazionali del continente in casa d’altri, in Perú. Ad Asunción c’è un solo albergo e un solo stadio in grado di ospitare partite di quel livello, peraltro con una capienza molto ridotta: meglio vedersi a Lima.

La nazionale viene da un buon periodo, ha partecipato ai mondiali brasiliani del 1950 e il commissario tecnico, il futuro allenatore del Real Madrid Manuel Fleitas Solich, alla quinta delle sue sei esperienze sulla panchina guaraní, non ha lasciato nulla al caso: tre mesi di ritiro nei locali dell’Estadio de Sajonia, l’odierno Defensores del Chaco, ginnastica al mattino, calcio al pomeriggio, letti a castello, stretti controlli sulla dieta, tutto ciò immersi nei 40 °C dell’estate paraguaiana. Da uno così meticoloso non ci si aspetterebbe, durante l’incontro che mette di fronte i teorici padroni di casa con quelli effettivi del Perú, l’errore di effettuare ben quattro sostituzioni, senza essere fermato dall’arbitro, un inglese abbastanza incompetente da meritarsi, secondo alcuni, il pugno assestatogli dal paraguaiano Milner Ayala. La CONMEBOL, però, si accorge dell’irregolarità e trasforma il pareggio sul campo in una vittoria peruviana.

L’ultima giornata, che prevede lo scontro diretto con il Brasile, diventa così cruciale: tra tanti giocatori di valore, destinati a carriere europee, come Heriberto Herrera o Juan Ángel Romero, il momento di gloria spetta proprio a Pablo León. Fino ad allora si era limitato a correre lungo il campo per porgere l’acqua ai compagni, ma a cinque minuti dalla fine Solich, obbligato a vincere, decide di giocarsi anche quell’ultima, disperata, carta, ordinando a León in lingua guaraní di vincere la partita:

Eike ha egana chéve ko partido!

La prima palla toccata dall’esordiente finisce in rete e vale la vittoria per 2-1: ma al tecnico del Paraguay non basta, perché il Perú, vincendo contro un Uruguay senza più obiettivi, sarebbe campione, e decide di partire alla volta di Buenos Aires in cerca di un contratto con qualche squadra. Quando nella capitale argentina gli giunge la notizia del 3-0 della Celeste fa appena in tempo a mettersi in viaggio per arrivare a Lima a poche ore dallo spareggio con il Brasile: il Paraguay vince 3-2 e per la prima volta è campione, ma per organizzare una Copa in casa sua dovrà aspettare fino al 1999. Pablo Leon, l’aguatero de Lima, non ha mai più giocato in nazionale dopo quei cinque minuti.

Vai alla quarta storia sulla Copa América: L’altra mano de Dios

1995 – L’altra mano de Dios

Brasile-Argentina 1995: lo stop di mano di Tulio Maravilha

Nel febbraio del 2014, durante l’incontro tra Araxá e Mamoré, valido per la seconda divisione del Campionato Mineiro, Túlio Maravilha ha segnato su calcio di rigore il suo millesimo gol. Dopo aver segnato ha ricevuto i complimenti di compagni di squadra e dirigenti del club e si è diretto negli spogliatoi. L’unico a sostenere che i gol siano davvero 1000, in realtà, è Túlio stesso, che tiene conto anche delle amichevoli, degli allenamenti, di alcuni gol realizzati nell’estate del 1989 che il Goias non ricorda ma lui sì, perché i gol sono come i figli:

So quanti figli ho, so quanti gol ho fatto.

Chi ha provato a contattare le varie federazioni si è fermato a circa la metà delle reti. Di indiscutibile, però, c’è che la rete più celebre di Túlio avrebbe dovuto essere annullata: nel 1995, anno di grazia del centravanti brasiliano, che vince campionato e classifica cannonieri con il Botafogo, Argentina e Brasile si incontrano nei quarti di finale della Copa América. Dopo mezzora di gioco l’Albiceleste è avanti 2-1, con gol di Balbo e Batistuta e la rete del momentaneo pareggio firmata da Edmundo; nella ripresa Zagallo sostituisce Leonardo con Túlio, che all’81’ riceve un cross dalla destra, stoppa con il braccio sinistro in modo piuttosto plateale e poi conclude a rete, mentre i difensori avversari hanno già iniziato a protestare contro l’arbitro. Il direttore di gara peruviano, però, convalida il gol e fa ripetutamente segno di aver visto un tocco con il petto.

A distanza di anni, Túlio non si fa problemi a rivendicare il gesto: “La cosa più difficile non è stata stoppare la palla con la mano, ma battere il portiere, che vedevo uscire verso di me. La gente si ricorda solo del tocco con il braccio, ma la conclusione non è stata semplice”. La gioia dell’attaccante, che dopo aver contribuito a passare alle semifinali segna anche nella finale persa con l’Uruguay, sta anche nell’aver usato le mani proprio contro l’Argentina:

Si parla tanto del gol di Maradona, per una volta capiranno cosa si prova a stare dall’altra parte.

Chi di mano ferisce, di mano perisce: quando il presidente argentino Menem parla di furto, il ct del Brasile Zagallo gli risponde di chiedere a Maradona cosa sia un vero furto. Per quanto riguarda l’autore della prima e inimitabile mano de Dios, però, i due gesti non possono neanche essere paragonati. Anche se non spiega il perché.

Vai alla quinta storia sulla Copa América: Bomba o non bomba

2001 – Bomba o non bomba

Lesultanza di Iván Ramiro Córdoba, Colombia 2001 | @goal.com

Prima un’autobomba che esplode al centro commerciale El Tesoro di Medellín, città che avrebbe dovuto ospitare l’Argentina. Poi un’altra, davanti all’Hotel Torre di Calí, sede degli uffici dell’organizzazione del torneo. Quindi un’altra bomba a Medellín, un’auto carica di esplosivi ritrovata a Itagüí e un missile terra-aria rinvenuto dalla polizia nel pieno centro di Bogotá. La Copa América 2001 si avvicina e, mentre le bombe continuano a esplodere, è difficile per il governo spiegare che tutto ciò non ha nulla a che fare con il calcio e che lo spettacolo deve proseguire.

I cafeteros hanno da poco richiamato sulla panchina della nazionale il leggendario Pacho Maturana e l’obiettivo, oltre alla vittoria finale, è quello di evitare ripensamenti in merito alla decisione, presa nel 1987, di affidare il torneo alla Colombia: il rapimento del vice-presidente della federcalcio, Hernán Mejía Campuzano, rischia però di rovinare tutto. Le FARC, non volendo essere la causa dell’annullamento della coppa, rilasciano l’ostaggio dopo settanta ore, ma sarebbe ormai troppo tardi, se le minacce di cause milionarie ventilate dagli sponsor non costringessero la CONMEBOL a tornare sui suoi passi. Si gioca, ma Canada e Argentina rifiutano di partecipare, i secondi scatenando una certa indignazione popolare, e vengono invitate Costa Rica e Honduras: gli honduregni, riuniti all’ultimo momento, arrivano su un aereo dell’aviazione colombiana a poche ore dalla loro prima partita, salvando così il regolare svolgimento del torneo e guadagnandosi la stima del pubblico di casa. Magliette argentine vengono date alle fiamme e sugli striscioni si legge:

Argentina, Honduras tu papá

I Catrachos di Amado Guevara, unico non sudamericano a essere eletto miglior giocatore della competizione, non sono però delle mere comparse: superano la fase a gironi, eliminano il Brasile e costringono Felipe Scolari a un bagno d’umiltà: “Io resterò nella storia come l’allenatore del Brasile che ha perso con l’Honduras. È terribile ma l’Honduras ha giocato meglio di noi e ha meritato di vincere”. In finale la Colombia batte il Messico con un gol di Iván Ramiro Córdoba e si laurea campione per la prima volta, per di più senza aver subito un gol per tutto il torneo. Nelle settimane della Copa gli indici di violenza scendono, in diverse città, come mai negli ultimi anni.

CONDIVIDI
Exit mobile version