Colombia: fine di una guerra fratricida?5 min read

20 Novembre 2013 Mondo Politica -

Colombia: fine di una guerra fratricida?5 min read

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Colombia, Bogotà. Nidia è un’amica bogotana cresciuta in periferia che si è fatta strada nel mondo della musica underground, punk e metal, tra la capitale colombiana e Città del Messico. Si definisce un’organizzatrice di eventi culturali rock e il suo primo strumento di lavoro sono le reti sociali, Facebook e Twitter, con cui mantiene in relazione e connette persone, artisti, luoghi con i pochi capitali disponibili per questo tipo di eventi. Da circa quattro anni lavora insieme ai Pestilencia, gruppo storico della scena punk colombiana, collaborazione che le ha portato una certa fama nell’ambiente underground di Bogotà.

Parlare di guerra con Nidia pare fuori luogo, un’ossessione di chi la intervista piuttosto che un tema caro a una persona come lei che si muove tra concerti e feste della Bogotá sotterranea: la incontri sempre sorridente, circondata da persone e con una birra Poker in mano. Tuttavia, quando le birre bevute iniziano a essere 6 o 7 e il cameriere del bar in cui ti trovi versa il tuo primo shot di aguardiente, sai già che tutto può accadere e discorsi improbabili possono divenire sorprese inattese. Così può capitare di scoprire che come ogni colombiano che si rispetti, anche Nidia, conserva, nascosto in qualche angolo della sua mente, un piccolo pezzetto di questa guerra.

Mentre ascolti il racconto della sua vita, scopri così che il padre di Nidia era un artigiano che costruiva biliardi che poco a poco divennero famosi a Bogotá e in altre città colombiane. Dei biliardi “El Dorado” si diceva che fossero fatti con rara maestria: le loro sponde rispondevano perfettamente e meglio di tutti gli altri alle sollecitazioni delle biglie. In pochi anni Julio, questo il suo nome, divenne un uomo che si poteva definire ricco e di successo e come tutti i buoni imprenditori che “si fanno da soli”, decise di reinvestire i suoi capitali nel bene che da queste parti ha più valore, la terra. Comprò una fattoria non lontana dalla capitale, la coltivò con frutteti e investì i suoi ultimi risparmi in tre cavalli. Tutto andava così bene che Julio decise un bel giorno di trasferirsi con tutta la famiglia in campagna, per vivere meglio, lontano dai rumori e gli odori della città. Correva l’anno 1994; l’anno che cambiò la vita di Nidia e di Julio per sempre.

Un giorno miliziani delle FARC entrarono in casa sua e sequestrarono per varie ore la sua famiglia. Minacciarono Julio di massacrare i suoi figli e la moglie qualora non li avesse aiutati a organizzare un’imboscata per ammazzare il capo della polizia locale, di cui Julio era uno dei migliori amici. Così lo chiamò al telefono e andò a prenderlo a casa con la sua auto accompagnato da alcuni miliziani in borghese. Quando il capo della polizia salì sulla vettura, senza immaginare nulla, venne freddato da vari colpi di pistola. Il sangue schizzò da tutte le parti e Julio prima di tornare dai suoi cari passò alcune ore a ripulire tutto. Poi prese la sua famiglia e scappò via a bordo dell’auto ancora impregnata della morte dell’amico. Per alcuni anni i suoi figli non seppero più nulla di lui. Nidia si trovò a passare la sua infanzia nel sud di Bogotá con una nonna che non amava e lontana dai suoi genitori che non le parlavano per non metterla in pericolo.

Uno dei fratelli del padre, Luis, era il comandante del Fronte 22, Simón Bòlivar, delle FARC che operava nelle zone dove Julio aveva investito tutto quello che possedeva. Cresciuti insieme, Luis e Julio condividevano un profondo odio reciproco. Luis odiava di Julio il suo essere imprenditore, il suo parlare di denaro e la sua capacità di produrlo. Così, nel 1994, Luis si prese la sua rivincita, organizzò l’imboscata e s’impossessò di tutto quello che il fratello aveva costruito negli anni trovando anche il modo di distruggere la sua famiglia. “Era un uomo cattivo” – Nidia dice di lui – “non importa che fosse delle FARC o delle AUC, era semplicemente un pazzo malato di potere che odiava mio padre”. E di pazzi malati di potere questa guerra ne ha prodotti fin troppi.

Ad un anno dall’inizio dei negoziati di pace nell’Havana a Cuba, pare che questa volta FARC e governo colombiano siano vicini a uno storico accordo. Nonostante normali problemi e incomprensioni, la fine di uno dei più lunghi conflitti armati del mondo non sembra lontana.

L’importante accordo sulla riforma agraria e la creazione di meccanismi che permettano una rappresentanza politica a membri smobilizzati della guerriglia costituiscono fondamentali passi avanti per la pacificazione del paese. Nodi da sciogliere riguardano soprattutto i modi con cui ex-guerriglieri assumeranno responsabilità penali per atti come quello che hanno colpito Nidia e la sua famiglia, oltre a riconoscere la necessità di riparare vittime innocenti colpite da casi di giustizia sommaria e sequestri.

In un panorama di speranza, il nemico più ostico della pace rimane la destra colombiana, rappresentata dall’ex Presidente della Repubblica Alvaro Uribe che preferirebbe continuare la guerra fino all’annichilimento militare delle FARC seguendo un modello già utilizzato in Sri Lanka contro le Tigri del Tamil. Le elezioni presidenziali del prossimo maggio 2014 diranno quale sarà la via scelta dai colombiani. Qualora Uribe e il suo nuovo partito, il Centro Democratico, uscissero vincitori o con molti voti dalla contesa elettorale, la firma degli accordi potrebbe essere più difficile. Se invece sarà premiata la via della conciliazione intrapresa dall’attuale Presidente Colombiano, Juan Manuel Santos, la Colombia potrebbe entrare in una nuova fase storica.

Discorso diverso deve essere fatto invece per analizzare gli sforzi che dovranno essere compiuti per la pacificazione concreta del paese. In questi ultimi mesi abbiamo assistito a un’ondata senza precedenti di scioperi, blocchi stradali e occupazioni di terre da parte di popolazioni indigene, afro discendenti e contadine. Pur rimanendo contenuta rispetto alla storia recente del paese, la criminalizzazione della protesta sociale continua a essere un forte elemento destabilizzante e di propaganda politica con cui la classe dirigente colombiana occulta situazioni di estrema povertà e abbandono in cui versano molte aree del paese. Accusando le diverse manifestazioni di malcontento di essere infiltrate da guerriglie, s’impedisce di sviluppare dibattiti e analisi che cerchino di rispondere concretamente alle esigenze d’importanti settori della popolazione. La costruzione di una pace sostenibile e duratura dovrà invece rispondere a queste domande di cambiamento sociale ed economico che il paese in maniera instancabile e nonostante la guerra, continua a richiedere.

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Una laurea in economia mi ha permesso di viaggiare, un dottorato sfiorato in antropologia ha dato significato ai miei movimenti. Da 12 anni mi muovo senza fissa dimora tra Asia e America Latina, con tappe intermedie in Inghilterra. In questo momento scrivo dalla Colombia, dove sono arrivato per la prima volta nel 2009 per lavorare con comunità afro-discendenti nella costa pacifica e a Bogotá. Mi interessano i conflitti, le discontinuità, le eccezioni perché raccontano come siamo. In questo spazio scriverò di resistenze e sovversioni quotidiane, di sciamani per un giorno e di eroi improbabili.
2 Commenti
  1. Luis

    Articolo molto interessante, complimenti. Ma mi chiedo quante sono le possibilità reali che accordo vada a buon fine? Secondo me pochissime. Mi chiedo lei che ne pensa.

  2. Rocco Santangelo

    Aver definito i passi da seguire per riforma agraria e partecipazione politica e' qualcosa di piu' di un ottimo inizio. La guerra ormai ha costi politici e sociali troppo alti per le FARC, per questo credo ci siano buone possibilità per un accordo. Spero la mia non sia solo una speranza!

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