Your love is killing me: la fine di un amore in un video3 min read

17 Aprile 2015 Cultura -

Your love is killing me: la fine di un amore in un video3 min read

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Sharon Van Etten, Your love is killing me, 2014 – video diretto da Sean Durkin

Una donna beve, fuma, viene cacciata da un bar e poi, una volta fuori, vaga per le strade, ma con la disperazione assoluta che solo la fine di una storia d’amore può assestare tra i lineamenti del viso.

Il video è semplicissimo. È costituito da sole sei inquadrature, e tra queste spicca per durata e intensità l’uso del primo piano. Perché Sean Durkin, il regista del video di Your love is killing me, se non ci è arrivato per una felicissima intuizione, deve esserselo pur chiesto almeno una volta: com’è possibile rendere per immagini lo struggimento per la fine di una storia d’amore? Com’è possibile mostrarlo senza risultare patetici? Come fare?

Al di là del viso di Carla Juri, l’attrice, che negli ultimi secondi si supera  le pieghe delle labbra e il movimento degli occhi racchiudono mille discorsi immaginari  la risposta esatta è proprio in questo particolare uso del primo piano.

Qui il primo piano è lungo, insistito, strettissimo – ed è proprio per questo che dà conto dello strazio per amore. Perché è un piano privo d’aria, ossessivo, claustrofobico, da cui non si esce, e che in questo modo finisce pazzescamente per somigliare ai pensieri di chi ha appena perso la persona amata, pensieri privi d’aria, ossessivi, claustrofobici, che ruotano incessantemente intorno a una sola parola, mancanza.

Di solito, è in uno spazio del genere che nascono i fantasmi. È esattamente qui che i ricordi, prendendo forma e spessore fino ad assumere vita propria, vengono setacciati, rivissuti, interrogati. È qui che si finisce per dialogare incessantemente con il fantasma di chi non può rispondere. Non è un caso se la piccola vendetta che la donna prende nelle ultime battute del video si conclude drammaticamente dentro la strettoia di un nuovo primo piano. In questi casi, il desiderio di rivalsa è nulla in confronto alla mancanza. Stretta nel primo piano senz’aria della mancanza, la donna tornerà a ruminare il passato o a fantasticare a occhi aperti o, quando la notte gli concederà il lenimento del sonno, a sognare.

Kafka, per esempio, ogni tanto sognava Milena, e poi glielo scriveva in una lettera:

«Ieri ho sognato di te. Non ricordo quasi più i singoli fatti, so soltanto che ci trasformavamo l’uno nell’altro, io ero tu, tu eri io. Infine, non so come, prendesti fuoco, ma ricordai che il fuoco può essere soffocato con i panni, afferrai un vecchio abito e con questo mi misi a batterti. Ma qui ricominciarono le metamorfosi e si arrivò al punto in cui tu eri scomparsa, mentre ero io che ardevo e ancora battevo con l’abito. Ma ciò non serviva a nulla e così era confermato il mio vecchio sospetto che queste cose non valgano contro il fuoco. Intanto però erano arrivati i pompieri e nonostante tutto tu in qualche modo fosti salvata. Ma eri diversa da prima, spettrale, disegnata col gesso nel buio e, inanimata o forse soltanto svenuta per la gioia di essere salva, mi cadesti tra le braccia. Ma anche qui si riscontrò l’incertezza della trasformazione perché forse ero io che cadevo tra le braccia di qualcuno.»

(da Lettere a Milena, di Franz Kafka, Oscar Mondadori, 1999, traduzione di Ervino Pocar e Enrico Ganni, p.192)

Scopri i migliori video musicali seguendo la nostra rubrica Video didn’t kill the radio star.

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