Scuola: il merito dell’istruzione è l’inclusività | Intervista a Christian Raimo8 min read

18 Novembre 2022 Educazione -

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Scuola: il merito dell’istruzione è l’inclusività | Intervista a Christian Raimo8 min read

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La scuola italiana dovrebbe essere per Costituzione inclusiva, più che selettiva. Occorre ribadirlo oggi, nel momento in cui il Ministero che se ne occupa viene rinominato dell’Istruzione e del merito. Una parola apparentemente innocua che, nel suo esaltare le capacità dei cosiddetti migliori, implicitamente colpisce e affonda chi fa più fatica, rischiando di accentuare le già gravi disuguaglianze della scuola italiana.

Sebbene l’uguaglianza sostanziale di studentesse e studenti sia un principio sancito dall’articolo 3 della Costituzione, non è certo un traguardo raggiunto. In Italia, infatti, la dispersione scolastica è un problema serio, che colpisce di più chi cresce in contesti poveri, chi ha un background migratorio, chi vive nel Mezzogiorno e nelle aree periferiche.

Cosa possono fare gli e le insegnanti per rendere la scuola italiana più inclusiva, in cui studentesse e studenti possano scoprire ed esprimere le proprie potenzialità e metterle a disposizione degli altri? Ne abbiamo parlato con Christian Raimo, tra le altre cose insegnante, scrittore e giornalista culturale. Il suo ultimo libro è L’ultima Ora. Scuola, Democrazia, Utopia (Ponte alle Grazie, 2022).

Ascolta l’intervista nel podcast di Le Nius.

Ascolta “Scuola: quali approcci per migliorare apprendimento e inclusione? | Intervista a Christian Raimo” su Spreaker.

Christian Raimo

AG: Partiamo dalla nuova denominazione del Ministero dell’Istruzione e del merito, di cui si parla tanto in questi giorni. Non è per andare dietro alla polemica, ma per capire quali possano essere i significati più o meno nascosti di questa parola, considerando sia chi la propone (l’appena insediato governo Meloni) sia il contesto storico nel quale emerge.

CR: Se ci fosse ancora De Mauro vivo direbbe che “merito” è una weasel word, una parola donnola. Sono quelle parole che in linguistica si definiscono plastismi, cioè le vaghezze, quelle parole in cui i significanti si sono presi anche il significato. Effettivamente merito vuol dire tutto e non vuol dire niente, nel senso che non si capisce bene cosa sia il merito: se lo leghiamo all’impegno, all’onore, allo status, alla competenza, alla competizione. Legandolo, nella dicitura nuova, all’istruzione, sembra quasi una contraddizione in termini.

Per fortuna nella scuola italiana di oggi abbiamo un’idea di istruzione che è soprattutto inclusiva, non selettiva. Abbiamo l’articolo 3 della Costituzione che dice che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. La rimozione degli ostacoli non ha molto a che fare con il merito, ma con l’eliminare ciò che non consente a chi è più in difficoltà di avere le stesse possibilità che hanno gli altri.

Ma le stesse possibilità per fare cosa? Lo dice sempre l’articolo 3: per il pieno sviluppo della persona umana. Che è un’idea diversa dalla semplice realizzazione individuale: ognuno di noi deve mettere a frutto le proprie vocazioni, ma lo deve fare sempre in un’orizzonte sociale. Per la partecipazione e l’organizzazione della cosa pubblica, dello Stato. In fondo, quello che la Repubblica deve fare, è rimuovere gli ostacoli affinché tutti quanti partecipiamo ai processi di organizzazione e decisione politica. Il merito è proprio una roba che non c’entra.

AG: A proposito di disuguaglianze, parliamo di dispersione scolastica. Tanto per prendere un dato, nel 2021 i giovani tra i 18 e i 24 anni che nella migliore delle ipotesi hanno la licenza media, hanno smesso di frequentare le superiori o non le hanno mai iniziate, è del 12,7%. Un dato che sta calando progressivamente, ma ancora alto rispetto alla media europea del 9,7%. Chi sono, dal tuo punto di vista, questi dispersi e queste disperse? Quali strumenti abbiamo per combattere la dispersione scolastica e le disuguaglianze da cui deriva?

CR: Quel dato sta calando progressivamente, ma negli ultimi anni c’è stato un nuovo picco e tutto è sfalsato dalla pandemia. Sono dati che vanno visti in un trend di più lungo periodo. Di fatto c’è una settima, ottava fila di studenti che raggiungono soltanto la terza media, ma occorre tenere conto anche di un altro dato: lo 0,8% degli studenti raggiunge solo la quinta elementare. Un dato molto basso, ma avere solo la quinta elementare vuol dire essere ai margini totali della società. Questi dati poi sono molto polarizzati rispetto a città e aree extraurbane, centro e periferie, nord e sud. In Sardegna e in Sicilia la dispersione scolastica complessiva arriva al 25, 30%. Lo stesso accade in aree extraurbane che consideriamo periferiche.

La dispersione scolastica oggi significa essere lasciati ai margini della società. Anche un solo disperso è un trauma, un dramma per la nostra società, anche perché noi abbiamo qualcosa che si chiama obbligo formativo, che non è solo in carico alle famiglie e agli studenti, è in carico alla scuola. È la scuola che deve garantire di rimuovere gli ostacoli che non consentono di avere un’istruzione superiore per tutti.

La cosa più evidente rispetto alla dispersione scolastica è che è abbastanza semplice come si arrivi a “mollare scuola”: c’è un anno che ti bocciano, provi a rimediare ma non ce la fai, magari hai una situazione familiare complicata, hai perso già due anni, provi a fare due anni in uno, non riesci a rimetterti in pari, decidi di andare a lavorare, provi un CPIA e poi a un certo punto non sei più parte del sistema scolastico. Questo accade a un ragazzo su 8 in Italia, e non è soltanto uno stigma, non è soltanto il racconto di storie molto drammatiche.

Chiunque sia stato bocciato potrà raccontare oggi il trauma di quella bocciatura, che vuol dire un’esclusione molto forte dalla comunità in cui si è. Oggi bocciare nella scuola dell’obbligo è totalmente antieconomico, non porta a un miglioramento del sistema scolastico e non è nemmeno selettivo, se non per quella selezione un po’ darwiniana che alcuni pensano serva alla società. Invece non serve, perché noi abbiamo bisogno di tutte le forze in campo; non abbiamo bisogno di dividere la società in migliori e peggiori: anche coloro che non ce la fanno sono utili al miglioramento dei migliori. La selezione, la competizione, porta a una società uguale a se stessa, più misera e meno ricca da un punto di vista sociale e quindi anche economico. Bocciare è inutile per il sistema scolastico e sociale in generale, ed è un assunto che perfino i liberali più avveduti oggi riconoscono. Poi ci sono questi liberali in salsa post fascista e pensano che la scuola italiana sia troppo democratica, e che una bella bocciatura sia un toccasana.

AG: Cosa possono fare gli insegnanti e le insegnanti per far fronte a questa situazione, sia a livello di approccio che ti tecniche specifiche?

CR: Di scuola noi parliamo tantissimo, ma nel dibattito extra scolastico manca totalmente la didattica e la pedagogia. Eppure sappiamo quanto sia fondamentale una relazione educativa qualificata, e quanto quella relazione spesso ci possa cambiare la vita. Per avere una relazione qualificata l’insegnante avrà un talento, avrà dell’esperienza, avrà studiato… ma soprattutto si prepara tutti i giorni pensando quali possano essere le strategie didattiche adatte a quella classe, facendo continuamente osservazione, cercando di capire come ad ogni studente non si possa applicare lo stesso sistema standardizzato di valutazione. Provando ad essere coinvolgente in tanti modi diversi.

C’è la tecnica della classe rovesciata, la flipped classroom, oggi una delle tecniche più usate. Ma l’idea che l’insegnante sia un facilitatore dello studio, oggi messa in ridicolo da quelli che pensano che invece debba avere un’autorevolezza cattedratica, in realtà è quello che faceva Socrate. Socrate non aveva nessuna predella: era un facilitatore del processo conoscitivo attraverso l’ironia, la brachilogia, la maieutica… cioè tutte quelle tecniche di qualificazione di un dialogo che oggi noi possiamo imparare, anche rispetto a classi che hanno delle sfide a volte più complesse.

Ci sono persone che vengono da culture differenti e quindi ci vuole un’attenzione maggiore alla mediazione linguistica; ci sono persone che hanno abilità conoscitive differenti, per esempio hanno dei problemi di concentrazione, dei disturbi specifici dell’apprendimento e quindi bisogna tenere conto delle diversità e capire come includere tutti, ma soprattutto come valorizzare queste diversità, perché spesso le forme di compensazione messe in campo dagli studenti con queste difficoltà caratterizzano uno stile di apprendimento anche molto ricco.

Per fare tutto questo occorre studiare, occorre avere molto tempo di riflessione su quello che si fa in classe, occorre avere un atteggiamento democratico con i ragazzi. Che non significa finto amichevole ma, nel rispetto dei ruoli, democrazia significa appunto la cultura della riflessione sulla propria comunità. E bisogna soprattutto provare a diffondere delle bibliografie aggiornate di didattica e pedagogia. Ci sono un sacco di libri belli. Quest’anno è uscito un libro bellissimo di Bell Hooks, si chiama Insegnare comunità; un altro di Biesta che si chiama Riscoprire l’insegnamento. Sono libri che dovremmo utilizzare per formarci.

AG: Domanda semi-provocatoria: le insegnanti e gli insegnanti sono motivati ad approfondire?

CR: Gli insegnanti in Italia sono quasi 900mila, spesso molto anziani. Io sono un docente relativamente giovane in alcuni contesti e ho 47 anni, perché molto spesso chi entra nel corpo docente lo fa dopo anni di disoccupazione e precariato. E sono molto malpagati. Quindi c’è sicuramente una responsabilità del corpo docente nel non aggiornarsi, nell’essersi conformati a una modalità di aggiornamento professionale spesso svilita da formalità burocratiche, ma sono anche in parte giustificati dal fatto che il loro stipendio non gli permette di avere un tempo adeguato e soldi sufficienti per permettersi una formazione di qualità.

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Educatore professionale e formatore, ha lavorato in diversi ambiti del terzo settore. Nel suo lavoro mescola linguaggi e strumenti per creare occasioni di crescita personale attraverso esperienze condivise. Per Le Nius scrive di temi sociali e non profit.
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