Medardo Rosso e i suoi scherzi di luce alla GAM di Milano14 min read

11 Maggio 2015 Cultura -

Medardo Rosso e i suoi scherzi di luce alla GAM di Milano14 min read

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Medardo Rosso alla GAM di Milano
Medardo Rosso, Rosso nello studio di Boulevard des Batignolles, Parigi, 1890

L’ultima mostra che ho avuto il piacere di visitare – Medardo Rosso, la luce e la materia – è attualmente in corso a Milano presso la Galleria di Arte Moderna, fino al 30 maggio. Si tratta di un’interessante panoramica della produzione di uno scultore che è stato una figura di svolta a livello europeo, in linea con una sensibilità vicina per certi aspetti a quella contemporanea.

Dunque la città di Milano, in collaborazione con il Museo Rosso di Barzio, a 35 anni dall’ultima monografica su Medardo Rosso, dedica allo scultore una personale costituita da un’ampia selezione di opere che esprimono le varie fasi della sua evoluzione artistica, e la sua tormentata ricerca verso l’annullamento della materia nella luce.

Il percorso espositivo è strutturato in modo da evidenziare l’evoluzione dal realismo all’astrattismo della sua produzione. Protagonista dell’allestimento è inevitabilmente l’illuminazione, date le particolari aspirazioni luministiche delle sculture in esposizione.

In particolare, la mostra offre un interessante repertorio di stampe fotografiche originali realizzate da Rosso stesso, che raffigurano molte delle sue opere, e i vari allestimenti da lui appositamente scelti per queste stesse opere, che costituiscono un prezioso e inedito strumento di interpretazione del lavoro di un artista su cui c’è ancora molto da scoprire. Infine, un video contenente dichiarazioni di Rosso sulla scultura delucida la sua concezione di questa forma d’arte.

A seguire offro diversi spunti sull’autore, basati sull’approfondimento dei contenuti forniti dalla mostra, spesso citando alcune delle opere esposte, per dare un’idea il più possibile vivida di chi sia stato Medardo Rosso e di cosa abbia rappresentato per il mondo dell’arte.

L’uomo e l’artista

Medardo Rosso (1858-1928), torinese di nascita e milanese di adozione, ha un carattere provocatorio e ribelle.  La sua è una personalità ingombrante e inquieta, di quelli con il gusto della sfida, di quelli che non stanno mai fermi, che anche quando hanno finito qualcosa ricominciano subito a crearne una nuova versione. Sembra tormentato da conflitti interiori che non riesce a sedare e da un anelito ad andare oltre i limiti umani, ma c’è qualcosa che lo conforta ed emoziona in tutto ciò che è o riflette luce.

I temi più ricorrenti nella sua produzione sono in buona parte autobiografici, come la malattia, l’infanzia, la memoria, il ricordo, il trascorrere del tempo, la sacralità antiretorica, il mistero del simbolo, l’inafferrabile, l’immaterialità dello spazio.

L’artista, trasferitosi dal 1889 a Parigi, è sempre rimasto in stretto contatto con il mondo parigino del suo tempo anche dopo il ritorno in Italia, anche perché da noi è stato considerato un outsider. Lo scultore rappresenta l’evoluzione dal realismo della scapigliatura lombarda alla scultura impressionista più astratta, che risente dell’influsso della pittura di Edgar Degas (rapporto pittura-scultura, studi su rapporto tra luce e movimento), dell’incontro-scontro con la scultura e la persona di Auguste Rodin, e, infine, di uno speciale legame con la fotografia, ancora tutto da approfondire sul piano della critica.

La formazione e gli esordi

Rosso inizia la sua formazione a Milano, dove intraprende gli studi all’Accademia di Brera, da cui però viene presto espulso a causa della sua veemente richiesta di potersi avvalere di modelli vivi al posto dei soliti calchi di sculture tradizionali. Coerentemente con questa aspirazione, va alla ricerca di persone reali per strada, soprattutto nella zona dei Navigli, dove incomincia a notare la presenza atmosferica di quella luce un po’ nebbiosa, che sembra avvolgere tutto in un abbraccio smaterializzante, e che sarà poi protagonista della sua poetica più matura.

Medardo Rosso alla GAM di Milano
Birichino, 1895-1901 [1882], bronzo
Nella prima fase della sua produzione, crea sculture di tipi sociali, come il Birichino (tratto da un ragazzino reale dei bassifondi della Milano industriale). Così come la Ruffiana, la Portinaia, il Sacrestano. In quest’ultima scultura emerge una vena dissacrante, soprattutto per l’allestimento del volto, disposto al di sopra un’acquasantiera, sotto  un’icona della Madonna, e intitolato “Se fosse grappa”, in dialetto milanese. Tutti questi soggetti nascono da persone vere, che Rosso incontrava nelle sua vita, uno spunto di ispirazione che mantiene poi anche nella produzione più astratta.

La scultura e la luce

Secondo Rosso non esistono il primo e il secondo piano nello spazio, perché tutto è relativo: emozionalmente il secondo piano può diventare il primo. Soprattutto, secondo l’artista non esistono statue, perché ogni oggetto della realtà è un tutt’uno con gli altri grazie a una tonalità che pervade tutto: la luce. Questa luce omnipervasiva avvolge e scava la materia, ne intacca la solidità, rendendola quasi invisibile. Ma la luce non è solo la luce, è anche l’ambiente circostante, non solo luogo geografico, ma atmosfera sinestetica che intride le figure, le persone, le cose.

Medardo Rosso alla GAM di Milano
L’uomo che legge, 1900-1904 [1894], versione in bronzo

Quindi lo scultore usa la materia per farla dimenticare, e far emergere la luce che la pervade, che è atmosfera diffusa, formata anche da tutto ciò che sta intorno al soggetto. Le impressioni avute vedendo volti, atmosfere e oggetti si stratificano nella memoria, si sovrappongono e si condensano in un’unica immagine, che è una sintesi per sottrazione di sovrapposizioni di ricordi diversi.

La scultura impressionista è quindi una scultura che riproduce quest’immagine di sintesi dominata dalla luce, ottenuta scolpendo la materia per sottrazione, costruendola proprio intorno alla luce.
Secondo Rosso noi “siamo scherzi di luce” e nella scultura non è tanto importante il senso del tatto, ma quello della vista. Per Rosso lo spettatore, quando guarda le sue sculture, deve adottare un punto di vista unico: quello deciso dallo scultore, perché tutto ha una propria luce e può essere visto solo con quella luce.

Un elemento estremamente contemporaneo di Rosso è il suo evidente rapporto con la processualità del fare, dato che le opere portano i segni del loro farsi, con lo spirito con cui un pittore sceglie di tracciare delle pennellate evidenti. La materia per Rosso è centrale, anche se lui lo negherà sempre nel suo anelito verso la luce e di conseguenza verso una scultura pittorica, per questo è evidente il processo in cui si forma la materia delle sculture, come la crestatura in cima alla testa in Bambino malato, o i segni delle dita e della spatola nel ritratto di Madame Noblet.

Medardo Rosso alla GAM di Milano
Enfant malade (Bambino malato), 1903-1904 [1895], versione in bronzo

Rosso ha compiuto un gesto fondamentale: ha trasfuso il simbolismo della luce dalla pittura alla scultura, nella consapevolezza che la luce –  per quanto possa formare superfici distese, o arrivare a rapprendersi fino a creare volumi – è libera onda luminosa, e non potrà mai essere afferrata nella sua interezza, se non molto parzialmente, nel breve colpo d’occhio di uno scultore di luce, per sua stessa natura un essere bruciante, incompiuto e imperfetto.

Significativo è anche il continuo ripetere le stesse sculture usando materiali differenti come bronzo, cera, gesso, sempre all’inquieta ricerca di nuove sperimentazioni con la luce legate ai nuovi stimoli offerti dalla sua sensibilità, al mutare del significato emotivo che intende dare ai ricordi. Per esempio Bambino malato esiste sia in cera sia in bronzo, Bambino ebreo prima era in gesso, poi viene dipinto di nero. Da questa esistenza di diverse versioni della stessa opera, spesso in materiali differenti, deriva la complessità della datazione delle opere, che formano vere e proprie serie, per cui per la singola opera di solito viene specificato sia l’anno di creazione del primo soggetto sia quello dell’esecuzione successiva dello stesso soggetto.

Tornare molte volte sulla stessa opera significa rielaborare, mostrare l’azione del tempo, le stratificazioni e le oscillazioni della memoria, ma anche inquietudine, ricerca di colmare il vuoto dell’incompiutezza. La stessa processualità della sua scultura fa sì che la materia riveli il tempo e il modo in cui è stata plasmata. Per quando Rosso si sforzi di annullare la materia non ce la farà mai, perché è impossibile. Di fatto questa dicotomia tra luce e materia esprime un conflitto interiore suo, che sembra riflettere quello tra corpo e anima.

E’ poi particolarmente interessante l’uso di un materiale duttile, trasparente e legato alla luce come la cera. La cera per la sua chiarezza è vicina alla consistenza e alla tinta della pelle, ma richiama anche il marmo per la plasticità, e simbolicamente è un altro riferimento al tempo: si pensi alla cera delle candele, che emanano luce soffusa, che si consuma e si scioglie diventando un fluido rappreso.

Inoltre, si tratta di un materiale organico, delicato, che si modifica nel tempo, di colore dorato e luminoso, ma di una sacralità semplice, senza la sublimazione di materiali come l’oro, perfettamente in linea con la poetica antimonumentale di Rosso.

Medardo Rosso alla GAM di Milano
Scultura della serie Ecce puer, 1906, versione in gesso patinato

Il simbolismo e l’astrattismo

Il simbolo del fanciullo, legato ai temi dell’infanzia, della purezza, del ricordo e del trascorrere del tempo, ricorre costantemente nella produzione di Rosso, così come sono simbolici i loro stati e espressioni. Abbiamo Bambino malato e Bambina sorridente, come due facce della stessa medaglia. è un bambino Ecce puer, preso da un tema biblico ma con le sembianze appena abbozzate del figlio di Mr Mond, un industriale londinese, così come rappresentavano bambini alcune delle sue prime opere, come Monello o l’autobiografico Aurea aetas, dove una madre bacia intensamente un bambino che ha un’aria spaventata.

Anche il modificare più volte il titolo di una stessa scultura ha un significato simbolico, attribuendo ad essa più livelli di lettura. Per esempio Ruffiana è stata intitolata una volta “Margherita” (con riferimento al libro Faust e Margherita), ed un’altra volta “Fine”, a giudicare da quanto è stato scritto sul piedistallo.

Al tema del mistero del simbolo è legata l’evoluzione verso l’astrattismo. Rosso passa infatti dal realismo dei tipi a un astrattismo sottilmente simbolico, una riflessione sull’opera e sullo sguardo dell’artista su di essa. Il paradosso dell’artista sembra essere il tentativo di fissare con l’aiuto del ricordo l’inafferrabile tramite la luce, a sua volta inafferrabile. Forse è proprio questo paradosso a condurre Rosso verso l’astrattismo, che rappresenta per lo scultore un tentativo di additare all’imperscrutabile: dirà infatti che “a me, nell’arte, interessa soprattutto di far dimenticare la materia”.

Caratteristica delle opere della fase “astratta” sono il passaggio dalla rappresentazione del corpo intero a quella del solo volto, i cui tratti sono appena accennati, ed in cui si percepisce soprattutto l’espressione, che cambia a seconda della luce e la postura, spesso di sbieco.
Spesso erroneamente post-datata, Madame X è in realtà del 1896, ed è un’opera di una contemporaneità impressionante. Si tratta di un volto di donna, un ovale liscio così astratto da sollevare un senso di enigma, di mistero. Forse è una sintesi estrema del femminile, che rimanda a un’altra dimensione: l’idea del ricordo stesso, un volto di donna che è il concetto di ogni volto di donna. Presenta anche una componente primitivista, in quanto ricorda le antiche statue greche cicladiche.

Medardo Rosso alla GAM di Milano
Madame X, 1896, cera su gesso

Gli allestimenti e la fotografia

Come già accennato, Rosso torna diverse volte sulle opere, di cui esistono più versioni: spesso in gesso ricoperto di cera e in bronzo. Molte volte fotografa le sue sculture nel tentativo di catturare, di eternare tramite la luce. Riproduce in occasioni diverse anche allestimenti diversi, come ad esempio quelli del Sacrestano. In particolare esiste una serie di foto degli anni ’20, che hanno per soggetto diversi allestimenti: versioni di un’opera sopra piedistallo di legno oppure ammantata da una veste di sacco, che creano un effetto assai diverso.

L’allestimento di Rosso è quasi teatrale, da coreografo e costumista, e nello stesso tempo pensato per la fotografia che realizzerà a eternare il tutto. L’intero progetto deciso dall’artista serve a fissare il suo preciso punto di vista, ad assolutizzare il ricordo, che per Rosso è strettamente legato allo sguardo. Dopotutto, cosa è fotografare se non un’altra maniera più tecnologica di scolpire con la luce?

Gli influssi

Oltre all’iniziale influsso della scapigliatura lombarda – che include gli effetti di luminismo pittorico della scultura di Giuseppe Grandi – e del simbolismo divisionista dei dipinti di Gaetano Previati, si avverte in Rosso quello dell’impressionismo e del simbolismo francesi. L’impressionismo voleva cogliere la figura nello spazio, che era l’ambiente come paesaggio creato dalla luce, ma anche l’atmosfera della modernità. Mentre il Simbolismo, più che un movimento artistico stilisticamente unitario, era un’opposizione al Realismo di origine filosofica. Secondo il filosofo Henri Bergson, la verità non si raggiungeva attraverso la percezione del reale, ma tramite l’intuizione, cioè un tipo di  comprensione istantanea e non mediata dalla logica.

Rosso si servirà dunque della luce per liberarsi del realismo dei dettagli per cogliere l’impressione complessiva di un volto, sia in senso impressionista che in senso simbolista: tramite l’intuizione, e questo crea un effetto di astrattismo quanto più la sintesi è estrema. Per quanto riguarda il rapporto con figura e spazio nelle sculture dell’artista è evidente l’influenza della pittura di Degas, soprattutto in opere come Bookmaker, l’allibratore, in cui l’uomo è piegato su un lato. In questo caso l’enfasi è tutta sul corpo e sulla postura. Si tratta di un vero e proprio studio sulla luce, nel tentativo di annullare le differenze tra pittura e scultura. D’altra parte lo stesso Degas, che fu anche scultore, si ispirerà a Rosso nelle sue sculture.

Per quanto riguarda l’evoluzione verso l’astrattismo c’è chi ipotizza anche il possibile influsso dell’ultimo Monet. Ma c’è un vistoso scambio con il coevo Auguste Rodin, da cui assorbe soprattutto il valore dell’incompiuto, in una poetica che avrebbe voluto essere monumentale come quella di Michelangelo, ma che era votata a un fallimento che, di fatto, finiva per negare quella stessa monumentalità. Le opere di Rosso sono, infatti, già direttamente per vocazione, dei “monumenti all’attimo”, cioè l’antimonumentale per eccellenza, e derivano per lo più da semplici frammenti di vita quotidiana, e i soggetti non sono certo gente particolarmente nota. Perfino certe sculture che rappresentano ricchi mecenati o i loro figli, hanno una valenza molto più simbolica che celebrativa, sono flash provocati dall’impressione che gli ha lasciato un volto.

Le fotografie e le sculture di Rosso lasciarono un segno nelle opere dello scultore Constantin Brancusi, in particolare nella sua produzione fotografica. Nel 1913 uscì su “Comedia”, in prima pagina, un articolo pieno delle inedite fotografie di Rosso, molto probabilmente intercettato da Brancusi. Secondo quanto emerge da “Brancusi. L’opera al bianco” – mostra svoltasi nel 2005 presso la Collezione Peggy Guggenheim di Venezia – Brancusi non voleva buone fotografie, cercava l’evocazione, l’intuizione, l’aura, l’anima e non il corpo dell’oggetto. Ai limiti del visibile, proprio come la materia delle sculture di Rosso si colloca ai limiti del visibile, inondata dalla luce. In particolare, un’opera di Brancusi del 1921-22, La Baronessa, sembra fare riferimento a Madame X di Rosso.

 Invece uno degli esempi più evidenti dell’innegabile influsso che Rosso eserciterà sui futuristi è rappresentato da Uomo che legge il giornale, a causa dell’annullamento prospettico, del taglio diagonale, e della posizione non convenzionale, che crea un effetto di grande dinamismo compositivo. Umberto Boccioni ammirerà Rosso soprattutto per la vibrazione luminosa delle sue opere. Come egregiamente illustrato dalla grande mostra milanese del 2009 “Futurismo 1909/2009”, Rosso eserciterà grande influsso sui futuristi per il dinamismo impresso alle sculture dalla luce e per la fusione tra arte e vita, perché per Rosso “non c’è pittura, non c’è scultura, c’è la vita” (cit. A. Masoero, Prima del futurismo. Milano tra Otto e Novecento, saggio presente nel catalogo di “Futurismo 1909/2009”, Skira, Milano, 2009, pp. 35-36).

La fama

Rosso ha goduto di fortune alterne, ora è stato accusato di bozzettismo aneddotico, ora esaltato per l’abbandono di tematiche e tecniche retoriche, ma fu riconosciuto soprattutto in Francia. Secondo Guillaume Apollinaire: “Rosso è il più grande sculture vivente”. Inoltre, è noto quanto Rosso avesse riscosso la stima di Degas e come conoscesse Emile Zola e Auguste Rodin. Ormai è realtà ammantata di alone leggendario lo scambio di opere tra i due, quando Rodin scelse la Rieuse di Rosso, raffigurante la cantante Bianca Garavaglia. Tuttavia, la vicenda non servì ad attenuare la polemica scatenata dalla loro rivalità.

Medardo Rosso alla GAM di Milano
Rieuse (Donna sorridente), 1894 [1890], versione in bronzo

 Indubbiamente contribuì alla sua fama in Europa la sua compagna, l’olandese Etha Fles, critica e artista, la quale scrisse un libro intitolato Medardo Rosso, l’uomo e l’artista, e che contribuì a diffondere le sue opere in vari musei italiani, tra cui Cà Pesaro, a cui regalò diverse opere nel 1914, in occasione della XI Biennale di Venezia.
Tuttavia, in Italia Rosso restò sempre in secondo piano, nonostante il grande sostegno dello scrittore e pittore Ardengo Soffici e del futurista Carlo Carrà, che restarono suoi amici intimi fino alla fine.

Medardo Rosso alla GAM di Milano: info

18 febbraio – 31 maggio 2015
Galleria d’Arte Moderna, via Palestro 16
lunedì: 14.30 – 19.30
martedì, mercoledì, venerdì, sabato e domenica: 9-30 – 19.30
giovedì: 9.30 – 22.30

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Nata milanese, naturalizzata scozzese, morta veneziana, risorta in riva al Piave. Con alle spalle 12 traslochi e 2 lauree (lingue e arti visive), l'ex poetessa della classe non ha ancora capito cosa farà da grande, intanto si interessa di quasi tutto, a fasi. Qui è amante di cause perse, tipo comunicare.
4 Commenti
  1. Pinuccia Argento

    Ho apprezzato molto questo post che ci fa conoscere in modo approfondito un artista cosmopolita che ha saputo utilizzare varie materie per le sue opere, in modo del tutto personale.Egli ha cercato di fissare la luce nelle sue creazioni ed è conosciuto come lo "scultore della luce"

    • Chiara

      di solito si sente sempre parlare un po' meno degli scultori, per cui le informazioni inedite su questo autore sono parecchie.

  2. Giulia

    Bellissimo articolo su un artista che amo molto per la sua personalità tormentata e complessa, per la sua ricerca di un'arte che annulla la materia nella luce, per i temi come infanzia, ricordo, scorrere del tempo, il simbolo che mi affascinano e mi intrigano...

    • Chiara

      quello che rende affascinanti questi temi è forse il loro essere universali e dunque condivisibili, ma Rosso aggiunge dentro nella materia quel pezzetto di vuoto che è uno scavo di luce, che rende un senso di incompiuto dentro, che proprio noi a nostra volta possiamo colmare con i nostri ricordi e il nostro personale senso dell'ineffabile e tornare indietro alla nostra infanzia, quando eravamo materia duttile, dalla forma ancora non troppo definita né definibile.

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