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La vita dopo WhatsApp

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Non sono passati più di cinque anni da quando un’amica mi ha parlato per la prima volta di WhatsApp. Diceva è un’app molto divertente, ti puoi scambiare messaggi in tempo reale e puoi addirittura aprire delle chat di gruppo.

Ai tempi avevo un telefono che a malapena le supportava, le app, ma comunque la scaricai. La provai, ma non mi sembrava granché utile: avevo già sms e telefonate.

Mi sbagliavo, e di grosso. Sappiamo tutti come è andata a finire: la diffusione di WhatsApp è un fenomeno che forse in futuro verrà studiato, tanto è importante il suo impatto sulla vita di tutti, o quasi.

Già, ma qual è esattamente questo impatto? Beh, WhatsApp ha cambiato il nostro stile di vita. Non è un’esagerazione: in un contesto nel quale la tecnologia, ed in particolare quella usata in mobilità, riveste un ruolo sempre più importante nella nostra esistenza, un’app di utilizzo frequente come WhatsApp è una vera e propria bomba.

La vita dopo WhatsApp è cambiata in tanti aspetti. Ne ho identificati cinque, che l’app di messaggistica più usata al mondo (ma anche le altre, come Telegram e Allo) ha radicalmente trasformato, quasi senza che potessimo davvero rendercene conto.

Il modo di comunicare

Photo via Visualhunt.com

Il primo aspetto è anche il più ovvio. WhatsApp è uno strumento di comunicazione e il suo successo ha cambiato il modo in cui comunichiamo.

Gli sms, ad esempio, sono scomparsi. A chi servono più? È vero, ultimamente non esisteva più il limite dei famosi 160 caratteri, potendo inviare più “pagine”, e molti sistemi operativi organizzavano le conversazioni dando loro l’aspetto di chat, ma probabilmente mancava quel non so che di live, di interazione in tempo reale. O forse era solo giunta l’ora di andare in pensione per il sistema di messaggistica dell’era pre-smartphone.

Gli effetti? Addio alle ingegnose giravolte formal-lessicali per far stare un concetto nel limite dei caratteri imposto, addio alle abbreviazioni che hanno fatto storia (qualcuno ha detto cmq, nn, qlcs, x’?), addio al brividino che provavi quando sentivi l’avviso di sms: adesso, quasi sicuramente, è un messaggio pubblicitario.

L’instant messaging viene preferito, in sempre più occasioni, anche alle mail e alle telefonate, per la sua capacità di metterci in comunicazione scritta (come le mail) ma immediata (come le telefonate).

Photo credit: stroganovaphoto via Visualhunt.com / CC BY-NC

La privacy

Croce e delizia di WhatsApp sono le ormai famigerate spunte blu. Risultato di un’evoluzione che tutti abbiamo temuto e insieme auspicato, a seconda che ci considerassimo destinatari o mittenti di un messaggio delicato, lasciano ancora perplessi diversi utenti e sono causa di veri e propri disturbi psicologici. Il concetto è semplice: se ci piace WhatsApp, dobbiamo accettare che i nostri contatti sappiano se ci siamo e cosa facciamo.

Non solo spunte blu, infatti, a testimoniare la lettura di un messaggio, ma tutta una serie di informazioni che possono essere usate da o contro di noi. Orario di invio, orario di ricezione, orario di visualizzazione, ultimo accesso online e stato attuale (online, sta scrivendo, sta registrando, ecc…). Un invito a pranzo per ansiosi e paranoici: perché ha letto e non risponde? Perché è online ma non legge, con chi sta chattando? Perché stava scrivendo e ora non più? Se non fosse di noi tutti che stiamo parlando, ci sarebbe quasi da ridere.

Photo credit: Street Photography candid via Visualhunt.com / CC BY

Il modo di lavorare

Chi ha un’attività o lavora in ufficio ed ha a che fare direttamente con clienti o rivenditori avrà certamente sperimentato la diffusione di WhatsApp come strumento di lavoro. C’era una volta il modulo d’ordine cartaceo, poi venne il fax, quindi la mail, infine l’ordine telefonico fatto al volo dal cellulare, fino ad arrivare, in questa sorta di Fiera dell’Est, all’ordine via WhatsApp.

Per non parlare delle chat di lavoro, sempre più presenti tra colleghi, organizzate in chat ufficiali, sottochat tematiche, sottosottochat eversive, in cui si mescolano questioni lavorative e extralavorative con facilità disarmante ed inutili richiami all’ordine.

Il problema è che lo smartphone, che sia aziendale o di proprietà, non conosce orari d’ufficio e il rischio è di essere coinvolti in questioni lavorative anche quando sarebbe il caso di staccare la spina. Senza contare il pericolo di smarrire o dimenticare un ordine, o comunque una comunicazione importante, nella selva degli altri messaggi.

Photo via Visualhunt.com

L’uso del tempo libero

Ammettiamolo, per molti di noi il tempo libero è diventato imprescindibile dall’utilizzo dello smartphone e dei social. Non mancano le attività ricreative (uscite con gli amici, gite, palestra, sport, feste), ma sono sempre accompagnate dal nostro dispositivo pronto ad immortalare con una foto il nostro stato, per mostrarlo agli altri. Avendo installato WhatsApp, quando Facebook non ha più niente da dirci, Twitter non ha tendenze interessanti e su Instagram abbiamo visualizzato tutte le novità, il nostro poco tempo residuo viene monopolizzato dalle chat.

Mandiamo un messaggio a quell’amico per una comunicazione veloce o solo per sentire come sta. Rispondiamo all’altro che ci aveva girato una gif divertente. Scorriamo le centinaia di messaggi arrivati nel frattempo sul gruppo degli amici. Ecco che l’amico risponde nella prima chat, dobbiamo inviargli un’emoji. Un altro segnale acustico ci avvisa che mamma ci ha girato un messaggio vocale. E in men che non si dica ci siamo bruciati mezz’ora nella quale avremmo potuto leggere un libro, fare due passi, parlare con qualcuno.

Photo via Visualhunt.com

Il modo di esprimerci

È vero, gli sms violentavano la lingua italiana, sacrificandola sull’altare dell’economicità: abbreviazioni incomprensibili, K a profusione, parole attaccate, punteggiatura inesistente, apostrofi e accenti messi a caso o del tutto ignorati. La base di partenza restava comunque la parola. Con WhatsApp e le chat in generale a prevalere è il concetto: per dirla bene, il significato rimane, ma il significante non è più alfabetico, bensì grafico.

Le emoji possono uccidere la nostra capacità espressiva. Un amico ci manda un video commovente, potremmo semplicemente dirlo, esprimere la nostra emozione, ma è molto più comodo e veloce cliccare la faccina che piange. Un altro esterna un’idea con cui siamo pienamente d’accordo, ma anziché scriverlo alleghiamo una GIF con qualcuno che applaude.

A lungo andare, soprattutto per le nuove generazioni, raccontare un’emozione con le sue sfumature – sfumature che nessun set di emoji può includere – sarà difficilissimo. È questa, forse, una delle conseguenze più ambigue dell’egemonia di WhatsApp.

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