“Keith Haring About Art”: 5 buoni motivi per conoscerlo10 min read
Reading Time: 9 minutesKeith Haring è stato inglobato da tempo nella cultura di massa. Per questo molti hanno presente i suoi graffiti o i suoi omini colorati su magliette e gadget vari, ma raramente conoscono Keith Haring come artista vero e proprio.
La mostra Keith Haring About Art, in corso a Milano a Palazzo Reale fino al 18 giugno 2017, si pone l’obiettivo di ampliare gli orizzonti di chi ha sempre associato Haring solo al graffitismo o al design, per mettere in luce la ricerca artistica, profonda e articolata, di quello che è stato un ragazzo americano coltissimo, portato via dall’AIDS a soli 31 anni.
Dunque perché e per chi può essere interessante Keith Haring. About Art? Dopo averla visitata, sono convinta che questa mostra possa regalare spunti stimolanti a chiunque. In particolare, ho individuato 5 validi motivi per vivere questa esperienza, legati alle particolari caratteristiche dell’arte di Keith Haring.
1. Parla delle persone
Che si vogliano fare ricercati riferimenti all’iconografia dell’uomo vitruviano o alla tradizione dell’umanesimo, piuttosto che al teatro inglese di Everyman, non ci sono dubbi su quale sia il soggetto delle sue opere. Non serve nemmeno essere un esperto di semiotica per capire che Haring non vuole parlare di intricati concetti astratti o di qualcosa di lontano dalla vita quotidiana, ma dell’essere umano.
Ciò che dice Haring ci riguarda perché quell’omino rappresentato siamo proprio noi. Per la precisione, siamo un noi-mondo, dalle origini ai giorni nostri.
Spesso l’omino, da solo o in gruppo, si dimena gioioso esplodendo in un vitalismo danzante, altre volte è cristallizzato in un gesto e ha una crocetta al posto del cuore, altre volte ha una televisione al posto della testa, oppure è un bimbo che gattona, o forse tutto questo contemporaneamente. Parlare delle persone significa raccontare il mondo in cui vivono con i suoi vizi, i suoi orrori e le sue paure, ma anche dare valore all’essere umano in sé: Haring discende negli inferi di ogni anima ma senza rinunciare a celebrare la vita.
2. Parla alle persone
Attraverso la sua arte Haring cerca di consigliarci a cosa aspirare per stare bene. Il protagonista di alcune delle sue immagini più famose è un uomo con un buco nella pancia, che Haring dichiara gli fu ispirato dalla notizia dell’assassinio di John Lennon. Infatti, un’immagine ricorrente è un omino con la pancia e il cervello attraversati da una stessa mano, oppure una variazione sul tema è la testa di un uomo che entra nella pancia dell’altro, ad auspicare il raggiungimento dell’unità tra istinto e razionalità in ogni uomo. Altri simboli esprimono questo stesso ideale, come il cinecefalo.
Nelle opere di Haring tutti sono in grado di riconoscere omini che ballano, croci, cuori, tv, cani, occhi, delfini, donne incinte, angeli, alberi, bambini. Chiunque osservi una sua opera percepisce una specie di vibrazione, di solito espressa tramite ondine o raggi che partono dalle figure – spesso omini in pose dinamiche. In un certo senso i suoi lavori traducono in immagini i ritmi e i temi della musica rap. Haring è anche amico della cantante Madonna e frequentatore di club in cui si balla musica latina.
Grazie all’estrema semplificazione minimalista delle immagini, e all’uso alternato di bianco e nero e di colori vivaci – almeno a un primo livello di lettura – la comunicazione delle immagini di Haring è diretta e universale. Eppure la sua semplificazione concettuale non trasmette un freddo distacco razionale da segnaletica stradale, ma assume una forte carica comunicativa, anche grazie all’espressività emotiva esercitata dall’uso del colore e da tratti grafici presi dal mondo dei fumetti. I primissimi esperimenti grafici di Haring bambino riguardano proprio i fumetti.
Questo aspetto semplice, quasi infantile dei disegni di Haring, fa sì che questi paiano a prima vista del tipo quello potevo farlo anch’io. Effettivamente le sue figure sono consapevolmente ridotte a un segno arcaico, prelinguistico, con legami con le tecniche espressive proprie dei fumetti e dei cartoni animati, e proprio questo fa sì che riesca a parlare a tutti.
Dunque, uno dei meriti di Haring è quello di essere riuscito a produrre un testo di immagini leggibile, in grado di riassumere concetti, anche complessi, rendendoli vicini ed espressivi. Il cinecefalo per esempio, il bambino che gattona sono identificabili da tutti, anche se poi il loro valore simbolico ha più livelli di lettura, a seconda di quanto lo spettatore intende andare a fondo.
3. Fa denuncia costruttiva
In alcune opere di Haring si respira molto dolore: vi sono trattati temi come l’Aids, l’omofobia, la guerra, la morte, il razzismo, la lussuria, la vita di chi si sente ai margini della società, addirittura una sorta di prefigurazione della tragedia delle torri gemelle. Abbiamo letterali rappresentazioni dell’Inferno e dei vizi della società contemporanea, una denuncia dei media come mezzi di manipolazione di massa.
I mali della società e dell’animo umano sono spesso rappresentati con toni apocalittici e provocatori con arpie, demoni, inquietanti divinità antropomorfe e teste di Gorgone. Ma c’è una grande vitalità, una forza costruttiva che vibra dai suoi omini danzanti e radianti. Il bambino, figura molto importante per Haring, simboleggia la speranza nel futuro e l’approccio creativo all’esistenza. L’artista celebra la dignità umana, il valore delle relazioni e un senso del sacro fuori dagli schemi, e dal sapore universale.
Haring cerca insomma di preservare nel suo modo di fare arte quella dimensione utopica e di ‘testimonianza’ che sembra completamente dissolta e schiacciata dalle regole di mercato (p.49 del catalogo), che dettano legge anche nel mondo dell’arte contemporanea. Varie volte viene fermato e multato – una volta anche ammanettato – mentre esegue i suoi disegni in metropolitana. Si dedica anche a molti workshop con ragazzi delle scuole primarie e a varie iniziative umanitarie, come il suo sostegno all’orfanotrofio Children’s Village.
Tuttavia, alcuni graffitisti lo considerarono un “venduto” e ricoprirono alcuni dei suoi lavori realizzati in strada. Questo perché, dato il successo delle sue mostre, molte delle sue opere furono acquistate dai collezionisti, e si trovavano in commercio molti gadget con riproduzioni dei suoi disegni messi in vendita dallo stesso Haring.
Dopo aver scoperto che esistevano in commercio oggetti e indumenti falsi con i suoi disegni, Haring decise infatti di aprire un Pop Shop: un negozio con suoi oggetti a prezzi accessibili, ma anche fonte di informazione sul suo lavoro. Haring ha voluto entrare a far parte del mondo mediatico per comunicare con quante più persone possibile, agendo come il bruco che divora la mela dall’interno.
4. Riempie un vuoto
Tutte le opere di Haring nascono esclusivamente da un preciso movimento della mano in cui c’è equilibrio tra forma e contenuto. Rielabora in modo personale la tecnica del colore con linee nere sovrapposte di Fernand Léger. Prima dipinge spontaneamente le sagome colorate riempiendo tutto lo spazio a disposizione, poi realizza direttamente il contorno nero.
Questo significa che Keith non faceva mai bozzetti preparatori delle sue opere: realizzava il suo gioco di segni ad incastro di getto, come in una trance combinatoria in cui le linee risultano eseguite con sorprendente precisione, cosa che rivela una grande abilità manuale e notevole senso dello spazio e della composizione:
La sfida è quella di essere in uno stato mentale aperto alla spontaneità e alla casualità, mantenendo al tempo stesso una consapevolezza che permetta di formare e controllare un’immagine. Ogni disegno è una performance e un rito. (Keith Haring, 30 ottobre 1984)
Dunque, all’interno di questo linguaggio iconico di apparente semplicità, si agita una moltitudine di figure che riempiono quasi totalmente lo spazio attraverso un sistema di linee eseguite ad incastro secondo il principio dell’horror vacui. Non è un caso se Haring iniziò disegnando con i gessetti in alcuni spazi rimasti vuoti (quelli normalmente adibiti ai cartelloni pubblicitari) nei mezzanini, neri come lavagne, della metropolitana di New York, utilizzando successivamente qualsiasi supporto ed eseguendo lavori con bombola spray o pennarelli.
Una delle missioni più importanti per Haring è infatti proprio quella di provare a riempire il vuoto. Un vuoto di senso, un vuoto di valori, un vuoto relazionale. Per questo in Haring esiste anche una dimensione relazionale e comunicativa che va oltre l’opera-disegno. Haring considerava i suoi disegni in metropolitana, per essere visto da più persone possibile, una performance interattiva.
Iniziò a distribuire ai passanti graziose spillette colorate raffiguranti i suoi logos (firme personali) e tags (immagini sintetiche del credo dell’autore), così che le persone che indossavano le sue spille iniziassero a parlare tra loro, rompendo un vuoto comunicativo.
Poi ci sono opere come Tuttomondo, il famoso murale realizzato nel 1989 sul muro esterno della Chiesa di S. Antonio di Pisa, in cui l’artista ha reso pregno di significato quel che prima era un vuoto. A questo lavoro, come a molte altre opere, Haring conferì un carattere collettivo, raccogliendo attorno a sé ragazzi, spesso disagiati, che gli facevano da assistenti, compiendo così un atto di impegno sociale.
5. Keith Haring About Art ti connette con il mondo
A ben guardare in alcune opere si scorgono anche delle figure misteriose, che ricordano cani personificati, serpenti, mostri o maschere etniche, strane figure dall’aria mitologica. La gente è da sempre attratta dal meraviglioso, e anche in queste figure ambigue può scorgere qualcosa di familiare, anche se non sa bene come interpretarlo.
Si potrebbe pensare che queste figure siano puramente frutto della fantasia dell’autore, eppure non è esattamente così. Keith Haring About Art svela molti di questi misteri, indagando proprio sull’origine culturale e iconografica di queste strane figure. Per esempio non è un mistero che Haring riguardasse spesso Il Giardino delle Delizie di Hieronymus Bosch, che cita in alcune sue opere.
Haring parla dell’essere umano di ogni tempo e di ogni luogo, di una figura universale, e per farlo inventa coerentemente un linguaggio simbolico altrettanto universale, fatto di spunti disparati che provengono dalla cultura di vari tempi e luoghi secondo il principio della libera contaminazione, accomunando il mondo naturale e quello artificiale, la vita vera e quella espressa dai media.
Per questo, grazie al percorso offerto dalla mostra, si colgono impensabili legami con i dipinti rupestri, la mitologia greca, con il fregio della Colonna Traiana, la Lupa Capitolina, con l’iconografia religiosa, i trittici, con le rappresentazioni dell’Inferno come quella del Giudizio Universale di Michelangelo, l’archetipo biblico del vitello d’oro, con i serpenti piumati della cultura del Centro America, con gli arabeschi, con Henri Matisse, Paul Klee e molti altri artisti contemporanei, tra cui l’amico Andy Warhol, di cui frequenta la famosa Factory.
Di sala in sala si impara dunque a leggere e a interpretare i vari personaggi di Haring come lettere di un alfabeto di pittogrammi simbolici, che funzionano secondo lo stesso principio della scrittura egizia: “In tutte le forme c’è una struttura primaria, un’indicazione dell’intero oggetto attraverso pochissime linee, che diventano un simbolo. Ciò è comune a tutti i linguaggi, a tutte le persone, a tutte le epoche storiche. Probabilmente è per questo motivo che sono così propenso a utilizzare immagini calligrafiche, forme geroglifiche, strutture primarie” (Keith Haring, 12 gennaio 1979).
Haring si rivela dunque un prolifico creatore di relazioni tra epoche e culture diverse mediante un intreccio di simboli, che non è altro che un efficace linguaggio visivo di grande sintesi, per unire l’uomo e il mondo:
Disegnare è fondamentalmente sempre la stessa cosa dai tempi della preistoria. Unisce l’uomo e il mondo. Vive attraverso la magia. (Keith Haring, 18 marzo 1982)
In conclusione, da questa retrospettiva si può desumere che Haring è stato una grande figura-ponte tra eredità del passato e cultura contemporanea, che ha inventato un linguaggio il cui alfabeto è fatto di immagini astratte universali ed espressive, spaziando dall’arte classica all’etnografia, fino alle avanguardie del Novecento, all’arte contemporanea e alle manifestazioni della cultura pop.
Tutto questo, secondo quanto dichiara, per lanciare a quante più persone possibile un messaggio fondamentale: “Io credo nell’uomo e nella vita”.
Fonte
Contenuti, citazioni e immagini tratte dal catalogo Keith Haring About Art, a cura di Gianni Mercurio, edizioni Giunti, 2017.